Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2020, n. 21299
Trattamento pensionistico, Rideterminazione, Pagamento delle
differenze economiche
Rilevato che
1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n.
3169 del 2013, ha dichiarato la nullità della pronuncia del Tribunale della
stessa città n. 4863 del 2008, con la quale era stata accolta la domanda di C.
E., già dipendente della Banca di Roma (poi collocato a riposo nel marzo del
1997) e titolare dei benefici di cui alla legge n. 366 del 1970, diretta ad
ottenere -previo conferimento della qualifica immediatamente superiore a quella
posseduta – il pagamento delle differenze economiche per il rideterminato
trattamento pensionistico.
2. I giudici di seconde cure hanno rilevato la
mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’ex datore di lavoro
di C. E. e, quindi, hanno rimesso la causa al primo giudice ex art. 354 co. 1 cpc.
3. Avverso la decisione della Corte territoriale ha
proposto ricorso per cassazione C. E. affidato a due motivi, cui ha resistito
con controricorso l’INPS formulando, a sua volta, ricorso incidentale
condizionato sulla base di un solo motivo
4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente principale
denuncia la violazione o falsa applicazione della legge 24.5.1970 n. 336 e
dell’art. 6 della legge 9.10.1971 n. 824, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc nonché l’erronea,
insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine alla individuazione
della disciplina applicabile. Sostiene che la Corte territoriale aveva commesso
un chiaro errore nella interpretazione delle norme che costituivano il presupposto
collegato alla erogabilità dei benefici combattentistici, di cui al merito
della controversia, in particolare dell’art. 6 sopra citato la cui disciplina
normativa era inapplicabile in quanto non si verteva in un rapporto di pubblico
impiego, bensì in un rapporto di lavoro subordinato di natura privatistica;
inoltre, richiama le argomentazioni del Tribunale, che aveva escluso la
sussistenza di un litisconsorzio necessario con l’ex datore di lavoro, sul
presupposto che l’unico soggetto debitore del trattamento pensionistico
obbligatorio fosse solo l’INPS.
3. Con il secondo motivo del ricorso principale si
censura la violazione o falsa applicazione dell’art.
102 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e
n. 5 cpc, nonché l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine
alla necessarietà del litisconsorzio, perché la Corte territoriale, con un
confuso fraintendimento, era partita da presupposti del tutto errati nella
ricostruzione giuridica della questione del litisconsorzio necessario e perché
non aveva specificato da quali elementi si sarebbe desunto il litisconsorzio
necessario atteso che l’INPS avrebbe avuto diritto all’azione di rivalsa e al
recupero a carico degli enti datori di lavoro della somma capitale corrisposta
per benefici combattentistici ai lavoratori e in considerazione che il fondo
pensione per il personale dell’ex Banca di Roma aveva il solo scopo di erogare
prestazioni complementari rispetto a quelle erogate dal sistema obbligatorio
pubblico, sicché l’unico contraddittore rimaneva l’Ente previdenziale, mancando
una diretta correlazione con il fondo integrativo della Banca.
4. Con il ricorso incidentale condizionato l’INPS
lamenta la violazione degli artt.
7 e 8 della legge 11 agosto 1973 n. 533 e dell’art.
433 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4
cpc, per non avere rilevato la Corte di appello la improponibilità
dell’azione giudiziaria in considerazione della mancata presentazione della
domanda amministrativa volta ad ottenere l’applicazione dei benefici richiesti.
Deduce che la questione era stata oggetto di uno
specifico motivo di appello che i giudici di secondo grado non avevano valutato
e che non era stata fornita alcuna prova sulla presentazione della suddetta
domanda.
5. I primi due motivi del ricorso principale, da
trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono infondati.
6. La decisione della Corte di appello, congruamente
motivata sul punto relativo alla questione del litisconsorzio, è conforme al
consolidato orientamento di legittimità (Cass. n. 19088 del 2011; Cass. n. 9046
del 2011; Cass. n. 638 del 1998; Cass. n. 7691 del 1990), cui si intende dare
seguito non essendo stati prospettati elementi significativi per discostarsi da
esso, secondo il quale, nella controversia instaurata dal lavoratore per
ottenere, per effetto dell’applicazione dei benefici combattentistici, il
riconoscimento di un aumento fittizio di anzianità contributiva (normalmente di
sette anni, ovvero di dieci anni nei casi di mutilati e invalidi di guerra o di
vittime civili di guerra) sia al fine del compimento dell’anzianità necessaria
per conseguire il diritto a pensione, sia ai fini della quantificazione della
pensione stessa, il contraddittore principale è l’ente previdenziale, ma il
datore di lavoro è parte necessaria del giudizio stesso in quanto è interessato
a contrastare la suddetta pretesa, essendo tenuto a versare all’ente
previdenziale il “corrispettivo in valore capitale dei benefici” in
argomento.
7. Né è condivisibile la differenza, propugnata dal
ricorrente principale, circa la necessità o meno di integrare il
contraddittorio con il datore di lavoro a seconda che si tratti di un rapporto
di lavoro pubblico o privato.
8. Invero, a prescindere dal fatto che, se il
ricorrente non fosse stato assimilato ad uno dei soggetti di cui alle leggi n.
336 del 1970 e n. 824 del 1971, non avrebbe potuto vantare alcun diritto ai
benefici richiesti in quanto, in questo caso, sarebbe stato applicabile l’art. 6 della legge n. 140 del 1985
con il solo riconoscimento di una maggiorazione simbolica della pensione, sotto
il profilo logico va osservato che proprio la corretta qualificazione del
rapporto di lavoro, rilevante ai fini dell’incidenza sul datore di lavoro,
richiede a maggior ragione la necessaria partecipazione del datore di lavoro ai
fini della opponibilità della pronuncia giurisdizionale in materia.
9. Alla stregua di quanto esposto il ricorso
principale deve, pertanto, essere rigettato.
10. Conseguentemente la trattazione del ricorso
incidentale condizionato resta assorbita.
11. Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a
carico del ricorrente principale.
12. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012
n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo
limitatamente al ricorrente principale; il controricorrente, il cui ricorso
incidentale sia dichiarato assorbito, non può essere condannato al pagamento
del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle
sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o
improcedibilità dell’impugnazione, ex art. 13 comma 1 quater, del DPR n. 115
del 2002 (cfr. Cass. 25.7.2017 n. 18348; Cass. 19.7.2018 n. 19188).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, assorbito quello
incidentale.
Condanna il ricorrente principale al pagamento, in
favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che
liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli
accessori di legge. Ai sensi dell’art.
13, comma 1 quater del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.