Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2020, n. 21306
Licenziamento collettivo, Violazione dei criteri di scelta,
Delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento,
Valutazione della infungibilità delle posizioni lavorative
Rilevato che
1. Con sentenza n. 5223 del 28.9.2018 la Corte
d’appello di Napoli, pronunziando in sede di reclamo, in riforma della sentenza
di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento collettivo intimato
da G. s.r.l. in data 19.2.2016 a R.B., inquadrato come impiegato livello 5S
presso l’unità produttiva di Casavatore, ed ha condannato la società alla
reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria
pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ex art. 18, comma 5, della legge n.
300 del 1970.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che il
licenziamento intimato ex lege
n. 223 del 1991 – limitato alla sola sede aziendale di Casavatore –
risultava affetto da violazione procedurale consistente nella rappresentazione,
nell’ambito della comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, legge n. 223 del
1991, di uno stato di crisi economica di tutte le attività svolte nella
provincia di Napoli dovuta alla perdita del cliente T.I. s.p.a. e alla
riduzione progressiva della commessa Banca Intesa, ma carente della
illustrazione relativa alla situazione specifica del personale delle altre
unità produttive necessaria ai fini della valutazione della infungibilità e
dedotta obsolescenza delle mansioni svolte dagli addetti alla sede in crisi,
con conseguente assenza di giustificazione della limitazione della platea dei
lavoratori da licenziare alla sola sede di Casavatore, violazione dei criteri
di scelta e applicazione della tutela reintegratoria.
3. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso la società G. s.r.l. sulla base di due motivi; il lavoratore intimato
ha resistito con tempestivo controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, cod.
proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 4, commi 3 e 5, e 5, comma 1,
della legge n. 223 del 1991, per mancata valutazione, da parte della Corte
territoriale, sia della indicazione – nella comunicazione di apertura della
procedura – della perdita delle ultime due commesse attive demandate alla sede
di Cavatore sia della distanza notevole degli altri siti produttivi della
società, indice di infungibilità delle posizioni lavorative. La legge n. 223 richiede esclusivamente
l’indicazione, nella comunicazione di avvio della procedura, dei motivi
dell’eccedenza e dei motivi per cui si ritiene di non poter ovviare ai
licenziamenti, indicazione soddisfatta, nel caso di specie, con la descrizione
della situazione di crisi della singola unità produttiva (perdita delle uniche
due commesse attive) e dell’andamento generale dell’azienda, apparendo del
tutto ultroneo procedere altresì alla descrizione della situazione di tutte le
altre unità produttive ove le stesse (oltre a collocarsi a notevole distanza
dalla sede in crisi) siano dotate di autonomia produttiva così come alla
“obsolescenza” degli addetti a tale sede.
2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., omesso
esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ove ha ritenuto
indimostrata l’infungibilità dei lavoratori licenziati senza consentire di
provare circostanze di fatto dedotte dalla società sin dalla memoria di costituzione
in sede di opposizione e ritenute pacifiche dal Tribunale. La Corte
territoriale, ritenuta insufficiente la prima linea difensiva svolta dalla
società, aveva il dovere di prendere in considerazione le difese spese da G. in
via gradata e di consentirle di adempiere processualmente all’onere probatorio
dedotto.
3. I motivi di ricorso, che possono essere esaminati
congiuntamente, non sono fondati.
3.1. In tema di licenziamento collettivo per
riduzione di personale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di
personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore
ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, tuttavia è necessario che
queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui
all’art. 4, terzo comma, legge
n. 223 del 1991 ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che
giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. nn. 203, 4678
e 21476 del 2015, Cass.
n. 2429 e 22655 del 2012, Cass. n. 9711 del
2011). Ben può quindi il datore di lavoro circoscrivere ad una unità
produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma deve indicare nella
comunicazione ex art. 4, comma
3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti
ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non
ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al
fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva
necessità dei programmati licenziamenti. Qualora, nella comunicazione si faccia
generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza
alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti
intimati sono illegittimi per violazione dell’obbligo di specifica indicazione
delle oggettive esigenze aziendali (cfr. Cass. n.
4678 del 2015 cit.).
3.2. Va, invero, applicato il principio, ormai
consolidato, secondo cui la comparazione dei lavoratori – al fine di
individuare quelli da avviare alla mobilità – non deve necessariamente
interessare l’intero complesso aziendale, ma può avvenire (secondo una
legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze
tecnico – produttive) nell’ambito della singola unità produttiva, purché,
peraltro, la predeterminazione del limitato campo di selezione sia giustificata
dalle suddette esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato
luogo alla riduzione del personale; deve escludersi la sussistenza di dette
esigenze ove i lavoratori da licenziare siano idonei – per acquisite esperienze
e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti
dell’azienda con positivi risultati – ad occupare le posizioni lavorative di
colleghi addetti ad altri reparti o sedi (cfr. in particolare, Cass. n. 13783 del 2006).
3.3. Dunque, come anche recentemente ribadito da
questa Corte (cfr. Cass. n. 981 del 2020, Cass. n. 14800 del 2019), la delimitazione della
platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di
licenziamento è condizionata agli elementi acquisiti in sede di esame congiunto
nel senso cioè che, ove non emerga il carattere infungibile dei lavoratori
collocati in CIGS o comunque in difetto di situazioni particolari evidenziate
sempre in sede di esame congiunto, la scelta deve interessare i lavoratori
addetti all’intero complesso.
3.4. Qualora il progetto di ristrutturazione
aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una unità produttiva o ad un
settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare
quelli da avviare alla mobilità, può essere limitata agli addetti all’unità o
al settore da ristrutturare, in quanto ciò non sia l’effetto dell’unilaterale
determinazione del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle
esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale (Cass. n. 2429 del 2012; Cass. n. 22655 del 2012; Cass. n. 203 del 2015); i motivi di restrizione
della platea dei lavoratori da comparare devono essere adeguatamente esposti
nella comunicazione di cui all’art.
4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, onde consentire alle OO.SS. di
verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le
unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere (ex plurimis Cass. n. 32387 del 2019, Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 22825 del 2009; Cass. n. 880 del 2013).
4. Nel caso di specie, con accertamento
insindacabile in questa sede di legittimità, la Corte territoriale ha rilevato
che la infungibilità del personale operante presso la sede di Napoli Casavatore
e in particolare l’obsolescenza del bagaglio professionale vantato dai dipendenti
addetti a tale sede non ha costituito oggetto della comunicazione di apertura
della procedura ex legge n. 223 del 1991. Ed
invero la società, con il secondo motivo di ricorso, evidenzia la proposta,
avanzata in sede di confronto sindacale, di un piano di riqualificazione di
tutto il personale della sede di Napoli Casavatore (circostanza dedotta nella
memoria in sede di opposizione, in parte riprodotta) senza peraltro evidenziare
se la specifica situazione delle altre sedi nazionali (Roma, Milano, Venezia)
era stata indicata nella comunicazione di avvio della procedura, circostanza
che avrebbe consentito un effettivo controllo sulla programmata riduzione di
personale.
4.1. La Corte territoriale, ritenendo – nel caso in
esame – indispensabile per un effettivo controllo sindacale della decisione di
mobilità anche la comunicazione, in sede di apertura della relativa procedura,
delle specifiche condizioni in cui lavoravano gli addetti delle altre sedi,
ragioni per cui non si era ritenuto di estendere la selezione pure agli addetti
alle altre strutture che gestiva, ha rispettato i principi sopra enunciati
della necessaria verifica della compatibilità, quanto al contenuto della
comunicazione preventiva, della disciplina di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991
estesa anche alla chiusura di un insediamento produttivo, con i risultati in
concreto perseguibili in relazione a tale chiusura.
5. Va, infine, evidenziato che nessuna specifica
censura viene sollevata in relazione alla mancata ammissione dei mezzi di prova
richiesti dalla società, bensì il ricorrente si limita a dolersi della mancata
valutazione del documento prodotto in giudizio, concernente l’ipotesi di accordo
tra la società e i rappresentanti dei lavoratori (relativo ad un programma di
integrale riqualificazione professionale di tutto il personale), che esula dal
decisum della Corte territoriale concernente le carenze della comunicazione di
avvio della procedura.
6. In conclusione, il ricorso va rigettato e le
spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
7. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro
200,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13,
se dovuto.