Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 ottobre 2020, n. 21479

Accertamento negativo del debito per contributi previdenziali
– Sospensione disposta dal datore ed accettata dai dipendenti, per mancanza di
commesse, Autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello lavorativo,
Rispetto della misura dell’obbligo contributivo previdenziale, Retribuzione
commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di
lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza del 28.1.14, la Corte d’Appello di
Bologna, in riforma di sentenza del tribunale di Forlì, ha accolto la domanda
del datore di lavoro indicato in epigrafe volta ad opporsi a verbale ispettivo
INPS e ad accertare negativamente la sussistenza del debito per contributi
previdenziali nei confronti dell’INPS, con riferimento al periodo
1.1.02-30.6.02, per importo complessivo di oltre euro 100.228,00.

2. In particolare, la corte territoriale ha
affermato l’inesistenza del debito contributivo in questione in ragione della
sospensione – disposta dal datore ed accettata dai dipendenti- dei lavoro, per
mancanza di commesse, e della corrispettiva obbligazione retributiva.

3. Avverso tale sentenza ricorre l’INPS per un
motivo; il datore è rimasto intimato.

 

Considerato che

 

4. Con unico motivo di ricorso – proposto ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – si deduce violazione
dell’art. 1 d.l. 338/89,
conv. In I. 389/89, per avere la sentenza
impugnata escluso la contribuzione nonostante l’autonomia del rapporto
contributivo rispetto a quello lavorativo.

5. Il motivo è fondato.

6. La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo
affermato l’autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello lavorativo (Cass. Sez. L, Sentenza n. 3491 del 14/02/2014).

7. Da tale principio di autonomia del rapporto
contributivo rispetto alle vicende dell’obbligazione retributiva deriva la
regola del cd. minimale contributivo, che prevede l’obbligo datoriale -a
prescindere da eventuali pattuizioni individuali difformi nell’ambito del
rapporto di lavoro – di rispetto della misura dell’obbligo contributivo
previdenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di
ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla
contrattazione collettiva, secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva
incidenza sul rapporto previdenziale – dall’art. 1 del d.l. 9 ottobre 1989 n.
338 (convertito in legge 7 dicembre 1989 n. 389).

8. Il principio ha fondamento nelle stesse finalità
pubblicistiche della contribuzione previdenziale, posto che -come evidenziato
dalla Corte costituzionale nella sentenza 20 luglio
1992, n. 342- “una retribuzione (…) imponibile non inferiore a
quella minima (è) necessaria per l’assolvimento degli oneri contributivi e per
la realizzazione delle finalità assicurative e previdenziali, (in quanto), se
si dovesse prendere in considerazione una retribuzione imponibile inferiore, i
contributi determinati in base ad essa risulterebbero tali da non poter in
alcun modo soddisfare le suddette esigenze”.

9. In relazione a ciò, questa Corte (Cass. Sez. L – , Sentenza n. 15120 del 03/06/2019,
Rv. 654101 – 01) ha già avuto modo di affermare, in via generale ed a
prescindere dal settore di attività del datore, che la regola del cd. minimale
contributivo opera sia con riferimento all’ammontare della retribuzione c.d.
contributiva, sia con riferimento all’orario di lavoro da prendere a parametro,
che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione
collettiva o dal contratto individuale se superiore, atteso che è evidente che
se ai lavoratori vengono retribuite meno ore di quelle previste dal normale
orario di lavoro e su tale retribuzione viene calcolata la contribuzione, non
vi può essere il rispetto del minimo contributivo nei termini sopra
rappresentati.

10. Ne deriva che la contribuzione è dovuta anche in
caso di assenze o di sospensione concordata della prestazione che non trovino
giustificazione nella legge o nel contratto collettivo, bensì in un accordo tra
le parti che derivi da una libera scelta del datore di lavoro (v. Cass. n. 21700 del 13/10/2009, Cass. n. 9805 del 04/05/2011 e successive
conformi, che hanno superato la diversa soluzione adottata da Cass. n. 1301 del 24/01/2006, ed altre
precedenti).

11. Va infatti esclusa la libertà delle parti di
modulare l’orario di lavoro e la stessa presenza al lavoro con effetto
sull’obbligazione contributiva, considerato che quest’ultima è svincolata dalla
retribuzione effettivamente corrisposta e dev’essere connotata dai caratteri di
predeterminabilità, oggettività e possibilità di controllo.

12. Ciò vale anche nel caso di attenuazione o cessazione
temporanea dell’attività lavorativa per insussistenza di commesse, essendo tali
eventi ricompresi nell’ambito del rischio imprenditoriale che grava sul datore
di lavoro in via esclusiva, senza che ciò possa riflettersi sull’obbligo
contributivo.

13. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata
in parte qua e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Bologna in diversa
composizione, anche per le spese di lite.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa la
sentenza impugnata in parte qua e rinvia alla Corte d’appello di Bologna in
diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità.

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