Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 ottobre 2020, n. 21590
Infortunio mortale, Rendita Inail ai superstiti, Delitto di
omicidio colposo, Sentenza di patteggiamento, Mancata ottemperanza alle
misure di prevenzione, igiene e sicurezza del lavoro, Diritto di regresso,
Eccezione di decadenza o di prescrizione del diritto
Rilevato che
l’INAIL, con ricorso depositato il 16 giugno 2008,
ha convenuto in giudizio S.A.C. per sentirlo condannare al rimborso della somma
capitalizzata della rendita erogata ai superstiti in relazione all’infortunio
mortale occorso al dipendente A.M. in data 26 luglio 1999, che, era rimasto
ucciso a seguito del crollo della gru che stava smontando unitamente al C.;
all’esito, il Tribunale di Oristano, con sentenza n.
74 del 2012, accoglieva la domanda, accertando in via incidentale la
responsabilità penale del C. per il delitto di omicidio colposo aggravato ai
danni del lavoratore e condannando il convenuto al pagamento a favore
dell’INAIL della somma di Euro 172.169,01, oltre interessi; il Tribunale,
inoltre, rigettava la domanda di garanzia proposta dal C. nei confronti di F.A.
s.p.a., chiamata in causa;
la decisione anzidetta, impugnata dal C., è stata
confermata dalla Corte d’Appello di Cagliari con sentenza n. 13 del 2014, che,
disattesa l’eccezione di prescrizione riproposta dall’appellante, alla stregua
della sentenza di patteggiamento penale ex art. 444
c.p.p. e degli esiti dell’ attività istruttoria espletata in primo grado,
attestante che il datore di lavoro non aveva ottemperato alle misure di
prevenzione, igiene e sicurezza del lavoro, accertava la responsabilità penale
del C., presupposto del diritto di regresso azionato dall’istituto
previdenziale;
S.A.C. ricorre per cassazione con due motivi;
INAIL e F.A. s.p.a. resistono con controricorso.
INAIL ha depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 112 del D.P.R. n.
1124 del 1965 e dell’ art. 2697 c.c., per
avere il giudice di appello respinto il motivo d’appello con il quale era stata
ritualmente riproposta l’eccezione di decadenza o della prescrizione del
diritto azionato dall’INAIL in ragione del fatto che si era ritenuto
equivalente all’accertamento penale di condanna la sentenza del Tribunale di
Oristano n. 19 del 2001 del 13 febbraio 2001, di applicazione della pena su
richiesta, i contenuti della quale e la sua stessa esistenza erano stati
contestati dall’odierno ricorrente;
il motivo, singolarmente intestato alla violazione
dell’art. 360, primo comma n.4, c.p.c., pur
rappresentando violazioni di legge sostanziale, è infondato;
lo stesso sconta un difetto di specificità laddove
riferisce di aver contestato nel corso del giudizio la specifica circostanza
della effettiva esistenza della sentenza di patteggiamento del 13 febbraio
2001, considerata dalla sentenza impugnata come un tipo di accertamento penale,
senza riportare il passo dell’atto del processo di primo grado nel quale tale
contestazione sarebbe avvenuta, né allegarlo al ricorso; tale carenza impedisce
alla Corte di cassazione di verificare quanto affermato dal ricorrente, con la
conseguenza che l’accertamento della sentenza impugnata, richiamando quanto
affermato dal primo giudice (come si arguisce dallo storico di lite), relativo
al fatto che il C. era stato sottoposto a procedimento penale di condanna conclusosi
con sentenza di patteggiamento n. 19/2001, non può essere scalfito dal ricorso
per cassazione;
ciò detto, va ricordato che secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte di cassazione ( Cass.
n. 2242 del 02/02/2007; Cass. n. 28295 del
2009 ) in tema di azione di regresso dell’Inail ai sensi dell’art. 112 d.P.R. n. 1124 del 1965
nei confronti delle persone civilmente responsabili per le prestazioni erogate
a seguito di infortunio sul lavoro, e avuto riguardo alla distinzione tra le
ipotesi in cui manchi un accertamento del fatto – reato da parte del giudice
penale (ove l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di decadenza) e
le ipotesi di sussistenza di tale accertamento con sentenza penale di condanna
(in cui l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di prescrizione),
la sentenza di applicazione della pena su richiesta dell’imputato, pronunciata
dal giudice penale ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., è equiparata ex art. 445 comma 1 –
bis, secondo periodo, cod. proc. pen., ad una di condanna, con la
conseguenza che il termine di cui all’art. 112 cit. si configura
come termine di prescrizione ed è pertanto suscettibile di interruzione;
inoltre, contrariamente a quanto dedotto dal
ricorrente, la Corte d’appello ha dato atto, senza che tale accertamento sia
stato specificamente denunciato con mezzo idoneo, che, dopo la sentenza di
patteggiamento, l’interruzione del termine prescrizionale da parte dell’INAIL è
avvenuto con le raccomandate elencate alla pagina 14 della sentenza;
con il secondo motivo, il ricorrente denuncia
violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,
1366 e 1370 c.c.
in tema di interpretazione del contratto, là dove la sentenza impugnata ha
rigettato anche il motivo d’appello relativo alla domanda di garanzia proposta
nei confronti della chiamata in causa F.A. s.p.a.; l’errore risiederebbe
nell’aver confuso la nozione di soggetto terzo, sovrapponendo il concetto di
vittima del fatto con quello giuridicamente diverso di danneggiato e così
negando che i congiunti del lavoratore deceduto, titolari di diritti iure
proprio e nei confronti dei quali l’INAIL ha agito in surroga, potessero essere
considerati terzi cui la polizza assicurativa era estesa;
il motivo è infondato giacché la Corte d’appello ha
applicato correttamente i canoni interpretativi che si pretendono violati. In
primo luogo ha riportato l’art. 3 lett. c) delle condizioni di polizza, che
delimita la copertura assicurativa e le esclusioni ed espressamente stabilisce
che non sono considerati terzi ai fini dell’assicurazione r.c.t. <le persone
che essendo in rapporto di dipendenza con l’assicurato subiscano il danno in
occasione di lavoro o di servizio> ed infatti la polizza per il massimale è
pari zero quanto alla responsabilità civile per i prestatori di lavoro;
dunque, dal testo del contratto e dalla concreta
disamina del documento che lo contiene, la Corte territoriale ha concluso che
la copertura del rischio fosse prevista nei confronti dei terzi, ma non in
favore dei lavoratori dipendenti e che, quindi, essa non si estendesse anche ai
congiunti dell’infortunato deceduto;
in altri termini, ciò si è ritenuto sul presupposto
che le istanze risarcitone formulate dagli originari ricorrenti (e la relativa
copertura assicurativa) derivavano da un’attività professionale di un soggetto
che non era “terzo” nell’accezione convenzionalmente fissata dal
contratto di assicurazione e che gli eredi dei lavoratori deceduti subentravano
nella medesima posizione contrattuale rivestita dal loro dante causa e ne
subivano il relativo effetto sotto il profilo assicurativo indipendentemente
dal titolo (iure proprio o iure hereditatis) sulla base del quale il
risarcimento era domandato;
le ragioni che sorreggono la statuizione non sono
validamente censurate;
si rileva che la critica alla interpretazione del
contratto di assicurazione, critica nella quale esclusivamente si sostanzia la
censura articolata, non è veicolata tramite la specificazione delle
considerazioni e del modo attraverso i quali il giudice del merito si sarebbe
discostato dai canoni legali di interpretazione, come prescritto dalla
giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 19044 del 2010, Cass. n. 15604 del
2007, in motivazione, Cass. n. 4178 del 2007);
in conclusione, il ricorso è destituito di
fondamento e va rigettato;
le spese del giudizio di legittimità seguono la
soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in Euro 7000,00 per compensi, oltre ad Euro
200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di
legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis,
ove dovuto.