Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 ottobre 2020, n. 21596

Conciliazione sottoscritta in sede sindacale, Risoluzione
consensuale del rapporto, Incentivo all’esodo, Nullità del verbale di
conciliazione per mancanza di valida causa negoziale, Dolo quale causa di
annullamento del contratto, Artifici, raggiri, reticenza o silenzio devono
essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto ed alle
qualità e condizioni soggettive dell’altra parte, Idoneità a sorprendere una
persona di normale diligenza, Affidamento non può ricevere tutela giuridica se
fondato sulla negligenza

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza n. 6262 depositata il 15.10.2015 la
Corte d’appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale di Roma, ha
respinto la domanda di G.A. proposta nei confronti della B. s.p.a. per
l’annullamento, per dolo, della conciliazione sottoscritta in sede sindacale il
13.3.2007 con la quale era stato risolto consensualmente il rapporto di lavoro
(intercorrente con la S. s.p.a. poi incorporata per fusione nella B. s.p.a.) e
corrisposto un incentivo all’esodo pari a 12 mensilità della retribuzione.

2. La Corte territoriale rilevava che le modalità di
stipulazione della conciliazione (effettuata in sede protetta sindacale), il
tenore dell’accordo (che prevedeva l’erogazione di un anno di retribuzione), le
dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero dallo stesso A. (che aveva
dichiarato come la sua preoccupazione era stata quella di “mantenere il
posto di lavoro”) escludevano che il lavoratore si fosse determinato a
conciliare solo per aver creduto che il procedimento per mobilità avviato dalla
società dipendesse dal calo di fatturato e non dalla imminente fusione con la
B. s.p.a. e che la nuova assunzione presso altra società (M.P. s.r.l.) non
fosse affidabile, circostanza, quest’ultima, che in ogni caso rientrava nel
prudente riscontro da effettuare da parte di persona di normale diligenza.

3. avverso tale sentenza il sig. A. ha domandato la
cassazione della sentenza per otto motivi, illustrati da memoria; la società ha
resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod.proc.civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 1325,
1418, 1421 cod.civ.
nonché omesso esame di un fatto decisivo, avendo, la Corte territoriale,
trascurato di sollevare d’ufficio la nullità del verbale di conciliazione per
mancanza di valida causa negoziale ovvero per negozio stipulato in frode alla
legge o per negozio stipulato per eludere l’applicazione di una norma
imperativa avendo, la società, proposto la stipulazione del contratto non per
“ridefinizione del proprio assetto organizzativo” (come si legge
nella premessa del verbale di conciliazione) bensì per depennare l’A. dalla
lista dei lavoratori collocati in esubero;

2. con il secondo, il terzo ed il quarto motivo il
ricorrente lamenta, ex art. 360, primo comma, nn. 3
e 5, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1418, 1427 e ss., 1439
cod.civ. nonché omesso esame di un fatto decisivo, avendo, la Corte
territoriale, trascurato di valutare il contrasto assoluto tra il verbale del
consiglio di amministrazione della S. s.p.a. del 17.1.2007 e la comunicazione
inviata alle organizzazioni sindacali inoltrata appena due giorni dopo
(contrasto evidenziato da alcune sentenze di giudici di merito al fine di
dichiarare la illegittimità del licenziamento collettivo intimato a colleghi
dell’A.), contrasto dal quale emerge la vera ragione aziendale della procedura
di mobilità avviata dalla società consistente non nel calo di fatturato bensì
nella imminente fusione con B. (società che già aveva personale con medesima
competenza posseduta dall’A., informatore scientifico per la L.P.C.); il
contrasto ha impedito una effettiva assistenza da parte del sindacato in sede
conciliativa; la volontà di conciliare dell’A., inoltre, era stata fuorviata
(se non del tutto impedita nella sua formazione) altresì dalla rassicurazioni
sulla stabilità della nuova società, la M.P., che, con contestuale e distinto
atto, procedeva ad una nuova assunzione; tutte circostanze che complessivamente
considerate, rappresentavano pienamente quei raggiri necessari per la
sussistenza del dolo, essendo evidente che egli, quale persona di ordinaria
diligenza, non si sarebbe mai determinato a stipulare una conciliazione che
prevedeva la risoluzione del rapporto di lavoro se la S. non lo avesse
raggirato, celando il vero motivo della procedura di mobilità, chiaramente
illegittima come dichiarato da diversi giudici di merito con riguardo a
colleghi di lavoro;

3. con il quinto ed il sesto motivo il ricorrente
lamenta, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5,
cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 3, della legge n.
223 del 1991 nonché omesso esame di un fatto decisivo, avendo, la Corte
territoriale, trascurato di valutare la violazione dell’obbligo della società
S. di procedere ad una corretta, preventiva informazione delle organizzazioni
sindacali in sede di procedimento per la mobilità del personale, con chiare
ripercussioni sulla stipula del verbale di conciliazione; i sindacati erano, a
tutto voler concedere, al corrente della fusione di S. con B. ma non
conoscevano gli specifici motivi della procedura di licenziamento collettivo
avviata dalla S.; la società M.P. – che con atto contestuale ha assunto l’A. –
era, già nel 2007, in drastico calo di fatturato e, ciò nonostante, ha
quintuplicato la propria forza lavoro (come emerge dalle dichiarazioni rese al
pubblico ministero nell’ottobre 2012 da C.M. nonché dal comunicato sindacale
Femca Cisl dell’aprile 2014) e tali circostanze, ignorate dall’A., hanno
determinato una rappresentazione distorta e fuorviante della realtà;

4. con il settimo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 1175
e 1375 cod.civ. nonché omesso esame di un fatto
decisivo, avendo, la Corte territoriale, trascurato di valutare la nullità del
verbale di conciliazione per abuso del diritto, essendo stato indotto, l’A., a
stipulare una conciliazione prospettata col raggiro come unica, valida e
percorribile alternativa alla impugnativa del licenziamento;

5. con l’ottavo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 115 cod.proc.civ.nonché omesso esame di un fatto
decisivo, avendo, la Corte territoriale, trascurato di valutare la richiesta di
ammissione dei mezzi istruttori (prova testimoniale ed istanza di esibizione
del verbale del consiglio di amministrazione del 17.1.2007);

6. preliminarmente, il ricorso – che ripropone le
medesime censure oggetto di appello avanti alla Corte territoriale – è
prospettato con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di
ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto,
quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto del verbale del consiglio di
amministrazione S. del 17.1.2007, del comunicato alle organizzazioni sindacali
del 19.1.2007, della lettera di avvio del procedimento per licenziamento
collettivo riguardante i colleghi dell’A., fornendo al contempo alla Corte
elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti
processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere,
rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.proc. civ. (Cass. n. 3224 del 2014; Cass. SU n. 5698 del
2012; Cass. SU n. 22726 del 2011);

7. il ricorso presenta ulteriori profili di
inammissibilità in quanto, nonostante il formale richiamo alla violazione di
norme di legge contenuto nella rubrica dei motivi di ricorso, tutte le censure
si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per
diversa interpretazione dei fatti già esaminati dalla Corte del merito che li
ha ritenuti irrilevanti ai fini della prova del dolo, con valutazione non
sindacabile nella presente sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.;

8. al riguardo va ricordato che la deduzione con il
ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non
conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della
vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza
giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del
merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una
autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti
il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura
delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito
(vedi, tra le tante: Cass. nn. 37, 313, 9043 e 21486 del 2011; Cass. n. 20731 del 2007;
Cass. n. 18214 del 2006);

9. la sentenza in esame (pubblicata dopo
l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ. (d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con
modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134):
l’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di
questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014),
comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede
di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo
costituzionale”, ossia al controllo sulla esistenza (sotto il profilo
della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il
profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità
manifesta)”;

10. nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e
la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a
giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o
contraddittori avendo, la Corte territoriale, rilevato che le circostanze
dedotte dal lavoratore (ossia il contrasto tra il verbale del consiglio di
amministrazione S. del 17.1.2007 con la comunicazione alle organizzazioni
sindacali e l’avvio della procedura di mobilità collettiva nonché l’asserzione,
da parte del Direttore del personale S., della “solidità” della M.P.)
erano inidonee ad assumere valenza determinativa della volontà contrattuale
dell’A., assumendo decisivo rilievo, in senso contrario, altri elementi di
fatto quali: la corresponsione di una somma rilevante a titolo di
incentivazione all’esodo, l’assenza di alcun riferimento (nell’atto di
conciliazione) alla procedura di mobilità, l’effettiva assunzione, da parte di
S., di licenziamenti collettivi per tutti i colleghi della linea produttiva a
cui apparteneva l’A. (restando comunque evento futuro ed incerto il loro venir
meno a seguito di reazione giudiziaria), il probabile coinvolgimento (a seguito
di fusione con la B.) di un licenziamento collettivo anche dei colleghi della
B. con conseguente incertezza sul mantenimento in servizio dell’A. (sulla base
dei dati di anzianità e carichi di famiglia, dedotti per la prima volta in sede
di appello), l’effettiva sussistenza di una situazione di calo di fatturato
della S. sin dal 2006 e perdurata nel corso dell’anno 2007, la conoscenza, da
parte delle organizzazioni sindacali, sin dal 2006 del progetto di fusione,
reso noto ai lavoratori (e anche all’A., sindacalista, RSU, sino al 2004);

11. la Corte territoriale si è correttamente
conformata all’indirizzo consolidato di questa Corte secondo cui, in tema di
dolo quale causa di annullamento del contratto, gli artifici o i raggiri, la
reticenza o il silenzio devono essere valutati in relazione alle particolari
circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni soggettive dell’altra parte,
onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza,
giacché l’affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla
negligenza (Cass. n. 1585 del 2017; Cass. n. 11009 del 2018) procedendo ad una
valutazione complessiva dei fatti, insindacabile nella presente sede di
legittimità;

12. in conclusione, il ricorso va dichiarato
inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato
dall’art. 91 cod.proc.civ.;

13. sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 200,00 per
esborsi e in euro 5.250,00 per competenze professionali, oltre spese generali
al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 ottobre 2020, n. 21596
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