Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 ottobre 2020, n. 27582
Reato di “caporalato”, Intermediazione illecita e
sfruttamento del lavoro, Condizioni di sfruttamento, Retribuzione inferiore a
quella contrattuale, nessun mezzo di protezione, alcun riconoscimento di ferie
e del riposo settimanale, Stato di bisogno connesso alla situazione di
assoluta indigenza, Indici di rilevazione della fattispecie attinenti ad una
condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore
1. II Tribunale per il riesame di Reggio Calabria,
adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen.,
il 14 febbraio – 24 marzo 2020 ha confermato l’ordinanza con cui il G.i.p. del
Tribunale di Palmi il 20 dicembre 2019 ha applicato a G.S., indagato per il
reato di “caporalato” (art. 603-bis cod.
pen.: intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), fatti commessi
nei mesi di ottobre-novembre 2018, gli arresti domiciliari (in origine), in
seguito sostituiti con la misura cautelare dell’obbligo di dimora.
2. A G.S. si contesta al capo n. 32 dell’editto di
avere, quale datore di lavoro – presidente della cooperativa agricola
“C.” di Taurianova, assunto ed impiegato manodopera attraverso
l’intermediazione di S.B., in particolare sottoponendo sette lavoratori
extracomunitari a condizioni di sfruttamento in relazione alla retribuzione
inferiore a quanto prescritto dai contratti collettivi nazionali o territoriali
applicabili e comunque sproporzionato per difetto (ossia in concreto trenta
euro a giornata lavorativa), alle condizioni di lavoro (i braccianti non
avevano seguito nessun corso di formazione per la sicurezza e non erano muniti
di alcun mezzo di protezione), agli orari di lavoro (lavorando otto ore al
giorno, anziché sei e trenta, senza alcun riconoscimento aggiuntivo) ed alle
ferie (spesso non godendo del riposo settimanale), approfittando del loro stato
di bisogno connesso alla situazione di assoluta indigenza (vivendo i lavoratori
nella tendopoli di S. ed essendo totalmente subordinati rispetto al
“caporale” S.B.).
3. Ricorre per la cassazione dell’ordinanza
l’indagato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a due motivi, con i quali
denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
3.1. Con il primo motivo, in particolare (pp. 1-7
del ricorso), S.B. lamenta violazione dell’art.
603-bis, cod. pen. ed assenza, carenza, erroneità e contraddittorietà della
motivazione rispetto al compendio investigativo ed ai motivi addotti dalla
difesa, anche sotto il profilo del travisamento degli indizi quanto alla
ritenute esistenza di un accordo tra G.S. e S.B. ed alla ritenuta convergenza
delle dichiarazioni delle persone offese.
Si sarebbe trascurato da parte dei giudici di
merito, anzitutto, che i controlli sono stati effettuati soltanto in due
occasioni, cioè il 3 ed il 12 ottobre 2018, e che all’esito si sarebbe desunto
che unicamente il presunto “caporale” S.B. si rapportasse con i lavoratori,
e non già il datore di lavoro, mentre difetterebbe la prova di qualsiasi altro
incontro: al riguardo «la difesa […] eccepisce l’errore del Collegio nel
ritenere esistente la prova di un accordo tra indagato e presunto caporale
esclusivamente dalla presenza dello stesso nel sito della cooperativa [nelle
due richiamate occasioni], omettendo la valutazione dell’assenza totale di
precedenti incontri» (così alla p. 2 del ricorso).
Quanto all’affermazione dei giudici di merito che
fosse il presunto “caporale”, di fatto, a stipulare i contratti di
lavoro con gli extracomunitari e non già l’imprenditore, si osserva che
l’Ispettorato del lavoro in entrambe le occasioni, il 3 e il 12 ottobre 2018,
non ha elevato nessuna sanzione, attestando per contro la regolarità dell’assunzione
dei braccianti agricoli.
I giudici di merito avrebbero, erroneamente ed
illegittimamente, neutralizzato la prova che i contratti venivano stipulati
davanti a G.S., e non già a S.B., affermando (p. 5 dell’ordinanza), ma solo
assertivamente, che «i lavoratori avevano avuto rapporti solo con il caporale».
Peraltro, non sarebbero attendibili le dichiarazioni
sulla retribuzione rese dai lavoratori sentiti dalla polizia giudiziaria il 3
ed il 12 ottobre 2018, in quanto essi avevano iniziato a lavorare da troppo
poco tempo; anzi, due di essi, come comprovato dagli Ispettori del lavoro,
proprio il giorno 12 ottobre 2018 stavano stipulando il contratto.
Inoltre, non sarebbe condivisibile il ragionamento
svolto dal Tribunale di Reggio Calabria circa la ritenuta attendibilità delle
dichiarazioni delle persone offese, le quali, per consolidato orientamento
giurisprudenziale, vanno sottoposte ad attento vaglio di credibilità.
Ancora: l’affermazione dei giudici di merito secondo
cui la sottoscrizione da parte del lavoratore del documento in cui si dà atto
di avere ricevuto i mezzi di protezione individuale non è idonea a provare
l’effettivo utilizzo degli stessi sarebbe un totale travisamento della prova,
non avendo l’Ispettorato del lavoro contestato l’assenza di dispositivi di
protezione (acronimo: d.p.i.) ed essendo, tra l’altro, la p.g. intervenuta
prima dell’inizio della prestazione lavorativa, quando cioè i lavoratori non
erano tenuti ad indossare i d.p.i.
Si sottolinea criticamente anche la «strana sovrapponibilità
delle dichiarazioni di tutti e sette i lavoratori (che, si aggiunge, non
parlano e/o capiscono lì italiano) […e] l’impossibilità oggettiva
dell’ascolto simultaneo di tutti i soggetti, da part sempre dei medesimi
verbalizzanti, nel solo arco temporale che va dalle 9.50 alle 10.00 del
12/10/2018» (cosi alla p. 4 del ricorso); due dei lavoratori, come si è detto,
sono stati assunti proprio lo stesso 12 ottobre 2018.
Ancora: «Per tutti i lavoratori vi è prova
(pretermessa dal Collegio) del pagamento tracciato con data precisa e
successiva al giorno della loro escussione, ed in tal senso appare inventato il
dato afferente a trattenute e/o consegna di tasse e trasporto da parte del S. a
tale B. […] non essendo possibile accertare precisi orari di lavoro sul solo
presupposto di s.i.t. oggettivamente incompatibili e smentite» (così alle pp.
4-5 del ricorso).
La inattendibilità di tutte le sommarie informazioni
testimoniali si ricaverebbe, peraltro, dall’incipit dei verbali, in cui si
legge che i braccianti lavoravano da circa un mese, in netto contrasto con
quanto si legge nei contratti di lavoro: sicché, ad avviso del ricorrente,
l’inizio dell’attività lavorativa un mese prima del controllo della p.g.
sarebbe una circostanza totalmente inventata; e men che meno sarebbe credibile
la dichiarazione di – almeno – due lavoratori (su sette) che erano in via di
assunzione il 12 ottobre di lavorare anche la domenica, poiché essi ancora non
avevano iniziato l’attività subordinata.
Né si potrebbe imputare al ricorrente S. di avere
sfruttato lavoratori provenienti da situazioni di indigenza e di degrado,
«omettendo di rilevare che secondo le stesse [sommarie informazioni delle
persone offese], il S. non conoscesse da prima i lavoratori e la loro
provenienza poiché questi ultimi a detta dell’ordinanza, conoscevano solo il
B., Ragionare differentemente equivale ad inventare un infondato binomio
extracomunitario = tendopoli. Né è imputabile al ricorrente la condizione di
degrado quando non vi è prova della conoscenza diretta di quel sto da parte
dell’indagato» (così alla p. 5 del ricorso).
Il ricorrente si lamenta per avere il Tribunale per
il riesame liquidato, si ritiene con mere formule di stile, la rilevanza della
documentazione offerta dalla difesa quanto alla regolarità dell’assunzione dei
lavoratori, documentazione comprensiva delle dichiarazioni rese da C.I.A.,
incaricato di accompagnare con un furgone Mercedes i lavoratori per conto di
G.S., e dal Ministro di C.G.M., socio della cooperativa e titolare del terreno
su cui si svolgeva la raccolta, circa le corrette condizioni contrattuali degli
extracomunitari, il trattamento umano che ricevevano e la generosità del
ricorrente, il quale in un’occasione aveva pagato di sua tasca il volo aereo di
rientro in Africa ad un operaio, e che era benvoluto dai lavoratori.
2.2. Con il secondo motivo (pp. 7-8 dell’atto di
impugnazione) il ricorrente censura violazione dell’art.
274, lett. c), cod. proc. pen., «erronea applicazione e valutazione delle
esigenze cautelari con riguardo alla scelta della misura e contrasto di
motivazione».
La motivazione in punto di sussistenza ed intensità
delle esigenze cautelari sarebbe affidata a mere congetture e a valutazioni di
tipo astratto, enfatizzando la pretesa gravità dei fatti, in contrasto,
tuttavia, con le circostanze che, come si è già detto, l’indagato non conosceva
la provenienza degli operai dalla baraccopoli di S. e, quindi, il loro stato di
bisogno, che i fatti sono, ai più, circoscritti ad un breve periodo (1-12
ottobre 2018), che ¡’indagato non è il proprietario dei terreni, che subito
dopo il 12 ottobre 2018 il ricorrente ha provveduto a fornire un conducente
della ditta per il trasporto dei lavoratori (come risulta da un’annotazione di
polizia giudiziaria del 16 novembre 2018).
Infine, difetterebbe «lo scrutinio del fatto che non
possono esistere occasioni prossime fino alla nuova annata agrumaria di ottobre
2020. E’ quindi stata omessa la valutazione normativa della misura in atto,
tramutando in tal senso la stessa in un illegittimo anticipo di pena rispetto
all’eventuale condanna in astratto applicabile, in caso di rito alternativo,
comunque contenuta nei limiti della sospensione condizionale della pena» (così
alla p. 8 del ricorso).
Si chiede, dunque, l’annullamento dell’ordinanza
impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato,
per le seguenti ragioni.
2. Le censure svolte dalla difesa in punto di
gravità indiziaria sono “parcellizzanti”, costruite in fatto e si
limitano ad indicare una diversa – e più favorevole all’indagato –
interpretazione del materiale istruttorio raccolto.
Va considerato che Sez. 4, n. 49781 del 09/10/2019,
Kuts Olena, Rv. 277424 ha di recente – assai condivisibilmente – puntualizzato che
«La mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino
extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di
disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé
costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all’art. 603-bis cod. pen. caratterizzato, al
contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione
attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione
del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili
normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di
sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti
condizioni di lavoro e di alloggio».
Di tale principio di diritto fa corretta
applicazione nel caso di specie il Tribunale di Reggio Calabria, che ha
complessivamente e prudentemente soppesato una serie di elementi fattuali
(desunti dalle dichiarazioni dei lavoratori, stimate – non illogicamente –
attendibili, e da quanto osservato direttamente dalla p.g.) che ha – non
incongruamente – ritenuto dimostrativi dello sfruttamento dei lavoratori da
parte del “caporale” e, quindi, del datore di lavoro che se ne avvaleva:
non solo la durata oraria della prestazione, la retribuzione e la penosa
situazione personale ed abitativa degli operai extracomunitari ma anche la
decurtazione “obbligatoria” di parte non irrilevante del compenso
quale corrispettivo per l’accompagnamento in auto da parte di B., la mancanza
di dotazioni di sicurezza, il previo mancato svolgimento di corsi di
formazione, la mancata fruizione di un giorno di riposo settimanale.
Si tratta di motivazione, nel complesso, congrua e
logica, immune da vizi sindacabili in sede di legittimità.
3. Quanto al profilo delle esigenze cautelari, si
osserva, in relazione al ravvisato pericolo di recidiva (pp. 6-7), che
costituisce condivisibile principio di diritto quello secondo cui «In tema di
impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è
ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge,
ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i
canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone
censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una
diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito» (Sez. 4,
n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884-01; in conformità, Sez. 4, n. 2458
del 2 dicembre 2014, dep. 2015, Castorina, non mass, sul punto, in motivazione;
Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178-01; Sez. 5, n. 46124 del
08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997-01).
Dovendosi fare applicazione del richiamato
principio, si osserva che l’ordinanza impugnata è, in relazione alla
valutazione delle esigenze cautelari (che si rinviene alle pp. 6-7), non
soltanto immune da violazione di norme di legge ma non manifestamente illogica
nella individuazione dell’an del rischio di recidiva e della intensità della
stesso, rischio ritenuto dal Tribunale di Reggio Calabria salvaguardabile con
la misura non custodiale in corso di esecuzione.
4. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.),
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.