Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 ottobre 2020, n. 22231

Interposizione illecita di manodopera, Contratto di appalto
di servizi logistici, Deposizioni testimoniali, Riduzione delle liste
testimoniali, Carattere discrezionale delle scelte relative alle modalità
istruttorie, Fondatezza del vizio di nullità, Alcuna descrizione della
vicenda sostanziale e processuale

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n.
10062/2014, pronunciando sull’appello principale e su quello incidentale, in
riforma della sentenza impugnata, rigettava integralmente la domanda proposta
dai nominati in epigrafe, dipendenti della società R., i quali aveva avevano
agito per l’accertamento dell’interposizione illecita di manodopera e il
riconoscimento della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato alle
dipendenze della società C.D.P., con la quale la società R. aveva stipulato un
contratto di appalto di servizi logistici.

2. Risulta dalla sentenza di appello che la domanda
era stata parzialmente accolta in primo grado per il periodo successivo al 12
dicembre 2003, data di trasformazione della C.D.P. in società per azioni, e che
la pronuncia del Tribunale era stata impugnata in via principale dalla Cassa
per ottenere il rigetto integrale della domanda e in via incidentale dai
lavoratori per la riforma parziale della sentenza e l’accoglimento della
domanda anche per il periodo anteriore al 12 dicembre 2003.

3. La sentenza di appello premetteva che non era
pervenuto il fascicolo d’ufficio di primo grado e che tuttavia la causa poteva
essere decisa, stante la completezza della documentazione in atti e considerato
che, sul contenuto delle deposizioni testimoniali, come riportate nella
sentenza impugnata, non erano state formulate specifiche censure. Svolgeva
diverse osservazioni e concludeva che la domanda dei lavoratori doveva essere
integralmente respinta sulla base dei principi comuni alla legge n. 1369 del 1960 e del d.lgs. 276 del 2003.

4. Per la cassazione di tale sentenza i lavoratori
hanno proposto ricorso affidato ad un unico motivo. Ha resistito la C.D.P.
s.p.a. con controricorso.

5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

6. Il Procuratore Generale ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

 

Considerato che

 

7. Con unico motivo si lamenta nullità radicale
della sentenza ex art. 132 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) per
avere la Corte d’appello “ricopiato tout court altra decisione formatasi
in altro processo” (causa “Benini c/CDP, la cui sentenza di appello è
stata poi cassata da questa Corte con sentenza n.
25542/2018, come esposto in memoria difensiva).

Si denuncia la inspiegabile l'”inversione dei
ruoli” assegnati agli odierni ricorrenti, all’epoca appellati e appellanti
incidentali, e l’attribuzione loro di inesistenti censure mosse alla sentenza
di primo grado, che era stata agli stessi del tutto favorevole, ad eccezione
della decorrenza del rapporto di lavoro per talune posizioni. Né la dichiarata
assenza del fascicolo d’ufficio di primo grado poteva giustificare il ricorso
alle risultanze di altri giudizi, peraltro neppure indicati, come invece avvenuto
ad opera della Corte territoriale.

8. I ricorrenti richiamano le sentenze delle Sezioni
Unite n. 642 del 2015 e n. 1531 del 2014, evidenziando che il totale
“scollamento” tra la decisione di appello e la decisione appellata
non consente di far comprendere quale sia stato l’iter logico e giuridico
seguito dalla Corte di appello per respingere integralmente la domanda degli
appellati, traducendosi così anche in violazione del diritto costituzionale al
“giusto processo”.

9. Innanzitutto, va disattesa l’eccezione di
inammissibilità del ricorso, sollevata nel controricorso per asserita
violazione dell’art. 366, primo comma, n. 4 cod.
proc. civ., che impone al ricorrente per cassazione di formulare motivi
specifici, ossia di esporre tutte le circostanze idonee ad evidenziare il vizio
(processuale, nella specie) denunciato. In proposito, va rilevato che il
ricorso per cassazione analizza partitamente tutte le proposizioni contenute
nella motivazione della sentenza impugnata, denunciando quanto segue.

a) Quanto alla prima proposizione contenuta nella
sentenza impugnata (“gli appellati e appellanti incidentali deducono che
l’appellata non aveva contestato specificamente i fatti e la documentazione
allegata; il rilievo è generico, non essendo precisato quali fatti e documenti,
rilevanti per la decisione, non fossero stati contestati, a fronte delle
specifiche contestazioni peraltro contenute nella memoria ci
costituzione”), si deduce che in nessuna parte della decisione del Tribunale
risulta che fosse stata formulata l’eccezione di non contestazione di cui
riferisce la Corte di appello, né di siffatta eccezione vi è menzione nei
motivi di appello della C.D.P., né nella memoria di costituzione degli
appellati.

Ci si duole di una “incredibile inversione dei
ruoli delle parti in causa”, che ha portato a ritenere che gli odierni
ricorrenti fossero “appellanti” e che la Cassa fosse
“appellata”. Si deduce che la Corte, anziché esaminare l’appello
della C.D.P., ha esaminato la domanda originaria, “senza peraltro spiegare
perché gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto censurare in sede di appello una
sentenza a loro favorevole”. Vengono riportate le argomentazioni svolte in
proposito dal Tribunale (pag. 12 ricorso) per dedurre che la Corte, avvalendosi
della motivazione di altra sentenza, aveva indebitamente ritenuto di essere
esonerata dall’esame dei fatti di causa.

b) Quanto al secondo passaggio argomentativo
(“quanto poi alla lamentata riduzione delle liste testimoniali, il Collegio
rileva il carattere discrezionale delle scelte relative alle modalità
istruttorie; in ogni caso un ulteriore approfondimento istruttorio potrebbe
rendersi necessario anche in appello solo nell’ipotesi di elementi di prove
contradditorie, mentre nel caso in esame, come si dirà, gli elementi istruttori
appaiono univoci”), contenuto nella sentenza impugnata, parte ricorrente
oppone, trascrivendo i relativi passaggi della sentenza di primo grado in
merito all’istruttoria svolta in quella sede, che erano stati escussi numerosi
testimoni e che la conclusione di tale istruttoria era stata a sé favorevole,
mentre nell’altro caso (sentenza “Benini”) il giudice di primo grado
aveva ridotto la lista testimoniale e rigettato la domanda.

Ci si duole nuovamente di un’inversione dei ruoli
processuali operata dalla Corte territoriale. Si evidenzia che la soluzione di
accoglimento adottata dal primo giudice era basata su 15 pagine di
testimonianze, rese da 7 testimoni e che in appello la Cassa aveva lamentato
piuttosto “l’espansione abnorme” dell’escussione testimoniale.

c) Quanto al successivo passaggio argomentativo
(“secondo gli appellati e appellanti incidentali occorrerebbe tenere conto del
fatto che nell’oggetto sociale della R., la società appaltatrice formale datore
di lavoro dei medesimi, non era compresa la fornitura di propria manodopera,
trattandosi di società metalmeccanica; essi, tuttavia non chiariscono le
conseguenze del rilievo…”), i ricorrenti lamentano ancora l’inversione
dei ruoli, con l’attribuzione di censure che non si rinvengono nell’atto di
costituzione in appello, atteso che nessun punto della sentenza di primo grado
era stato a loro sfavorevole, fatta eccezione della posticipazione – rispetto
alla data di assunzione di alcuni di essi – della data di inizio del rapporto
in capo alla C.D.P. (motivo, questo, oggetto dell’appello incidentale). Si
deduce che nessun cenno si rinviene di tale questione nell’atto di appello
principale della Cassa.

d) In ordine al successivo passaggio motivazionale
(“se il riferimento è alla mancanza di abilitazione ai sensi del d.lgs. del 2003, come dedotto in primo grado, il
motivo è inammissibile, perché lo stesso appellante esclude l’applicabilità del
decreto, essendo applicabile la disciplina precedente; se invece l’appellante
intende indicare l’oggetto sociale come sintomo dell’assenza di know how e
quindi della non genuinità dell’appalto, va rilevato che si tratta di un
rilievo nuovo non contenuto nel ricorso di primo grado”), nuovamente i
ricorrenti rimarcano che l’appellante era la Cassa, la quale peraltro,
diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, aveva condiviso la
ricostruzione del quadro normativo generale di cui alla sentenza di primo
grado.

e) Parte ricorrente esamina i successivi passaggi
argomentativi (“L’appellante principale ha comunque replicato giustamente
che nell’oggetto sociale è ricompresa la “movimentazione di documenti
cartacei e archiviazione” corrispondente alle mansioni attribuite
all’appellante. Ancora, secondo gli appellati e appellanti incidentali il
rischio di impresa dell’appaltatrice sarebbe stato assente, poiché il
corrispettivo era predeterminato. Tuttavia, come giustamente rilevato
dall’appellante principale, ciò non è sufficiente per escludere il rischio di
impresa, poiché i costi del servizio dipendevano dalle modalità di utilizzo
delle risorse decise dall’appaltatrice, come risulta dalla prova testimoniale.
Erano infatti i responsabili della R. a decidere quanto personale utilizzare
nell’appalto, l’orario di lavoro per ciascun dipendente, l’eventuale utilizzo
dello strumento dello straordinario, ecc. Inoltre, il contratto prevedeva una
polizza fideiussoria e sanzioni per ritardi, che potevano ricadere sui costi
d’impresa sulla base della migliore o peggiore capacità organizzativa e di
distribuzione e gestione del personale”). Al riguardo il ricorso per
cassazione denuncia il travisamento dei fatti, posto che il richiamo alla prova
testimoniale si era svolta attraverso l’escussione di numerosi testimoni, con
esito istruttorio opposto a quello affermato in sentenza. Si deduce che non può
sopperire il generico richiamo alla “prova testimoniale” in assenza
del fascicolo d’ufficio.

f) Il ricorso impugna anche il passaggio
motivazionale vertente sulla valutazione delle prove (“Gli appellati e
appellanti incidentali deducono ancora che le mansioni loro assegnate fossero
diverse e variabili a seconda delle esigenze (archivista, commessa ai piani,
addetta al cali center). Tuttavia, è emerso univocamente dall’istruttoria
(ampiamente descritta nella sentenza impugnata e a cui si fa rinvio, nonché
dalle testimonianze rese in altri identici giudizi dinanzi al Tribunale di
Roma, dei quali l’appellante principale ha prodotto copia dei verbali) che
erano i referenti della R. a decidere l’allocazione delle risorse nei diversi
compiti, il che dimostra che non si trattava di una mera gestione
amministrativa ma di un’effettiva organizzazione e gestione del personale
addetto all’appalto”.

I testi hanno smentito al riguardo che gli appellati
e appellanti incidentali ricevessero ordini e direttive da personale della
Cassa, essendo sempre presente un referente della R., che gestiva e distribuiva
i compiti e controllava il lavoro svolto, come è emerso in modo univoco
dall’istruttoria, con conseguente inutilità di un ulteriore approfondimento
testimoniale”). Si denuncia il vizio per cui la Corte di appello, pur a
fronte di un’ampia istruttoria svolta nel primo grado del presente giudizio, ha
ritenuto di volere utilizzare anche le prove raccolte “in altri identici
giudizi”. Si deduce che non solo non era stato indicato di quali giudizi
si trattasse e a quali testimonianze la Corte di appello intendesse riferirsi,
ma non si comprende come e quando e da chi sia stato statuito che i testi
avessero smentito l’esistenza di ordini e direttive del personale della Cassa.

g) In ordine all’ultimo passaggio motivazionale
(“quanto infine all’asserita nullità del termine apposto ai contratti di
lavoro, non potrebbe avere alcun effetto nei confronti della Cassa in presenza
di un appalto genuino, che esclude l’attribuzione della titolarità del rapporto
di lavoro all’appellata”), gli odierni ricorrenti oppongono che il
Tribunale aveva indicato le date delle assunzioni dei singoli lavoratori, le
modalità dei loro contratti, l’avvenuta conversione (per quelli a termine) in
contratti di lavoro a tempo indeterminato, per cui non è comprensibile quale
interesse avrebbero avuto nel proporre la censura di cui vi è cenno nella
sentenza di appello, essendo risultati vincitori in primo grado.

10. Il ricorso non solo è ammissibile, stante la
specificità puntuale al decisum e l’enucleazione, per ciascun passaggio
motivazionale, delle aporie denunciate, ma l’insieme di tali doglianze porta a
concludere per la fondatezza del vizio di nullità.

11. L’obbligo di motivazione previsto in via
generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e,
nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma,
n. 4, cod. proc. civ. è violato qualora la motivazione sia totalmente
mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad
assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione
(per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in
tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità
ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.
proc. civ. (Cass. n. 22598 del 2018).

12.In particolare, ricorre il vizio di omessa o
apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta
ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero
li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in
tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo
ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017, 21921 del 2019; v. pure 19041 del 2008).
Ciò che nella sentenza è irrinunciabile è che la decisione e l’individuazione
delle ragioni che la sostengono siano attribuibili al giudice, costituendo
manifestazione ufficiale della volontà dello Stato che attraverso il giudice si
esprime, ed inoltre che esse siano corrette e complete nonché esposte in
maniera chiara, coerente ed esaustiva (cfr. S.U. n. 642 del 2015; v. pure Cass.
26652 del 2015).

13. Giova pure ribadire che, in tema di contenuto
della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei
fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale,
bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione
dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a
suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza
quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o
presupposti nella decisione (Cass. n. 920 del 2015, Cass. n. 29721 del 2019).

14. La sentenza ora impugnata non solo non reca
alcuna descrizione della vicenda sostanziale e processuale, né riferisce del
contenuto della sentenza di primo grado e dei motivi di appello proposti
dall’appellante principale C.D.P., ma l’intero impianto argomentativo sembra
ipotizzare un gravame proposto da lavoratori completamente soccombenti quanto
alla sussistenza della interposizione fittizia, laddove l’esito del giudizio di
primo grado, di cui dà conto la stessa sentenza impugnata, ha visto gli stessi
vittoriosi sul punto. Infatti, il Giudice di primo grado ha riconosciuto la
sussistenza del rapporto di lavoro alle dipendenze dalla società committente,
anche se (per alcuni) da una data diversa da quella rivendicata.

15. Il giudizio di appello si ispira ad una logica
devolutiva nei limiti della specificità dei motivi di impugnazione, principio che
deve informare anche il contenuto della sentenza di appello, quanto alla
concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della
causa. Ne consegue che deve ritenersi affetta da nullità ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. la
sentenza che, omettendo il contenuto informativo, risulti avulsa dalla concreta
realtà processuale.

16. Inoltre, la sentenza di appello, pur dando atto
che in primo grado vi era stata un’istruttoria e che il contenuto delle
deposizioni testimoniali non era stato censurato dalle parti (v. pag. 2 sent.),
afferma di avere valutato anche le testimonianze “rese in altri identici
giudizi” (pag. 4 sent.), senza spiegare le ragioni per cui occorresse attingere
ad altre fonti per la ricostruzione in fatto della vicenda, peraltro omettendo
di precisare gli estremi dei diversi giudizi e il contenuto delle deposizioni
così acquisite.

17. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il
giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio
convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro
giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della
relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di
quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova (Cass.
n. 25067 del 2018, n. 840 del 2015). Occorre, dunque, ai fini del corretto
utilizzo di fonti di prova raccolte in un diverso giudizio, che il giudice dia
un’adeguata motivazione delle ragioni per le quali ritiene di dovere utilizzare
tali fonti, tanto più se queste riguardano parti diverse da quelle della causa
sottoposta al suo esame.

18. Nel caso di specie, la Corte di appello,
mancando di chiarire il contenuto dell’una e dell’altra istruttoria, giunge ad
accomunare in un esito sfavorevole anche le deposizioni testimoniali acquisite
nel primo grado – sul cui contenuto, riferisce la stessa Corte, non erano state
formulate specifiche censure dalle parti -, senza chiarire i motivi per cui
avrebbe errato il Tribunale nel fondare su tali deposizioni la sentenza di
accoglimento della domanda.

19. In mancanza di spiegazioni, la sentenza sembra
aderire in modo pedissequo non già ad una diversa soluzione su questione di diritto
altrove prospettata, ma ad una diversa ricostruzione in fatto mutuata da altre
fonti conoscitive, non meglio identificate, di segno diverso da quelle sulla
cui base il giudizio di primo grado si era fondato. La sentenza non chiarisce
in che modo una determinata ricostruzione in fatto della vicenda oggetto di
causa mutuata da altre fonti istruttorie, estranee al giudizio in corso,
potesse valere a sorreggere il decisum e giustificare la riforma della sentenza
impugnata, invece basata sulle prove acquisite nel giudizio di cui si discute.

20. In conclusione, la motivazione della sentenza
impugnata deve ritenersi apparente perché è del tutto inidonea a consentire
l’individuazione dell’iter logico seguito dal giudice nel decidere le opposte
impugnazioni, in relazione alle questioni devolute in appello in rapporto a
quanto deciso dal primo giudice.

21. Il ricorso va conclusivamente accolto e la
sentenza va cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla
Corte di appello di Roma in diversa composizione che dovrà procedere al riesame
delle opposte impugnazioni.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e
rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa
composizione.

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