Resta sempre fermo il diritto del dipendente della cedente di passare alle dipendenze della cessionaria.
Nota a Cass. 17 agosto 2020, n. 17198
Fabrizio Girolami
In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale (ai sensi dell’art. 2, co. 5, lett. c), della L. n. 675/1977), ovvero per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ai sensi del D.LGS. n. 270/1999, l’accordo sindacale di cui all’art. 47, co. 4-bis, della L. n. 428/1990 può introdurre deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le “condizioni di lavoro” dei lavoratori della impresa cedente ma tale accordo non può, in ogni caso, privarli del proprio diritto soggettivo di proseguire il rapporto di lavoro presso l’impresa cessionaria.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17198 del 17 agosto 2020, con riferimento ad una fattispecie di cessione di compendio aziendale nel settore del trasporto aereo.
Nel caso di specie, una lavoratrice era stata licenziata dalla società Alitalia Compagnia Aerea Italiana S.p.A. (di seguito anche solo “Alitalia CAI”) in esito a una procedura collettiva di riduzione di personale attivata ai sensi della L. n. 223/1991. Successivamente all’intimato licenziamento, le attività della CAI S.p.A. erano state rilevate, a decorrere dal 1° gennaio 2015, da Alitalia Società Aerea Italiana S.p.A. (di seguito anche solo “Alitalia SAI”), all’esito di un’operazione di trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c. per la quale era stato stipulato un accordo sindacale ex art. 47, co. 4-bis, L. n. 428/1990 “in deroga” alle tutele dell’art. 2112 c.c., prevedendo il trasferimento alle dipendenze della società cessionaria soltanto per una quota limitata di lavoratori.
La lavoratrice, nel giudizio di merito, aveva chiesto la declaratoria della inefficacia e/o nullità, e/o illegittimità del licenziamento intimato dalla Alitalia CAI e la ricostituzione del rapporto di lavoro presso la società cessionaria Alitalia SAI, in quanto divenuta l’unica titolare del rapporto di lavoro per effetto del trasferimento d’azienda intervenuto successivamente al licenziamento.
La Corte territoriale aveva disatteso le richieste della lavoratrice, ritenendo che – dal tenore letterale dell’accordo sindacale stipulato – emergeva la volontà delle parti stipulanti di non estendere l’effetto successorio di cui all’art. 2112 c.c. (in relazione al trasferimento dei rapporti di lavoro alla società cessionaria) a tutto il personale della società cedente ma soltanto a una quota parte di dipendenti e tale accordo “derogativo” era da considerare pienamente legittimo e conforme alla normativa vigente.
La Cassazione – con la sentenza in commento (che conferma e ribadisce i recenti approdi di cui alle sentenze 1° giugno 2020, nn. 10414 e 10415) – ha ritenuto la decisione della Corte di Appello in contrasto con il diritto dell’Unione europea e, in particolare con l’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti.
In particolare, l’art. 5, par. 2, lett. b), della Direttiva 2001/23/CE autorizza gli Stati membri UE a prevedere che possano essere modificate “le condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa”, senza tuttavia – secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia UE 11 giugno 2009, C-561/07 sulla procedura di infrazione avviata contro l’Italia per violazione dei principi sanciti dalla medesima direttiva 2001/23/CE) – “privare i lavoratori dei diritti loro garantiti” dall’art. 3, nn. 1, 3 e 4 della citata Direttiva 2001/CE/23 (mantenimento delle stesse condizioni di lavoro e contrattuali tra il datore di lavoro cedente e l’impresa cessionaria e divieto di licenziamento).
Proprio alla luce dell’interpretazione fornita dal massimo organo giurisdizionale europeo, deve essere letta, secondo la Cassazione, la disposizione introdotta dal legislatore italiano con l’art. 19-quater del D.L. n. 135/2009, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 166/2009, al fine di dare esecuzione alla citata sentenza di condanna emessa dalla Corte di giustizia UE.
Tale disposizione ha inserito nel testo dell’art. 47 della L. n. 428/1990, dopo il co. 4, il co. 4-bis il quale dispone che – nelle ipotesi di imprese delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale o per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività o per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo – “nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo”.
Secondo la Cassazione non è possibile estrapolare, dal testo del co. 4-bis dell’art. 47 della L. n. 428/1990, l’inciso “anche parziale” per legittimare un accordo sindacale che disponga, in senso limitativo, dei trasferimenti dei lavoratori dell’impresa cedente, in quanto “la suddetta complessiva locuzione esprime piuttosto il contesto di riferimento” e “risulta in sé non decisiva ai fini interpretativi, laddove il senso qui avversato ponga problemi di conformità al diritto dell’Unione”.
Ne consegue che l’accordo raggiunto con le OO.SS. per il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione non può in alcun modo incidere sulla continuità del rapporto di lavoro (non si può cioè disporre dell’occupazione preesistente al trasferimento di impresa) ma solo, eventualmente, sull’assetto economico-normativo in precedenza acquisito dal personale interessato, modificandolo anche in peius, ma nel contesto di un rapporto che deve essere comunque trasferito dal cedente al cessionario.
Alla luce del suesposto principio di diritto, la Cassazione ha accolto il ricorso della dipendente e ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale in diversa composizione.