La clausola del contratto collettivo aziendale che impone l’obbligo di lavorare nelle giornate festive infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose è nulla. Tale accordo, inoltre, non rientra nei contratti di prossimità, non attinendo a materie di relativa competenza.
Trib. Milano 30 luglio 2020, n. 1217
Flavia Durval
“La possibilità di svolgere attività lavorativa nelle festività infrasettimanali non significa che la trasformazione da giornata festiva a lavorativa possa avvenire per libera scelta del datore di lavoro. La rinunciabilità al riposo nelle festività infrasettimanali non è rimessa né alla volontà esclusiva del datore di lavoro, né a quella del lavoratore, ma al loro accordo. L’accordo deve provenire dalle parti del contratto individuale e non da quelle collettive, non potendo le organizzazioni sindacali derogare in senso peggiorativo ad un diritto del singolo lavoratore se non nel caso in cui egli abbia loro conferito esplicito mandato in tal senso”.
Questa, la pronunzia del Tribunale di Milano (30 luglio 2020, n. 1217) il quale esamina la disciplina legislativa sul punto, rilevando che la normativa sulle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose (L. n. 260/1949), emanata successivamente alla normativa sul riposo domenicale e settimanale (L. n. 370/1934), non estende alle festività infrasettimanali le eccezioni all’inderogabilità previste dalla legge esclusivamente per il riposo domenicale, con l’eccezione (L. n. 520/1952) del “personale di qualsiasi categoria alle dipendenze delle istituzioni sanitarie pubbliche e private” per il quale sussiste l’obbligo (“il personale per ragioni inerenti all’esercizio deve prestare servizio nelle suddette giornate”) della prestazione lavorativa durante le festività (“nel caso che l’esigenza del servizio non permetta tale riposo”) su ordine datoriale in presenza di “esigenze di servizio”.
Ne consegue che:
– non si può configurare “un obbligo “generale” a carico dei lavoratori di effettuare la prestazione nei giorni destinati ex lege per la celebrazione di ricorrenze civili o religiose;
– le clausole della contrattazione collettiva che prevedono tale obbligo, dal momento che incidono sul diritto dei lavoratori di astenersi dal lavoro, al quale è consentito derogare per il solo lavoratore domenicale, sono nulle;
– una previsione del ccnl non può cancellare un diritto già acquisito dal singolo lavoratore (come il diritto di astenersi dal lavoro nelle festività infrasettimanali), non trattandosi di diritto disponibile per le organizzazioni sindacali (v. già Cass. n. 9176/1997);
– la normativa comunitaria (Direttive 93/104/CE e 2000/34/CE), attuata dal D.LGS. 8 aprile 2003, n. 66, non aggiunge nulla sulla specifica normativa delle festività infrasettimanali, poiché “si riferisce espressamente al riposo settimanale ed alla possibilità che siffatto riposo e non certo il diritto di astensione dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose possa essere calcolato in giorno diverso dalla domenica (in tal senso, v. Cass. n. 16592/2015);
– pertanto, il lavoratore può vantare un diritto soggettivo perfetto alla astensione rinunciabile solo in caso di accordo individuale con il datore di lavoro ovvero di accordo collettivo “ma nella sola ipotesi in cui abbia conferito specifico mandato in tal senso alla propria organizzazione sindacale”;
Il Tribunale specifica inoltre che gli accordi collettivi aziendali hanno efficacia vincolante analoga a quella del contratto collettivo nazionale con la eccezione di quei lavoratori dissenzienti che aderiscano ad un’organizzazione sindacale diversa da quelle che hanno stipulato l’accordo aziendale (v. Cass. n. n. 27115/2017, annotata, in questo sito, da M.N. BETTINI, Efficacia del contratto aziendale). In particolare, il contratto collettivo aziendale ha efficacia generalizzata nei confronti di tutti i lavoratori dell’azienda, pur se non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti. Tale efficacia erga omnes “è “giustificata” dal duplice presupposto della tutela, ad opera del contratto de quo, di interessi collettivi della comunità di lavoro aziendale e dall’“eventuale inscindibilità della disciplina che ne risulta” (v. Cass. n. 17674/2002 e Cass. n. 4218/2002). Essa incontra, tuttavia, l’eccezione “di quei lavoratori che, aderendo ad un’organizzazione sindacale diversa, ne condividano l‘esplicito dissenso e che potrebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sindacale separato e di diverso tenore” (v. Cass. n. 6044/2012 e Cass. n. 10353/2004). È quindi illecita “la pretesa datoriale aziendale di esigere il rispetto dell’accordo aziendale anche dai lavoratori dissenzienti assoggettandoli a sanzioni disciplinari perché iscritti ad un sindacato non firmatario dell’accordo medesimo”.
Occorre poi verificare se l’azienda abbia sottoscritto con le RSU un accordo aziendale ordinario oppure un contratto di prossimità (art. 8, D.L. n. 138/2011, conv. in L. n. 148/2011), in quanto il contratto di prossimità “si applica indifferentemente a tutti i lavoratori dell’azienda compresi quelli dissenzienti anche quando contiene delle disposizioni derogatorie della normativa legislativa preesistente”. Il contratto di prossimità, infatti, a differenza dell’accordo aziendale ordinario, può derogare a norme legislative.
Ciò, purché il contratto sia chiaro ed univoco, poiché la casistica richiamata dal citato art. 8 ha carattere tassativo senza possibilità alcuna di estensione analogica (v. Corte Cost. 221/2012). Si tratta cioè di una disciplina eccezionale, inapplicabile al di fuori delle ipotesi di stretta interpretazione ivi previste (v. App. Firenze 20 novembre 2017 e Trib. Firenze n. 528/2019, annotata, in questo sito, da G.I. VIGLIOTTI, Accordo di prossimità e disciplina derogatoria).
Nella fattispecie, l’azienda aveva sostenuto che il caso rientrasse nell’ambito della materia dell’orario di lavoro (indicata alla lett. d della norma in questione) e che, comunque, nell’elenco alla lettera e) viene consentita la stipula di accordi “inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro.
Tuttavia, i giudici rilevano che l’istituto delle festività infrasettimanali non viene contemplato dalla legislazione in materia di contratti di prossimità e non ha alcuna attinenza con la materia dell’orario di lavoro, in quanto l’assenza dal lavoro è giustificata dalla esigenza di assicurare al lavoratore la possibilità di partecipare a cerimonie civili e religiose. E il ccnl applicato al caso di specie, anche qualora avesse disciplinato la materia prevedendo l’obbligo del lavoratore di prestare la propria attività anche nei giorni festivi infrasettimanali, se interpretato “come una previsione normativa contenente un obbligo di svolgere l’attività lavorativa durante le festività infrasettimanali per tutti i lavoratori e dunque anche per quelli che non hanno conferito uno specifico mandato in tal senso alle organizzazioni sindacali firmatarie, sarebbe affetta da nullità e, quindi, sarebbe da considerarsi tamquam non esset perché in contrasto con la norma imperativa di cui alla Legge del 1949”.
Né è “condivisibile il richiamo della resistente alla “disciplina del lavoro”, in quanto si tratta di una locuzione estremamente generica suscettibile di ricomprendere tutti gli aspetti del singolo rapporto di lavoro. Accedendo alla impostazione ermeneutica sposata dalla convenuta si finirebbe con l’attribuire una discrezionalità eccessiva in capo ai soggetti sottoscrittori di tali specifiche ed eccezionali intese con la conseguenza di creare uno stravolgimento dell’assetto delle fonti del diritto del lavoro con evidenti rischi di incostituzionalità della normativa esaminata”.