Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2020, n. 18657

Consulenza tecnica procedimenti speciali, Procedimenti in
materia di lavoro e di previdenza, Impugnazioni, Appello, Prove nuove,
Consulenza tecnica Appello, Motivi, Contestazioni alla CTU espletata in primo
grado, Rispetto dei termini di cui all’art. 195
c.p.c., Necessità, Esclusione, Fondamento

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’appello di Salerno, in parziale
riforma della sentenza di primo grado nel resto confermata, ha respinto la
domanda di S.C. intesa al conseguimento dell’assegno mensile di assistenza e
dichiarato irripetibili le spese del giudizio di secondo grado;

2. per la cassazione della decisione propone ricorso
S.C. sulla base di cinque motivi; l’INPS resiste con tempestivo controricorso;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo parte ricorrente, deducendo
nullità della sentenza per violazione degli artt.
99, 112 e 113
cod. proc. civ., censura la decisione di secondo grado per omessa pronunzia
sulla eccezione pregiudiziale formulata da esso C. nella memoria di
costituzione in appello, eccezione intesa a far valere la decadenza di
controparte dalla impugnativa della sentenza di primo grado in punto di carenza
del requisito sanitario; tale eccezione era fondata sulla condotta dell’INPS il
quale, non presente nel corso dell’espletamento della consulenza tecnica
d’ufficio di primo grado e nel corso della udienza successiva a tale
espletamento, non aveva nominato proprio consulente di parte né impugnato o
eccepito alcunché in ordine alla relazione peritale di primo grado che aveva
accertato la sussistenza del requisito sanitario (74%) per il conseguimento
della prestazione in controversia;

2. con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 437, comma 2, e dell’art. 195 cod. proc. civ., censura la sentenza
impugnata per avere omesso di rilevare la decadenza nella quale era incorso
l’Istituto previdenziale per non avere impugnato la relazione peritale di primo
grado nei termini prescritti dall’art. 195 cod.
proc. civ. nel testo novellato dalla legge n.
69 del 2009; sostiene che la nuova formulazione della norma richiamata
prefigura un meccanismo alla stregua del quale alla parte è fatto onere di far
valere eventuali critiche all’elaborato peritale mediante osservazioni da
presentare al consulente tecnico d’ufficio nel prescritto termine antecedente
al deposito in cancelleria della relazione di consulenza;

3. con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa
applicazione dell’art. 195 cod. proc. civ.,
censura la sentenza impugnata laddove questa aveva dato atto che il consulente
tecnico d’ufficio aveva <<esaminato le considerazioni critiche espresse
dall’Appellato ad esito della inviata bozza di relazione…>>; evidenzia
che la relazione depositata dall’ausiliare non conteneva anche la versione
iniziale dell’elaborato inviato alle parti ai sensi dell’art. 195 cod. proc. civ., versione la quale non
era qualificabile come <<bozza>> ma come relazione peritale vera e
propria;

4. con il quarto motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione dell’art. 92 disp. att. cod.
proc. civ., censura la sentenza impugnata per non avere il consulente
tecnico d’ufficio, a fronte dei gravi vizi di nullità della relazione peritale
– vizi costituiti dalla omessa indicazione del nome del periziato e dal
riferimento, invece, a nominativi di terzi estranei al giudizio, dalla omessa
indicazione delle patologie riscontrate e di qualsivoglia dato anamnestico,
dall’ erroneo riferimento ad una prestazione – indennità di accompagnamento –
mai oggetto di richiesta – tempestivamente evidenziati nelle osservazioni ex art. 195 cod. proc. civ., omesso di segnalarli e
rimettersi al giudice, come prescritto dall’art. 92
disp. att. cod. proc. civ.;

5. con il quinto motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione degli artt. 193 e 101 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata
sul rilievo che le norme sulla responsabilità del consulente tecnico d’ufficio
avrebbero dovuto indurre il giudice di appello ad accertare e dichiarare la
colpa grave dell’ausiliare e disporre il rinnovo della indagine peritale.
Deduce che il consulente tecnico d’ufficio aveva posto in essere una serie di
comportamenti in violazione del giuramento prestato e delle regole di lealtà e
correttezza, con violazione del contraddittorio; da tanto conseguiva la nullità
della relazione peritale affetta da vizi di natura sia formale che sostanziale;

6. il primo motivo di ricorso è infondato in quanto
la Corte di merito, nel disporre il rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio
di primo grado, ha dimostrato di respingere implicitamente le deduzioni
dell’odierno ricorrente in tema di decadenza dell’istituto previdenziale dalla
possibilità di far valere in sede di impugnazione il difetto del requisito
sanitario per l’accesso alla provvidenza in controversia;

6.1. per costante giurisprudenza di questa Corte,
infatti, non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione
(connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità
(ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali
questioni od eccezioni siano state esaminate e decise – sia pure con una
pronuncia implicita della loro irrilevanza o di infondatezza – in quanto
superate e travolte, anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile
soluzione di altra questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come
necessario antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza;
peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di
una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa
pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di
merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza,
potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione,
per la violazione di norme diverse dall’art. 112
cod. proc. civ., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal
giudice alla questione sollevata dalla parte (Cass. 04/10/2011, n. 20311; Cass. 28/03/2014, n. 7406; Cass. 19/05/2006, n.
11844; Cass. 24/06/2005, n. 13649);

7. il secondo motivo di ricorso è infondato;

7.1. la giurisprudenza di legittimità, nel regime
anteriore alla modifica dell’art. 195, comma 3,
cod. proc. civ. introdotta dell’art. 46, comma 5, legge n. 69 del
2009, non ha mai dubitato che alcuna preclusione in appello potesse
derivare dalla mancata formulazione, in prime cure, di critiche alla relazione
del consulente tecnico d’ufficio le cui conclusioni fossero state recepite in
sentenza, fermo restando l’obbligo di impugnare con motivi specifici la
pronuncia, per la parte in cui la stessa si rapportava, in positivo o in
negativo, alla relazione dell’ausiliare (Cass. 22/03/2004 n. 5696; Cass.
06/11/2003, n. 16684; Cass. 23/02/1998, n. 1920);

7.2. ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con
riguardo alla disciplina attualmente vigente, quale risultante dalla
riformulazione del disposto dell’art. 195, comma 3,
cod. proc. civ. – disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie
in esame – la quale ha procedimentalizzato le attività del consulente d’ufficio
e delle parti in relazione all’espletamento dell’incarico peritale prevedendo
all’udienza nella quale il consulente tecnico d’ufficio è chiamato per
accettare l’incarico e prestare giuramento che il giudice provveda con
ordinanza a fissare tre termini, oltre alla data dell’udienza successiva al
deposito della relazione redatta dal consulente d’ufficio stesso: 1) un primo
termine entro il quale l’esperto è tenuto ad inviare la relazione alle parti;
2) un secondo termine entro il quale le parti dovranno provvedere a trasmettere
al consulente le proprie osservazioni; 3) un terzo e ulteriore termine,
comunque “anteriore alla successiva udienza”, entro il quale il
consulente dovrà depositare in cancelleria la relazione, completa delle
osservazioni delle parti e con relative brevi repliche ad opera dello stesso
esperto. La ratio ispiratrice della riforma è stata riconosciuta sia nella
esigenza di rendere più razionale e ordinato lo svolgimento delle attività
processuali in vista della riduzione dei tempi di espletamento della procedura
di consulenza, sia nel potenziamento dei poteri di contraddittorio attribuiti
alle parti che per il tramite di propri consulenti possono interloquire con
l’ausiliare del giudice attraverso la formulazione di osservazioni alla
relazione peritale agli stessi inviata, alle quali l’esperto dovrà fornire
apposita risposta scritta. Ai sensi dell’art. 195,
comma 3, ultima parte cod. proc. civ. il consulente provvederà a depositare
in cancelleria “la relazione, le osservazioni delle parti, e una sintetica
valutazione sulle stesse”;

7.3. come già osservato da questa Corte, con
affermazione specificamente riferita al procedimento di accertamento tecnico
preventivo ex art. 445 bis cod. proc. civ., ma
estensibile, per identità di ratio, anche all’ipotesi di consulenza tecnica
d’ufficio disposta ed espletata nell’ordinario giudizio di cognizione, il
secondo termine previsto dall’art. 195 cod. proc.
civ., comma 3, così come modificato dalla legge
n. 69 del 2009, svolge, ed esaurisce, la sua funzione nel sub-procedimento
che si conclude con il deposito della relazione dell’ausiliare, sicché, in
difetto di esplicita previsione in tal senso, la mancata prospettazione al
consulente tecnico di ufficio di rilievi critici non preclude alla parte di
arricchire e meglio specificare le relative contestazioni difensive nel
prosieguo del procedimento (Cass. 07/06/2018, n. 14880; Cass. 31/10/2019, n.
28114, in motivazione).

Da tanto deriva, assorbita ogni considerazione
attinente alla verifica della contumacia dell’INPS in prime cure, secondo
quanto rappresentato dall’istituto previdenziale, che l’assenza di osservazioni
critiche alla relazione peritale inviata dall’ausiliare, non era in sé
preclusiva alla formulazione di critiche all’accertamento del consulente
d’ufficio nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in sede di
gravame, laddove tale accertamento fosse stato posto a base, come avvenuto,
della decisione di primo grado;

8. il terzo motivo di ricorso è inammissibile. La
sentenza di appello ha dato atto che il consulente tecnico d’ufficio nominato
in secondo grado aveva esaminato le considerazioni critiche dell’appellato
ritenendole, in sintesi, inidonee a inficiare la valutazione medico legale (di
insussistenza del requisito sanitario), sostenuta dagli esiti della visita
cardiologica e dal certificato spirometrico. Ha ritenuto che <<tali
essendo le obiettive risultanze patologiche riemergenti dagli esami strumentali
ospedalieri valutati da un Professionista, vincolato da un giuramento ed
equidistante dalle parti = e valutata la satisfattività delle motivazioni di
rigetto delle considerazioni critiche sollevate dall’assicurato antea deposito
dell’elaborato d’ufficio>>, le conclusioni dell’ausiliare erano da
condividere (sentenza, pag. 4). Le censure articolate non sono idonee alla
valida censura della decisione per la dirimente considerazione che, in
violazione dell’art. 366, comma 1 n. 6 cod. proc.
civ., risulta del tutto omessa la trascrizione degli atti evocati a
fondamento del motivo, vale a dire la relazione inviata dal consulente tecnico
di ufficio, le conseguenti osservazioni delle parti, la relazione depositata in
cancelleria e gli eventuali relativi allegati, adempimento indispensabile a
dimostrare, sulla base del solo esame del ricorso per cassazione (Cass.
13/11/2018, n. 29093; Cass. 19/08/2015, n. 16900; Cass. 11/01/2016, n. 195;
Cass. 12/12/2014, n. 26174; Cass. 24/10/2014, n. 22607), la dedotta
inosservanza da parte dell’ausiliare del giudice degli obblighi prescritti
dall’art. 195 cod. proc. civ.;

9. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in
quanto non verte sulla interpretazione e sulla portata applicativa dell’art. 92 disp. att. cod. proc. civ.. Le censure
articolate non sono, infatti, incentrate sulla correttezza dell’attività
ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, né sulla
sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa,
né tanto meno individuano le affermazioni in diritto contenute nella sentenza
impugnata da assumere motivatamente in contrasto con le norme regolatrici della
fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità
o dalla prevalente dottrina, come prescritto per la valida deduzione del vizio
di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.(Cass. 26/06/2013, n. 16038;
Cass. 28/02/2012, n. 3010; Cass. 28/11/2007, n. 24756; Cass. 31/05/2006, n.
12984). Parte ricorrente, sulla base di asserite anomalie verificatesi
in relazione all’espletamento dell’incarico peritale, lamenta, infatti, che il
consulente avrebbe mancato di informarne il giudice, come prescritto dalla
norma della quale si denunzia violazione, doglianza peraltro intrinsecamente
inidonea ad inficiare ex se l’accertamento alla base del decisum;

10. il quinto motivo è inammissibile. La sentenza
impugnata ha dato implicitamente atto della correttezza del procedimento
seguito dal consulente tecnico d’ufficio in relazione al deposito della
relazione peritale ed alla avvenuta confutazione delle osservazioni critiche
delle parti (v. sentenza, pag. 4) di talché, per validamente incrinare tale
ricostruzione, facendo emergere le violazioni ascritte all’ausiliare,
occorreva, in conformità del disposto dell’art.
366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., la trascrizione o riassunto del
contenuto degli atti e delle risultanze da dove tali violazioni risultavano;
parte ricorrente si è sottratta a tale onere e tale modalità di articolazione
del motivo ne determina la inidoneità alla valida censura della decisione, secondo
le considerazioni già espresse sub paragrafo 8.1. (e giurisprudenza ivi
richiamata);

11. le spese di lite sono regolate secondo
soccombenza;

12. ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228
del 2012, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso , a norma del comma 1 – bis
dello stesso art. 1, ove dovuto;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio che liquida in € 3.500,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2020, n. 18657
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