Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 ottobre 2020, n. 22790

Appalto, Differenze retributive, Trattamento economico di
miglior favore, Patto di demansionamento intervenuto tra le parti, Fine di
evitare il licenziamento, Situazione di crisi aziendale

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 828/2016 la Corte di appello di
Roma ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda di S. V.
intesa: a) alla condanna, in solido, della datrice di lavoro D.S. Costruzioni
s.p.a. e di A.M. s.p.a. (quest’ultima in quanto tenuta, ai sensi dell’art. 1676 cod. civ. e delle disposizioni di legge
sugli appalti, quale committente) al pagamento 
della somma di € 68.536, 01 a titolo di differenze retributive maturate
nel periodo dal 1.2.2005 al 30.6.2008; b) alla condanna della D.S.Costruzioni
s.p.a. al pagamento, per i medesimi titoli, della somma di € 152.683,93 o di
altra di giustizia in relazione al periodo dal 23.6.2008 al 31.10.2009, oltre
accessori; c) alla condanna della D.S.Costruzioni s.p.a. al mantenimento di
ogni trattamento economico di miglior favore già in atto riconosciuto a tutto
il 30.6.2008 fino al riassorbimento con eventuali miglioramenti retributivi
contrattuali di riferimento; d) alla condanna di entrambe le società, secondo
le relative spettanze, al versamento delle contribuzioni assistenziali e
previdenziali sulle differenze riconosciute, nelle modalità e misura di legge;

1.1. per quel che ancora rileva, la Corte di appello
ha ritenuto non spettanti le differenze retributive tra il trattamento
economico corrisposto al V. dopo il trasferimento presso il cantiere di Bagno
di Romagna e quello in precedenza goduto quale capo cantiere, per essere
l’inferiore trattamento corrisposto giustificato dal patto di demansionamento
intervenuto tra le parti, finalizzato ad evitare il licenziamento reso
necessario dalla situazione di crisi aziendale in cui versava la società; a
differenza di quanto dedotto dal V., infatti, l’adibizione a mansioni inferiori
era stata frutto di accordo tra le parti risultando l’assenso del dipendente
dal comportamento assolutamente concludente in tal senso da questi tenuto;

2. per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso S. V. sulla base di due motivi; D.S.Costruzioni s.p.a. ha depositato
controricorso;

3. parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi
dell’art. 380- bis .1. cod. proc. civ.;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente,
deducendo «nullità della sentenza per violazione del disposto dell’art. 2103
c.c. con riferimento al dedotto “consenso prestato dal lavoratore,
finalizzato ad evitare il licenziamento reso necessario da una situazione di
crisi aziendale”», censura la sentenza impugnata contestando l’accertamento
del giudice di appello circa la esistenza di una condotta concludente del
lavoratore nell’accettazione del trasferimento presso altra sede con
assegnazione di mansioni inferiori. Richiama a tal fine la nota in data
23.6.2008 con la quale il V. aveva, fra l’altro, contestato alla società la
riduzione del trattamento retributivo ed evidenzia che non sussistevano i
presupposti per ritenere l’adesione incondizionata alla proposta datoriale come
richiesto dall’art. 1326 cod. civ. al fine
della conclusione del contratto;

2. con il secondo motivo di ricorso, deducendo
violazione dell’art. 1460, cod. civ., censura
la sentenza impugnata per avere configurato quale comportamento concludente
della volontà di accettare il trasferimento la messa a disposizione da parte
del V. delle proprie energie lavorative presso il cantiere della nuova sede di
lavoro, messa a disposizione formulata con il telegramma inviato dal lavoratore
alla società successivamente alla nota in data 23.6.2008.

Sostiene, infatti, che tale condotta non era
qualificabile come atto di rinunzia al trattamento contrattuale in precedenza
percepito quale capo cantiere ma costituiva momentanea ottemperanza all’ordine
aziendale di trasferimento determinata dalla necessità di osservare la
disciplina in concreto applicabile e dal rilievo disciplinare di un eventuale
rifiuto a recarsi presso la nuova sede di lavoro; invoca a sostegno di tale
assunto la nota in data 23.6.2008 inviata alla società nella quale era
espressamente contestata la riduzione della retribuzione prima in godimento e
la stessa legittimità del  trasferimento;

3. i motivi di ricorso, esaminati congiuntamente per
connessione, sono infondati;

3.1. occorre premettere che parte ricorrente, pur
denunziando formalmente violazione di norme di diritto, non incentra le proprie
censure sul significato e sulla portata applicativa delle norme richiamate in
rubrica ma sul concreto accertamento del giudice di merito circa la esistenza
tra le parti di un accordo di dequalificazione alla stregua del quale dovevano
reputarsi legittimi il – pacifico – demansionamento del lavoratore conseguente
al trasferimento presso il cantiere di Bagno di Romagna e la connessa
applicazione di un trattamento retributivo inferiore a quello in precedenza
goduto quale capo cantiere;

3.1. il giudice di appello ha, infatti, ritenuto,
che se la lettera inviata dal V. alla società in data 23.6.2008 non poteva
essere qualificata, ai sensi dell’art. 1326 cod.
civ., come accettazione del patto di demansionamento proposto dalla datrice
di lavoro in quanto il lavoratore aveva posto condizioni diverse da quelle
offerte dalla società, tale accettazione era ravvisabile nella successiva
condotta del V. il quale, dopo avere riscontrato la reiezione da parte della
società alle censure mosse alla proposta di demansionamento aveva inviato un
telegramma con il quale metteva a disposizione le proprie energie lavorative,
<<così di fatto accettando la proposta contrattuale>>; ha quindi
osservato che il patto di demansionamento in quanto finalizzato ad evitare il
licenziamento a causa della crisi aziendale era valido e giustificava la
corresponsione di un trattamento retributivo inferiore a quello in precedenza
attribuito sulla base del superiore inquadramento;

3.2. tanto premesso, osservato che la sentenza di
appello non si pone in contrasto né con il disposto dell’art. 2103 cod. civ. in tema di ammissibilità del
patto di demansionamento (Cass. 26/02/2019, n. 5621; Cass. 06/10/2015, n. 19930) né con il disposto
dell’art. 1460 
cod. civ. in tema di rifiuto del lavoratore di esecuzione della
prestazione in presenza di illegittima adibizione a mansioni inferiori, che il
vizio formalmente denunziato nella rubrica del motivo non è vincolante laddove
il giudice di legittimità possa, come nel caso di specie, agevolmente pervenire
sulla base della relativa illustrazione alla corretta qualificazione del vizio
effettivamente denunziato, si rileva che le censure articolate, che denunziano
nella sostanza vizio di motivazione, sono inidonee ad incrinare l’accertamento
di fatto alla base del decisum, possibile solo attraverso la deduzione di
omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti, evocato
nel rispetto degli oneri di cui all’art. 366, comma
1, n. 6 cod. proc. civ.(ex
plurimis: Cass. Sez. Un. 07/04/2014, n. 8053);

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 ottobre 2020, n. 22790
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: