Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 ottobre 2020, n. 22807

Pubbliche Amministrazioni, Trattamento pensionistico,
Sistema retributivo, Risarcimento dei danni conseguenti alla mancata
istituzione della previdenza complementare, Giurisdizione del Giudice
amministrativo

 

Fatti di causa

 

1.- M.A.C., militare in servizio presso il Comando
provinciale della Guardia di Finanza dell’Aquila, insieme ad altri lavoratori
dipendenti appartenenti al Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, ha
adito il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sede di Roma, per
chiedere nei confronti delle Amministrazioni convenute (Ministero dell’economia
e delle finanze-Guardia di Finanza e Inpdap, cui è poi subentrato l’Inps) il
riconoscimento del suo diritto al trattamento pensionistico spettante secondo
il sistema retributivo vigente prima della riforma introdotta dalla L. 8/8/1995, n. 335.

In via subordinata, ha chiesto l’accertamento della
responsabilità delle Amministrazioni per il mancato tempestivo avvio delle
procedure di negoziazione o concertazione riguardanti il trattamento di fine
rapporto e la previdenza complementare, con conseguente condanna al
risarcimento dei danni subiti.

1.1.- Con sentenza depositata il 21/4/2015, n. 5814,
il Tar ha declinato la sua giurisdizione ritenendo sussistente per entrambe le
domande la giurisdizione della Corte dei conti.

1.2.- Il Giudice amministrativo ha osservato che il
diritto era stato invocato sul presupposto, incontestato, che non era stata
data completa attuazione al sistema della previdenza complementare per il
pubblico impiego, previsto dalla L. 335/1995, cit.; che, secondo l’assunto dei
ricorrenti, il mancato avvio delle procedure di negoziazione o concertazione
per la costituzione della previdenza complementare (cosiddetto “secondo
pilastro”) era stato penalizzante per i dipendenti appartenenti alla loro
categoria, in quanto la istituzione della previdenza complementare era
destinata a colmare il divario economico derivante dal passaggio dal sistema
retributivo a quello contributivo e finché non fosse stata istituita una forma
di previdenza aggiuntiva, essi avevano diritto al calcolo della pensione
secondo il precedente sistema; diversamente opinando, sempre secondo i ricorrenti,
tutto l’impianto normativo creato dalla L. 335/1995
doveva ritenersi affetto da illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 36 comma
primo, 38 comma secondo, della Costituzione.

1.3.- Secondo il Tar, seguendo questa
prospettazione, la controversia aveva ad oggetto la sussistenza del diritto, la
misura e la decorrenza della pensione, nonché il risarcimento dei danni
conseguenti alla mancata istituzione della previdenza complementare, sicché,
sulla base del petitum sostanziale, essa rientrava in materia devoluta alla
giurisdizione della Corte dei conti.

2.- Il C. ha quindi adito la Corte dei conti –
sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo che, con sentenza n. 40 del
2017, ha riconosciuto la sua giurisdizione sulla domanda principale,
rigettandola nel merito sul presupposto dell’insussistenza di un rapporto di
subordinazione o di collegamento tra il nuovo sistema di calcolo contributivo
(o misto) della pensione e l’attivazione delle forme di previdenza
complementare di comparto di cui al D.Lgs.
21/4/1993, n. 124, come innovato dalla stessa L.
335/ 1995.

2.1.- Riguardo, invece, alla domanda risarcitoria,
il Giudice contabile ha ritenuto – in ragione del collegamento del danno
lamentato alla mancata attivazione del secondo pilastro, sia sotto forma della
minor profittabilità degli incentivi fiscali previsti per i fondi, sia per
effetto dell’impossibilità di destinare al fondo pensione il TFR, che in tal
modo avrebbe aumentato il montante previdenziale – che essa trovasse la sua
causa petendi nell’ambito della previdenza complementare e, dunque, esulasse
dalla gestione del rapporto pensionistico attribuito alla competenza esclusiva
della Corte dei conti. Al riguardo ha precisato che le questioni riguardanti il
trattamento di fine servizio, la cosiddetta buonuscita, sono attribuite alla
giurisdizione del giudice competente per il rapporto di lavoro (Cass. Sez.Un.
7/11/2013, n. 25039), che nella specie va individuato, ai sensi dell’art. 17
cod. giust.cont. (d.lgs. 6 agosto 2016 n. 174), nel giudice amministrativo, al
quale solo spetta di valutare se il danno in parola sussista effettivamente e
se esso sia da porsi in relazione causale con l’azione amministrativa o,
comunque, con una responsabilità dello Stato.

2.2.- La Corte dei conti-sezione giurisdizionale
centrale di appello, con sentenza n. 433/2018, depositata il 28/11/2018, ha
confermato la sentenza della Sezione regionale, anche in punto di giurisdizione
sulla domanda risarcitoria.

3.- Con ricorso notificato in data 15/3/2019 il C.
ha proposto ricorso presso questa Corte per conflitto negativo di
giurisdizione, ai sensi dell’art. 362, comma 2,
punto 1, cod.proc.civ., e ha chiesto che, sulla domanda risarcitoria
formulata nei due giudizi instaurati, rispettivamente, dinanzi al Tar e,
successivamente, dinanzi alla Corte dei conti sia individuato e dichiarato il
giudice fornito di giurisdizione.

3.1.- Al ricorso ha resistito solo l’Inps con
tempestivo controricorso, con il quale ha chiesto che sia dichiarata in via
pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e, in via
subordinata, che sia dichiarata la giurisdizione della Corte dei conti in
ordine alle domande pensionistiche e del giudice amministrativo in ordine alle
domande relative alla mancata attivazione della previdenza complementare.

Non hanno invece svolto attività difensiva la
Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’economia.

In prossimità dell’udienza, il ricorrente ha
depositato memoria illustrativa.

 

Ragioni della decisione

 

1.- Deve in primo luogo rigettarsi l’eccezione di
inammissibilità del ricorso sollevata dall’Inps sul presupposto che il
ricorrente difetti di interesse, in quanto egli non sarebbe ancora in possesso
dello status di pensionato.

L’eccezione è inammissibile, perché – al di là della
veridicità di tale asserzione, contrastata dal C. nella sua memoria ex art. 378 cod.proc.civ. – la questione del difetto
di interesse attiene al merito e non già alla giurisdizione, sicché il suo
esame è precluso alla Corte di Cassazione investita della risoluzione del
conflitto.

1.1. Il principio, risalente già a Cass. Sez.Un.
22/12/1999, n. 928, e a Cass. Sez.Un. 6/8/1998, n. 7707, è stato di recente
riaffermato da queste Sezioni Unite: «Il difetto di interesse ad agire per
mancanza di lesione costituisce una questione relativa ai presupposti
dell’azione, la cui decisione rientra nei limiti interni della giurisdizione
contabile, con la conseguenza che il ricorso per cassazione che prospetti tale
vizio sotto il profilo del difetto di giurisdizione è inammissibile, non
riguardando il superamento dei limiti esterni della giurisdizione della Corte
dei conti (Cass. Sez.Un. 4/10/2019, n. 24858; v. pure Cass. Sez. Un.,
14/1/2015, n. 475).

2. È bene ribadire che la giurisdizione della Corte
dei conti in materia di pensioni (artt. 13 e 62 del R.D. 12 luglio 1934, n.
1214) ha carattere esclusivo, in quanto affidata al criterio di collegamento
costituito dalla materia: in essa sono comprese tutte le controversie in cui il
rapporto pensionistico costituisce elemento identificativo del petitum
sostanziale e, quindi, tutte le controversie concernenti la sussistenza del
diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti,
nonché, pur in costanza di lavoro, ogni diritto relativo al rapporto
pensionistico (Cass. Sez.Un. 14/11/2018, n. 29284; Cass. Sez. Un. 19/6/2017, n.
15057, ed ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali).

2.1. Deve peraltro aggiungersi che, per radicare la
giurisdizione della Corte dei conti, «non è sufficiente la natura largamente
previdenziale della prestazione richiesta, ma occorre altresì che tale
prestazione sia dovuta da un ente preposto alla previdenza obbligatoria
nell’ambito di un rapporto (previdenziale, appunto) che trovi fonte esclusiva
nella legge e abbia causa, soggetti e contenuto diversi rispetto al rapporto di
lavoro, il quale a sua volta si ponga rispetto al rapporto previdenziale come
mero presupposto di fatto e non come momento genetico del diritto alla
prestazione» (Cass. Sez. Un. 19/05/2015, n. 10183; Cass. Sez.Un., 12/10/2009,
n. 21554; Cass. Sez.Un., 23/04/2008, n. 10464).

2.2. Riguardo alla previdenza integrativa, si è poi
affermato che «le controversie promosse da dipendenti in servizio o in
quiescenza nei confronti di enti pubblici non economici diversi dallo Stato ed
aventi per oggetto il trattamento integrativo erogato da tali enti in aggiunta
alla pensione, non attenendo ad un rapporto previdenziale autonomo, ma essendo
relative a prestazioni che ineriscono strettamente al pregresso rapporto di
impiego posto in essere con l’ente datore di lavoro, in quanto corrisposte da
un fondo costituito dai medesimi enti pubblici per mezzo dell’accantonamento di
una parte della retribuzione ed alimentato anche da contributi dei dipendenti,
sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice del rapporto di lavoro
e, quindi, al giudice amministrativo in via esclusiva o a quello ordinario»
(Cass. Sez. un. 8/6/2011, n. 12462 che richiama Cass.
Sez.Un. 30/04/2010, n. 10509; cfr. anche Cass., sez. un., 23/7/2013, n.
17867, e, da ultimo, Cass. Sez.Un., 27/8/2019, n.
21741).

3. La domanda proposta dal C. – e su cui è sorto il
conflitto negativo di giurisdizione da dirimere in questa sede – è volta ad
ottenere l’accertamento della responsabilità delle amministrazioni datrici di
lavoro per il mancato tempestivo avvio delle procedure di negoziazione o
concertazione del trattamento di fine rapporto e della previdenza
complementare, nonché la condanna delle stesse al risarcimento dei danni
cagionati da tale inadempimento.

3.1. L’attivazione della previdenza complementare è
materia riservata alla concertazione-contrattazione, ai sensi delle
disposizioni degli artt. 26,
comma 20, L. 23/12/1998, n. 448 e 3,
co. 2, D.Lgs. 5/12/2005, n. 252.

Nello specifico, l’art. 26, comma 20, L. 23/12/1998,
n. 448, ha disposto che «Ai fini dell’armonizzazione al regime generale del
trattamento di  fine rapporto e
dell’istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici,
le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal decreto
legislativo 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi
contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’articolo 2, commi da 5 a 8, della legge
8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l’istituzione di
forme pensionistiche complementari, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo
21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni».

Le procedure di negoziazione e di concertazione
provvedono a definire a) la costituzione di uno o più fondi nazionali di
pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di
polizia ad ordinamento civile e militare; b) la misura percentuale della quota
di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal
lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote
stesse; c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine
rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di
fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a
previdenza complementare. Destinatario dei fondi pensione è il personale che
liberamente aderisce ai fondi stessi.

3.2. E’ il cosiddetto «secondo pilastro» del sistema
pensionistico, il cui scopo è quello di aggiungersi alla previdenza di base
obbligatoria o cosiddetta di «primo pilastro». Esso ha come obiettivo quello di
concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, «più elevati livelli di
copertura previdenziali» (così art.
3, comma 1, lett. v) L. delega n. 421/1992), insieme alle prestazioni
garantite dal sistema pubblico di base ed ha trovato compiuta disciplina nel D.Lgs. 5/12/2005, n. 252, cit.

3.3. Si tratta dunque di una prestazione
pensionistica, espressamente definita «complementare» rispetto a quella
obbligatoria posta a carico dello Stato, certamente in «collegamento
funzionale» con quest’ultima (Corte Cost.
3/10/2019, n. 218, che rinvia a Corte Cost. n.
393/2000 e n. 319/2001), ma da questa sostanzialmente diversa, essendo
piuttosto rimessa alla determinazione negoziale in una logica di composizione
degli interessi contrapposti delle parti del rapporto di impiego.

4. La controversia in esame involge in via diretta e
immediata il rapporto di impiego e, prioritariamente, gli obblighi del datore
di lavoro in merito all’avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e
concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto, e della
conseguente istituzione della previdenza complementare, il cui mancato
adempimento è, secondo la prospettazione del ricorrente, fonte di
responsabilità contrattuale.

In altri termini, si è in presenza di un’azione
risarcitoria, in cui tanto il petitum quanto la causa petendi trovano la loro
giustificazione in un inadempimento contrattuale, esulando così dalla materia
strettamente pensionistica.

5. Ciò consente di risolvere il conflitto in favore
del giudice del rapporto di lavoro – che, nel caso in esame, è il tribunale
amministrativo, essendo pacifico che il rapporto di impiego del ricorrente rientra
nel regime di diritto pubblico non contrattualizzato – sulla base del seguente
principio di diritto: «La domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno
da mancata attuazione della previdenza complementare per il personale del
Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, riservata alla concertazione-
contrattazione, ai sensi delle disposizioni degli artt. 26, comma 20, L.  23/12/1998, n. 448, e 3, Co. 2, D.Lgs. 5/12/2005, n. 252,
è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo
all’inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale
e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego, non già a materia
riguardante un riguardante un trattamento pensionistico a carico dello Stato,
sicché la relativa controversia esula dalla giurisdizione della Corte dei
conti».

6. L’esistenza di contrasti giurisprudenziali, resa
evidente in questa controversia dal conflitto reale negativo tra il giudice
contabile e il tribunale amministrativo regionale, giustifica la compensazione
delle spese di questo giudizio.

 

P.Q.M.

 

cassa la sentenza del Tar del Lazio e dichiara la
giurisdizione del Giudice amministrativo, dinanzi al quale rimette le parti
anche per le spese del presente giudizio.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 ottobre 2020, n. 22807
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