Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 ottobre 2020, n. 28328

Truffa aggravata ai danni dello Stato, Falsa attestazione, in
qualità di legale rappresentante, del versamento di somme anticipate ai
dipendenti a titoli di cassa integrazione guadagni ed indennità di malattia

 

Considerato in fatto

 

1. Con sentenza del 12/03/2019 la Corte di Appello
di Brescia confermava la pronuncia del tribunale di quella stessa città del
12/04/2016 con la quale l’appellante D.M. era stato condannato alla pena di un anno
e sei mesi di reclusione perché ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 316 ter cod. pen. così riqualificata
l’originaria contestazione di truffa aggravata ai danni dello Stato (per aver
attestato falsamente, in qualità di legale rappresentante della Q. srl, poi
fallita, il versamento di somme anticipate ai dipendenti a titoli di cassa
integrazione guadagni ed indennità di malattia, così ottenendo un indebito conguaglio
per l’importo quantificato in € 49.224,00).

2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione l’imputato eccependo: la carenza di motivazione in
relazione alla richiesta di qualificazione giuridica del fatto in termini di tentativo
del reato ex art. 316 ter cod. pen, in mancanza
di prova dell’erogazione de qua ancorché in forma di compensazione; la
violazione di legge (art. 316 ter cod. pen.)
trattandosi di reato di danno e non di pericolo, non consumato per l’assenza di
profitto; vizio di motivazione e violazione di legge (art. 163 cod. pen.) per l’omessa concessione del
beneficio della sospensione condizionale della pena sull’erroneo presupposto di
“plurime condanne” a carico del D., compromesso invece da un’unica
condanna a pena pecuniaria; vizio di motivazione e violazione di legge in
riferimento alla dosimetria della pena, in considerazione anche del consistente
aumento per la continuazione.

 

Ritenuto in diritto

 

1. Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente
infondati.

2. I primi due attengono alla qualificazione
giuridica del reato che i giudici di merito hanno correttamente qualificato nel
delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, nella forma
consumata o non tentata, richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo
cui integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato
ex art. 316-ter cod. pen., la condotta del
datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore
somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa
integrazione guadagni, ottenga dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in
realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi
previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso
istituto le corrispondenti erogazioni (Sez. 2, Sentenza n. 51334 del 23/11/2016
– dep. 01/12/2016 – Rv. 268915).

L’accertamento in fatto a base della doppia conforme
(pronuncia di condanna) ha evidenziato la condotta dell’imputato che, in
qualità di datore di lavoro ha attestato falsamente all’I.N.P.S. il versamento
ai propri dipendenti di anticipazioni a titolo di cassa integrazione guadagni e
di indennità di malattia, con conseguente conguaglio delle corrispondenti somma
nei mesi di settembre 2012 e gennaio 2013; la prova dell’indebita percezione è
proprio nell’omesso versamento del dovuto a seguito del meccanismo del conguaglio,
con detrazione di importi non corrisposti e fittiziamente indicati (in tal
senso anche la testimonianza di G.P., sintetizzata a pagina 1 della sentenza di
primo grado).

3. La motivazione risulta adeguata in tema di
diniego della sospensione, a causa non già dei precedenti penali, formalmente
non ostativi, ma anche per il disvalore dei fatti oggetto di giudizio,
reiterati nel tempo, che preclude un giudizio prognostico favorevole.

Il trattamento sanzionatorio infine è immune dalle
denunciate censure: la pena base è comunque prossima al minimo edittale,
seppure con esso non coincidente, per l’entità della somma dedotta in
conguaglio; l’aumento per la continuazione interna (sei mesi di reclusione) è
contenuto ed adeguato al caso.

4. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso
segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al
pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero,
della somma ritenuta equa di euro duemila a titolo di sanzione pecuniaria.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila
in favore della Cassa delle ammende.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 ottobre 2020, n. 28328
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