I buoni pasto giornalieri hanno natura assistenziale, non retributiva, e la loro fruizione è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo.
Nota a Cass. ord. 21 ottobre 2020, n. 22985
Maria Novella Bettini
Il diritto alla fruizione dei buoni pasto ha natura assistenziale e non retributiva. Tale fruizione è finalizzata ad alleviare, in mancanza di un servizio mensa, il disagio di chi sia costretto, in ragione dell’orario di lavoro osservato, a consumare il pasto fuori casa (Cass. 28 novembre 2019, n. 31137; Cass. 8 agosto 2012, n. 14290 per la maturazione del buono pasto sostitutivo del servizio mensa è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto al di fuori dell’orario di servizio).
Stante la natura della fruizione, il buono dipende strettamente dalle previsioni delle norme o della contrattazione collettiva che ne consentano il riconoscimento. Ed infatti, per le regole di attribuzione dei buoni pasto, le norme primarie (art. 3, co. 1, L. n. 334/1997 e art. 2, co. 11, L. n. 550/1995) si limitano a rinviare ad appositi accordi collettivi.
In ogni caso, qualora esso sia riconnesso ad una pausa, destinata al pasto, il sorgere del diritto dipende dal fatto che quella pausa sia in concreto fruita. Sicché, in mancanza di pause, non vi sono gli estremi cui la disciplina collettiva subordina il diritto alla prestazione.
È quanto afferma la Corte di Cassazione (ord. 21 ottobre 2020, n. 22985, conforme alla decisione di App. Roma) relativamente ad una fattispecie in cui il ccnl di riferimento fissava i presupposti del diritto al riconoscimento dei buoni pasto, stabilendo quanto segue: “il buono pasto viene attribuito per la singola giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la relativa pausa prevista dall’art. 19, comma 4, del CCNL, all’interno della quale va consumato il pasto”. Il richiamato art. 19, co. 4, prevede che “dopo massimo sei ore continuative di lavoro deve essere prevista una pausa che comunque non può essere inferiore ai 30 minuti”. Nel caso di specie, la pausa pranzo non era stata fruita per rinuncia ad essa della lavoratrice, al fine di terminare anticipatamente, nel primo pomeriggio, la prestazione lavorativa.
La pronunzia della Corte si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale sorto in materia di trattamento economico del personale del comparto Ministeri, secondo il quale il buono pasto non è (salva diversa disposizione) elemento della retribuzione “normale”, “ma agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale”. Questa, quindi, «spetta solo ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 4 dell’accordo di comparto del personale appartenente alle qualifiche dirigenziali del 30 aprile 1996, che ne prevede l’attribuzione ai dipendenti con orario settimanale articolato su cinque giorni o turnazioni di almeno otto ore, per le singole giornate lavorative in cui il lavoratore effettui un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la pausa all’interno della quale va consumato il pasto, dovendosi interpretare la regola collettiva nel senso che l’effettuazione della pausa pranzo è condizione di riconoscimento del buono pasto” (così, Cass. n. 14290/2012 ,cit.).
Al riguardo, osserva la Corte, non rileva la veridicità o meno della rinuncia del lavoratore ai buoni pasto, essendo sufficiente che vi sia stata rinuncia alle pause, quale elemento necessario al riconoscimento del diritto.
Quanto al rilievo della lavoratrice ricorrente che la P.A. può negare il consenso alla rinuncia alla pausa pranzo, se ciò entri in contrasto con le proprie esigenze di servizio, secondo i giudici “ciò non significa che una tale articolazione oraria, se derivante da richiesta del lavoratore, non risalga ad un’autonoma decisione di quest’ultimo…”. E se “la P.A si sia limitata a consentire la rinuncia alla pausa, non per questo si configura una ineludibile esigenza amministrativa di un servizio ininterrotto, ma solo l’accettazione di esso come tale, per avallare la domanda del dipendente”.
In tema, v., in questo sito, G. I. VIGLIOTTI, Smart working e stato emergenziale: le prime indicazioni della giurisprudenza, ove si esamina la sentenza del Trib. Venezia 8 luglio 2020, secondo cui “i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart-working ex art. 20, L. n. 81/2017”; F. GIROLAMI, Dipendenti di Agenzie fiscali: le condizioni per il riconoscimento del diritto ai buoni pasto, nota a Cass. 28 novembre 2019, n. 31137.