Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 ottobre 2020, n. 29457

Reclutamento di manodopera allo scopo di destinarla al lavoro
agricolo, Stato di bisogno di lavoratori extracomunitari, Condizioni di
indigenza, Retribuzione palesemente difforme da quella prevista dai contratti
collettivi e sproporzionata al lavoro prestato, Commisurazione del compenso “a
cassetta”

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 6 febbraio 2020 il Tribunale
per il riesame di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza di riesame proposta da
L.C., avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Palmi, con la quale è
stata applicata al medesimo la custodia cautelare in carcere, in quanto
gravemente indiziato dei delitti di cui all’art.
603 bis comma 1, nn. 1) e comma 4, nn. 1) e 3) cod. pen.,
contestatigli per avere reclutato manodopera allo scopo di destinarla al lavoro
presso l’azienda agricola Le C. di M., approfittando dello stato di bisogno di
lavoratori extracomunitari, in condizioni di indigenza, riconoscendo loro una
retribuzione palesemente difforme da quella prevista dai contratti collettivi
nazionali e provinciali e comunque sproporzionata al lavoro prestato; violando
ripetutamente la normativa sull’orario di lavoro, sui riposi settimanali,
sull’aspettativa obbligatoria e sulle ferie.

2. Il provvedimento dà atto che il procedimento è
scaturito da un’articolata attività di indagine riguardante lo sfruttamento dei
lavoratori addetti all’agricoltura, nella Piana di Gioia Tauro, a mezzo dell’attività
di “caporali”, ovverosia di soggetti che, avendo acquisito una posizione di
preminenza rispetto agli altri lavoratori, in ragione del loro prolungato
soggiorno in Italia, effettuano il reclutamento dei braccianti, contrattando
per loro la retribuzione con il datore di lavoro, talvolta seguendo lo schema
del contratto collettivo, talaltra sulla base della commisurazione del compenso
“a cassetta”‘, così realizzando il massimo sfruttamento delle energie fisiche
dei lavoratori, peraltro condotti a pagamento sui fondi agricoli, dai caporali
stessi. In particolare, l’ordinanza dà atto che il compendio indiziario nei
confronti di L.C. emerge da una serie di filmati, relativi a riprese sui luoghi
di reclutamento e da servizi di osservazione, da cui si ricava che l’indagato
si recava quotidianamente, con   un
furgone di proprietà di S.M., presso la tendopoli di San Ferdinando per ivi
prelevare, fra le ore 6.30 e le ore 7.30, lavoratori di origine africana,
vestiti con tute da lavoro agricolo, per condurli nei campi. A seguito
dell’osservazione da parte delle forze dell’ordine, secondo il provvedimento
del Tribunale del riesame, sono stati disposti i controlli del 18, 24 e 27
novembre 2018. Nel corso del primo, era emerso che il furgone, condotto da
L.C., su cui erano stati fatti salire i lavoratori prelevati presso la
tendopoli, si era diretto all’azienda Le C.. Qui venivano identificati V.G.
amministratore della società, l’indagato e gli occupanti del veicolo, i quali
dichiaravano di lavorare per l’azienda, con regolare contratto di lavoro. In
occasione del secondo controllo, invece, dopo essersi diretto verso l’azienda
Le C., l’indagato -nuovamente alla guida del veicolo che trasportava i
lavoratori, reclutati presso la tendopoli, alle ore 6,20- non si arrestava
avanti all’azienda, ma giunto nei pressi, proseguiva, per essere
successivamente fermato dalle forze dell’ordine, nella zona industriale di San
Ferdinando, intorno alle 7.15.

Nella circostanza venivano identificati diversi
lavoratori già identificati il 18 novembre, che successivamente, il 27
novembre, nuovamente ritrovati a bordo del furgone condotto da L.C. ed
identificati, venivano interrogati dalla Polizia Giudiziaria. In sede di S.I.T.
i lavoratori rendevano dichiarazioni convergenti, riferendo di essere impiegati
nella raccolta degli agrumi presso l’azienda agricola Le C. di M., con il
titolare della quale, secondo i dichiaranti, teneva rapporti L.C. che li
prelevava la mattina presso la tendopoli, e con il furgone li conduceva nei
luoghi di lavoro. I lavoratori riferivano di percepire una retribuzione
giornaliera di trenta euro in contanti, da cui era detratta, in favore
dell’indagato, la somma di tre euro per il trasporto. L’orario di lavoro era di
otto ore giornaliere, senza riposi settimanali, con un’ora di pausa per il
pranzo, al quale i medesimi dovevano provvedere personalmente, mentre nessun
corso di formazione per la sicurezza sul lavoro era mai stato loro impartito,
né erano stati loro forniti presidi antinfortunistici.

I lavoratori descrivevano le condizioni della
tendopoli di San Ferdinando, ovvero dei containers di Testa dell’Acqua, ove
affermavano di vivere in situazioni igieniche degradanti. A siffatto quadro,
secondo il provvedimento, va aggiunta l’analisi effettuata, con il loro consenso,
sui telefoni cellulari dei braccianti, da cui emerge l’assenza di contatti con
il datore di lavoro, mentre dall’analisi del traffico telefonico del telefono
dell’indagato si rilevano costanti contatti con un numero di telefono
cellulare, in uso alla ditta Le C.. Dal compendio ricavabile dalle indagini il
Tribunale, confermando il provvedimento del G.I.P., trae la sussistenza di
gravi indizi di colpevolezza a carico di L.C., in relazione ai reati di cui
all’art. 603 bis, comma 1, n. 1) e comma 4, nn. 1) e 3), descritti nell’imputazione provvisoria,
respingendo le doglianze difensive relative alla mancanza di veridicità delle
dichiarazioni dei braccianti escussi, in sede di sommarie informazioni,
ritenendole avvalorate dai riscontri contenuti nei filmati e dalle descrizioni
dei servizi di osservazione della polizia giudiziaria. Il Tribunale per il
riesame sottolinea   che la retribuzione
contrattuale prevede il pagamento di una somma giornaliera di euro 45,00 per
sei ore e mezza di lavoro, mentre ai braccianti veniva corrisposta la somma di
euro 30,00 per otto ore di lavoro, da cui erano detratti euro 3,00 per il  trasporto, mentre non era assicurata la
fruizione dei riposi settimanali e festivi. Il Tribunale, inoltre, sottolinea
la precarietà delle condizioni abitative dei lavoratori presso la tendopoli ed
i containers ove venivano alloggiati- riscontrata dalle   videoripresecaratterizzata
da condizioni sanitarie degradanti- in assenza di impianti idrici ed elettrici-
e dal sovraffollamento (essendo ivi ospitate circa tremila persone), a causa
del quale si erano verificati diversi incendi il ferimento e sinanco la morte di alcuni braccianti, come documentato
dalla nota di polizia giudiziaria in atti. Ciò premesso il Collegio della
cautela afferma la sussistenza della condotta di approfittamento
da parte dell’indagato, avendo questi trattenuto rapporti costanti con i
lavoratori, reclutandoli per conto del datore di lavoro, nella consapevolezza
della loro condizione di bisogno, chiaramente evincibile dalle condizioni
abitative della tendopoli presso la quale si recava per prelevarli.
L’ordinanza, infine, considerato grave il compendio indiziario, trae dalla
ritenuta professionalità dimostrata dall’indagato e dalla trasgressività dei
suoi comportamenti, inclini alla prevaricazione, nonché dalla sua vicinanza con
ambienti criminali, l’esigenza di mantenere la misura della massima cautela, al
fine di evitare la reiterazione del reato, anche tenuto conto del fatto che
L.C. non gode di fissa dimora e che ciò non assicura, il rispetto delle
eventuali prescrizioni correlate ad un provvedimento meno restrittivo.

3. Avverso l’ordinanza propone ricorso per
cassazione L.C., a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi.

4. Con il primo, il ricorrente lamenta la falsa
applicazione dell’art. 191, cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, sotto il profilo del
travisamento della prova.

Assume che il Tribunale, nel rigettare l’istanza di
riesame proposta dal ricorrente, ha travisato il contenuto delle sommarie
informazioni testimoniali rese, in data 27 agosto 2018, da M.M., alle ore 7,50,
da T.L. alle ore 8,10, da B.A., alle ore 8,40, da K.M. alle ore 8,55, da
N.M.S., alle ore 8,55, da D.C. alle ore 9,05 ed alle ore 9,10, da D.L., alle ore
9,05 ed alle ore 9,20, da T.A. alle ore 9,20 ed alle ore 9,25, da A.B. S. alle
ore 9,30 e alle ore 9,35, da D.L., alle ore 9,35 ed alle ore 9,40.

Rileva che le S.I.T., raccolte a distanza di pochi
minuti una dall’altra, o in concomitanza le une con le altre, da parte soggetti
diversi, sono state formate con la tecnica del “copia-incolla”, tanto da
riportare i medesimi errori di battitura (per esempio “a credito”, anziché
“accredito”‘), cosicché i lavoratori ghanesi, gambiani e malesi, sono divenuti,
nella verbalizzazione, connazionali dei senegalesi. Assume che, ciononostante,
il Tribunale si è limitato a ritenere genuine le sommarie informazioni
raccolte, sostenendo l’assenza di ragioni di risentimento dei lavoratori verso
l’indagato, posto che era il medesimo questi a procurar loro il lavoro. E ciò,
senza giustificare -in alcun modo- le ragioni dell’affidabilità delle
dichiarazioni dei braccianti, la cui modalità di verbalizzazione, finisce per
stravolgerne il valore indiziario. Osserva che, nondimeno, il dubbio sulla
genuinità delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di sommarie
informazioni, stante la tecnica di formazione, deve condurre, secondo la
giurisprudenza di legittimità, alla dichiarazione di inutilizzabilità delle
medesime.

5. Con il secondo motivo lamenta la violazione della
legge processuale, avuto riguardo alla disposizione contenuta nell’art. 275, commi 2 bis e 3 bis cod. proc.
pen..

Sottolinea che il Collegio, nel rigettare il motivo
formulato con l’istanza di riesame, in ordine alla prognosi circa la futura
applicazione di una pena inferiore a tre anni ed alla conseguente
inapplicabilità della misura cautelare della custodia in carcere, si è limitato
ad affermare che la valutazione sulla misura della pena spetta al giudice di
merito, senza svolgere il doveroso vaglio sulle ragioni per le quali la pena in
concreto applicata dovrebbe superare detta soglia, anche avuto riguardo all’incensuratezza dell’indagato ed alla concedibilità
delle attenuanti generiche, che potrebbe condurre la sanzione addirittura al di
sotto dei due anni di reclusione, con conseguente concessione della sospensione
condizionale della pena. Censura, altresì, la carenza di motivazione in
relazione all’asserita inidoneità degli arresti domiciliari con braccialetto
elettronico, specificamente eccepita dal ricorrente con la memoria depositata,
nel giudizio del riesame avverso l’ordinanza genetica. Conclude per
l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è infondato.

2. E’ opportuno, preliminarmente, ricordare quanto
ripetutamente affermato da questa Corte sui limiti del giudizio di legittimità
in tema di misure cautelari personali, ovverosia che quando è denunciato, con
ricorso per cassazione il vizio di motivazione “in ordine alla consistenza
dei gravi indizi di colpevolezza” è consentito “al giudice di
legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che
ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza
delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai
principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e
non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di
circostanze già esaminate dal giudice di merito” (Sez. 2, n. 27866 del
17/06/2019 – dep. 24/06/2019, Mazzelli
Franco, Rv. 276976; in precedenza Sez. 4, n. 26992
del 29/05/2013 – dep. 20/06/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460; Sez. 4,
n. 22500 del 03/05/2007 – dep. 08/06/2007, Terranova,
Rv. 23701201; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000 – dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 21582801).

3. Con il primo motivo si articolano due profili di
doglianza. Per un verso, infatti, si afferma l’inutilizzabilità delle S.I.T.,
in quanto la tecnica di redazione “a ciclostile” induce il dubbio sulla
genuinità della loro formazione e di quanto attestato con la verbalizzazione,
con conseguente nullità della prova. Per altro verso, invece, si sostiene
l’assenza di contenuto probatorio delle dichiarazioni dei lavoratori, rese in
sede di S.I.T., per essere le medesime state verbalizzate in modo tale da
renderne inverosimile il contenuto, posto che esse sono state raccolte a pochi
minuti di distanza le une dalle altre – talvolta escutendo per due volte il
medesimo soggetto- e che hanno tutte il medesimo contenuto, compresi gli errori
di dattiloscrittura

4. Invero, proprio muovendo dalle osservazioni
sottoposte dall’indagato sulla recente elaborazione della giurisprudenza di
legittimità (Sez. 6, n. 1361 del 04/12/2018 – dep.
11/01/2019, Zanzurino Antonio, Rv.
274839) e sulla mancanza della fede privilegiata degli atti redatti da pubblici
ufficiali nel procedimento penale, la cui mera presunzione di credibilità circa
l’oggetto dell’attestazione comporta il dovere di porre il loro contenuto a
confronto con le obiezioni sollevate da chi ne contesta la corrispondenza al
vero, il provvedimento impugnato osserva che l’attendibilità delle
dichiarazioni dei lavoratori viene avvalorata da elementi esterni.

La corrispondenza fra quanto verbalizzato in sede di
S.I.T. e la realtà, infatti, emerge, secondo l’ordinanza, dal confronto con gli
altri elementi probatori raccolti, tutti indicativi della situazione di sfruttamento
descritta con l’imputazione provvisoria.

Fra questi sono richiamate le immagini riprese dalle
telecamere installate presso la tendopoli, i servizi di osservazione e la
circostanza relativa al tentativo di L.C. di sottrarsi ad uno dei controlli, dirigendosi,
con il furgone carico di braccianti, in luogo diverso dall’azienda agricola,
superandola in altra direzione. Ed infine, a riprova dell’attività di
caporalato svolta la L.C.,  viene
evidenziato il mantenimento dei contatti, in via esclusiva, con il datore di
lavoro, in assenza di qualsiasi rapporto diretto fra i lavoratori e
quest’ultimo.

5. La critica secondo la quale le argomentazioni del
Tribunale non affrontano il contenuto effettivo della doglianza contenuta nel
gravame cautelare e riproposta in questa sede, circa la provenienza delle
dichiarazione verbalizzate dai  soggetti
escussi in sede di S.I.T., di cui si mette in discussione la corretta
attestazione, pur apparentemente giustificata dalla sintesi del percorso
motivazionale sul punto, non coglie nel segno.

Seppure, infatti, la motivazione del giudice del
riesame si soffermi sulla corrispondenza fra il contenuto delle dichiarazioni e
i riscontri rappresentati dagli altri elementi indiziarii
acquisiti con le indagini, omettendo di rendere esplicite le ragioni per le
quali le anomalie riscontrate nella verbalizzazione e sottoposte al giudizio di
riesame possono essere superate, senza far venir meno la riconducibilità ai
singoli dichiaranti delle dichiarazioni verbalizzate, tuttavia, ciò non implica
l’inutilizzabilità delle dichiarazioni medesime, come preteso dal ricorrente.
Non solo perché l’ipotesi non rientra fra quelle di cui all’art. 191 cod. proc. civ.,
non trattandosi di prova assunta in violazione di divieti di legge, ma perché
il Tribunale per il riesame, pur non articolando in modo completo il
ragionamento, giunge sostanzialmente alla conclusione che le obiezioni svolte
non sono idonee ad intaccare la presunzione di credibilità degli atti, posto
che quanto risultante dalla verbalizzazione trova riscontri esterni.

La sintetica esposizione motivazionale, che manca di
dare risalto al primo quesito, sull’attribuibilità ai
dichiaranti delle narrazioni verbalizzate, realizza, nondimeno, la valutazione
delle contestazioni formulate, constatando che le dichiarazioni raccolte
riproducono lo stesso quadro emergente dagli altri elementi dì indagine, sicché
le affermazioni contenute nei verbali di sommarie informazioni
testimoniali-ancorché riproducenti le affermazioni dei dichiaranti in modo
seriale, con la tecnica del ‘copia-incolla’- vanno ricondotte ai lavoratori
escussi. Si tratta, dunque, di un ragionamento che, in assenza di una diversa
prospettazione sulla sussistenza di una vera e propria falsificazione degli
atti relativi alle dichiarazioni dei lavoratori, supera i rilievi di incoerenza
delle verbalizzazioni compendiando nel giudizio sulla valutazione della
credibilità del contenuto delle dichiarazioni, il giudizio sulla loro
provenienza.

Ciò, tuttavia, soddisfa proprio il criterio
individuato dall’orientamento testé richiamato, che nega la natura fidefacente, nel processo penale, dell’atto redatto dal
pubblico ufficiale (contra, da ultimo Sez. 2, n. 9544 del 19/02/2020, Bianchi
Danilo, non massimata), richiedendo al giudice di confrontarsi con le
contestazioni formulate.

6. D’altro canto, il ricorrente non propone una
diversa lettura del complesso degli elementi considerati dai giudici della
cautela, volta a di svuotare di consistenza la lettura fornita dall’ordinanza
impugnata, limitandosi a considerazioni 
atomistiche, prive di contenuto destrutturante. Il Collegio del riesame,
al contrario, pur sempre rimanendo nell’ambito di un giudizio di natura
indiziaria proprio della sede cautelare, ricostruisce i fatti attraverso un
ragionamento privo di vizi logici motivando congruamente l’univocità degli
elementi a disposizione in relazione all’accertamento della vicenda, che viene
esaminata in modo specifico, ancorché le conclusioni tratte siano difformi da
quelle sottoposte dal ricorrente.

7. Il secondo motivo è parimenti infondato.

8. Contrariamente a quanto assunto con il ricorso,
infatti, il Collegio della cautela formula una prognosi negativa
sull’applicazione di una pena inferiore a quella prevista dall’art. 163 cod. pen., o comunque inferiore ai tre anni, ai sensi dell’art. 275, comma 2 bis cod. proc.
pen., facendo riferimento al limite della pena
edittale ed alla gravità dei fatti contestati e non, come lamentato, alla
valutazione del giudice di merito, alla quale fa riferimento esclusivamente per
sottolineare che allo stadio cautelare non è possibile formulare previsioni
sugli sviluppi del processo. La decisione, invero, pone in relazione la gravità
del fatto, come descritta dall’ordinanza, con la fattispecie astratta che, va
ricordato, è contestata ai sensi dell’art. 603
bis, commi 1 e 4 cod. pen., nella forma
aggravata, evidentemente ritenendo che la condotta, per come emergente in fase
cautelare, meriti una sanzione superiore al medio edittale.

D’altro canto, deve ribadirsi in questa sede che
“In tema di applicazione o di revoca delle misure cautelari personali, la
valutazione prognostica del giudice circa la concedibilità
della sospensione condizionale della pena, richiesta dall’art. 275, comma 2-bis, cod. proc.
pen., non può tenere conto dell’eventuale
applicazione delle diminuenti previste per riti speciali per i quali l’imputato
ha preannunciato di optare, in assenza di elementi concreti (quali, ad esempio,
la presenza di una istanza già formalizzata di giudizio abbreviato non
condizionato o di applicazione di pena già munita dal consenso del PM) che
consentono di ritenere concretamente prevedibile l’accesso a tali forme
alternative di definizione del procedimento. (Sez. 3, n. 36918 del 13/05/2015,
Agostinone, Rv. 265176).

Né può ritenersi che il giudice della cautela
operando il giudizio prognostico di cui all’art.
275, comma 2 bis cod. proc. pen.,
debba formulare una valutazione ull’eventuale
favorevole bilanciamento delle circostanze attenuanti ed attenuanti generiche
con le aggravanti contestate, non solo perché si tratta di un giudizio rimesso
esclusivamente al giudice di merito, dipendente anche dal comportamento
processuale ed extraprocessuale dell’interessato (si pensi astrattamente
all’ipotesi dell’integrazione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen.),
che resta al di fuori della “conoscibilità” del giudice della cautela, ma
proprio perché la prognosi di quest’ultimo non può che scaturire dagli elementi
a disposizione nella fase procedimentale delle indagini, che riguardano, da un
lato, la pena edittale, dall’altro la gravità della condotta e la personalità
dell’interessato.

Con la conseguenza che il riferimento a detti
parametri soddisfa i requisiti del giudizio di cui all’art. 275, comma 2 bis cod. proc.
pen..

9. Da ultimo, va rigettato anche l’ultimo profilo di
doglianza relativo alla carenza di motivazione in ordine all’inidoneità degli
arresti domiciliari con procedure di controllo (c.d. braccialetto elettronico)
ad assicurare le esigenze cautelari.

La censura non può trovare accoglimento. Invero, nel
corpo dell’ordinanza si colgono le ragioni del diniego, relative all’assenza di
un domicilio di riferimento che renda possibile i controlli. Il Collegio,
infatti, dà atto che il ricorrente è stato controllato, negli ultimi anni, in
diverse regioni italiane e che all’interno della tendopoli di San Ferdinando
non appare possibile effettuare un valido contenimento, anche per la difficoltà
di verifica della presenza dell’indagato.

10. Il ricorso va, dunque, rigettato con condanna
del ricorrente al pagamento  delle spese
processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui
all’art. 94, comma 1-ter, disp..att. cod. proc. pen..

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 ottobre 2020, n. 29457
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