Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 ottobre 2020, n. 23434

Abuso di tre permessi ex art. 33, co. 3, L. n. 104/1992
– Relazione dell’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro, Utilizzo
in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per
detta assistenza, Comportamento del dipendente che si avvalga del beneficio
per attendere ad esigenze diverse, Abuso del diritto e violazione dei principi
di correttezza e buona fede, con rilevanza anche ai fini disciplinari

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Trento, con sentenza n. 80
depositata il 26.10.2018, in riforma della sentenza del Tribunale della
medesima sede, ha ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa
intimato da G.N. s.r.l., con lettera del 25.11.2016, a T.G. per abuso dei
permessi ex art. 33, comma 3,
della legge n. 104 del 1992.

2. La Corte di appello, ha, in sintesi, osservato,
che non poteva ritenersi raggiunta la prova dell’abuso di tre permessi ex art. 33, comma 3, della legge n.
104 del 1992 risultando – dalla relazione dell’agenzia investigativa
(incaricata dal datore di lavoro) nonché dalle prove testimoniali – che la G.
nelle giornate del 27, 28 e 29 ottobre 2016 si era recata presso l’abitazione
del padre, affetto da morbo di A., per un numero di ore ben oltre quelle del
suo orario di lavoro (e, comunque, prevalente, volendo escludere l’incontro di
formazione/informazione sul malato neurologico del pomeriggio del 27 ottobre
presso un centro universitario), senza che potesse dunque ravvisarsi alcun
abuso dei permessi concessi dal datore di lavoro e con conseguente illegittimità
del provvedimento espulsivo.

3. Per la cassazione di tale sentenza la società
G.N. s.r.l. ha proposto ricorso affidato a due motivi. La sig.ra. G. ha
resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli
artt. 32 [rectius 33, come si evince dal
contenuto del motivo], della legge n. 104 del 1992
e 2119 cod.civ.,
avendo, la Corte territoriale, trascurato che la disposizione posta a tutela
dei portatori di handicap impone, al familiare, attività assistenziali in senso
lato sanitario o, comunque, per attività di sostegno, che si pongano in
relazione diretta con le esigenze assistenziali e di vita del disabile, non
potendo essere concessi permessi volti a soddisfare unicamente esigenze
personali dell’assistente o del coniuge del familiare disabile, come la
partecipazione ad un corso di formazione relativo alla malattia da cui è
affetto il disabile.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2119 cod.civ. dovendo, il lavoratore, adottare un comportamento
rispettoso dei doveri di correttezza e buona fede derivanti dal contratto di
lavoro e, dunque, astenersi dall’utilizzare i permessi ex art. 33 della legge n. 104 del
1992 per riposarsi, andare a fare la spesa per la sua famiglia, portare a
spasso il cane, partecipare ad incontri/conferenze aventi ad oggetto la
malattia che ha colpito il disabile.

3. I motivi di ricorso, che possono essere trattati
congiuntamente in quanto strettamente connessi, non meritano accoglimento.

3.1. La Corte d’appello si è uniformata alla
giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1394 del 2020

; Cass.
21529 del 2019; Cass.
n. 8310 del 2019; Cass.
n. 17968 del 2016; n. 9217 del 2016; n. 8784 del 2015) che ha precisato come il
permesso di cui alla L. n. 104
del 1992, art. 33, sia riconosciuto al lavoratore in ragione
dell’assistenza al disabile e in relazione causale diretta con essa, senza che
il dato testuale e la “ratio” della norma ne consentano l’utilizzo in
funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per
detta assistenza. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si
avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del
diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del
datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini
disciplinari.

3.2. Invero, in base alla ratio della legge n. 104 del 1992, art. 33,
comma 3, che attribuisce al “lavoratore dipendente… che assiste persona
con handicap in situazione di gravità…” il diritto di fruire di tre
giorni di permesso mensile retribuito, coperto da contribuzione figurativa, è
necessario che l’assenza dal lavoro si ponga in relazione diretta con
l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia
l’assistenza al disabile; questa può essere prestata con modalità e forme
diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche
o di qualsiasi genere, purché nell’interesse del familiare assistito (cfr. Cass. Ord.
n. 23891 del 2018).

3.3. Secondo l’orientamento di questa Corte (per
tutte Cass. n. 17968 del
2016), il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che non si
avvalga del permesso previsto dal citato art. 33, in coerenza con la
funzione dello stesso, ossia l’assistenza del familiare disabile, integra un
abuso del diritto in quanto priva il datore di lavoro della prestazione
lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra,
nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico,
un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento
assistenziale;

4. Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha
accertato che la lavoratrice, alla quale erano stati concessi tre giorni
consecutivi di permesso, aveva utilizzato un “numero di ore ben oltre
quelle del suo orario di lavoro” all’assistenza e all’accudimento al padre
(pag. 21 della sentenza impugnata), e che se anche non si riteneva di includere
nel concetto di “assistenza in senso lato” l’incontro di
formazione/informazione sul malato neurologico frequentato nel pomeriggio del
giorno 27 ottobre, in ogni caso non poteva ritenersi provato che la G. avesse
utilizzato i permessi per svolgere solo o prevalentemente attività nel proprio
interesse.

5. La Corte distrettuale ha, dunque, escluso che si
fosse verificato un utilizzo dei permessi in funzione meramente compensativa
delle energie impiegate dal dipendente per l’assistenza, avendo accertato – in
ogni caso – la prestazione di effettiva e prevalente assistenza a favore del
padre disabile.

6. In conclusione, il ricorso va respinto e le spese
di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.

7. Il ricorso è stato notificato in data successiva
a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17), che ha integrato il D.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del
seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha
proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a
norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei
presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al
momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione
(avente natura chiaramente impugnatoria)
integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese dèi presente giudizio di legittimità, liquidate in euro
200,00 per esborsi nonché in euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre
spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13,
ove dovuto.

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