Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23768

Lavoro, Contratti di collaborazione coordinata e continuativa
– Verbale ispettivo, Svolgimento di attività meramente esecutiva e del tutto
priva di autonomia

 

Premesso

 

Che con sentenza n. 237/2015, pubblicata il 23
luglio 2015, la Corte di appello di Firenze, pronunciando sul gravame della
S.T.G. s.r.l. in liquidazione e sul gravame incidentale dell’I.N.P.S., in
proprio e quale procuratore speciale di S.C.C.I. s.p.a.: – ha ritenuto, come
già il primo giudice, quanto ai contratti di collaborazione coordinata e
continuativa, di cui al verbale ispettivo n. 502/2008, che non era
configurabile alcun progetto conforme ai requisiti previsti dall’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003,
essendo risultato che i collaboratori avevano esclusivamente svolto attività di
consegna di pizze a domicilio e cioè un’attività, meramente esecutiva e del
tutto priva di autonomia, coincidente con una parte di quella unitariamente
esercitata dall’impresa committente (gestione di una serie di punti di
produzione e di vendita, da realizzarsi sia mediante la modalità dell’asporto
da parte del consumatore, sia mediante il recapito del prodotto alimentare al
suo domicilio) e non distinguibile da essa; – ha poi considerato, come già il
primo giudice, di natura assoluta la presunzione di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003,
con conseguente conversione ope legis dei rapporti di collaborazione in
rapporti di lavoro subordinato; – ha peraltro ritenuto, quanto alle prestazioni
occasionali oggetto del verbale ispettivo n. 503/2008, in riforma – per questa
parte – della sentenza di primo grado, che se tali prestazioni restano escluse
ex art. 61, comma 2, del d.lgs. n.
276/2003 dalla disciplina relativa al lavoro a progetto (ove risultino di
durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con
lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel
medesimo anno solare sia superiore ai 5 mila euro), deve, tuttavia, trattarsi
di prestazioni autonome di collaborazione, mentre nel caso di specie esse
dovevano qualificarsi in termini di lavoro subordinato, alla stregua degli
elementi acquisiti al giudizio, non rilevandone in senso contrario la talvolta
brevissima durata;

– che la Corte territoriale, in parziale riforma
della sentenza di primo grado, ha, pertanto, dichiarato dovute dalla società le
medesime somme indicate nella cartella esattoriale opposta, al netto della
contribuzione già versata, per gli stessi periodi contributivi, nella gestione
separata;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione la società S.T.G. s.r.l. in liquidazione, affidandosi a cinque
motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito l’I.N.P.S. con controricorso;

– che Equitalia Centro (già Equitalia Cerit) S.p.A.,
contumace nel giudizio di secondo grado, è rimasta intimata;

– cne il Procuratore Generale ha depositato le
proprie conclusioni;

 

Rilevato

 

Che con il primo e il secondo motivo di ricorso,
denunciando rispettivamente violazione o falsa applicazione dell’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003
e vizio di motivazione, la società ricorrente censura la sentenza di appello
nella parte in cui ha ritenuto che le prestazioni eseguite in attuazione dei
contratti di collaborazione coordinata e continuativa non fossero riconducibili
ad un “progetto”, stante la coincidenza dell’attività affidata ai
collaboratori con l’oggetto sociale e la carenza di specificità della stessa,
senza, tuttavia, considerare che la disciplina del lavoro a progetto non
prevede che il relativo contratto debba riguardare attività collaterali, che si
affianchino a quella istituzionalmente condotta dall’impresa o che risultino
differenziate, ulteriori o straordinarie rispetto all’attività e all’oggetto
sociale di essa, posto che il corretto parametro per individuare il carattere
della specificità è costituito dalla corrispondenza delle prestazioni del
collaboratore ad un progetto o programma di lavoro particolare, seppure
ricompreso nella normale attività aziendale; ed inoltre, là dove ha posto
l’accento sulla circostanza che i collaboratori si sarebbero limitati a porre
le proprie energie a servizio dell’azienda, secondo la tempistica e
l’organizzazione di quest’ultima, senza attribuire la necessaria rilevanza al
“risultato” e cioè all’obiettivo perseguito: elemento, questo, che
rappresenta invece, nel lavoro a progetto, l’elemento essenziale e
giuridicamente rilevante, indipendentemente dal tempo impegnato per
l’esecuzione della prestazione e rispetto al quale, ove vi sia necessità di
coordinamento con l’organizzazione produttiva aziendale, può risultare
indispensabile, sul piano funzionale, la presenza del lavoratore sul luogo di
esecuzione della prestazione, come l’osservanza di un orario di lavoro;

– che con il terzo motivo, deducendo la violazione o
falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 69 d.lgs. n. 276/2003, all’art. 2728 cod. civ. e all’art. 1, comma 24, d.lgs.
n. 92/2012, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere considerato
assoluta la presunzione di cui all’art.
69, comma 1, con conseguente trasformazione, in via automatica, dei
contratti di collaborazione in rapporti di lavoro subordinato, mentre deve ritenersi
che la norma, prima della sua abrogazione ad opera del d.lgs. n. 81/2015, integrasse una presunzione
semplice, tale da rendere necessaria una puntuale indagine in ordine
all’effettivo atteggiarsi del rapporto fra le parti;

– che con il quarto motivo, deducendo la violazione
o falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 cod. civ., la ricorrente censura la sentenza
per avere erroneamente ritenuto, una volta esclusa la configurabilità di un
progetto conforme ai requisiti legali, che non fosse necessaria alcuna
ulteriore indagine ai fini della qualificazione del rapporto, in tal modo
disattendendo completamente gli elementi, dai quali sarebbe emersa la condizione
di sostanziale autogestione delle prestazioni da parte dei collaboratori;

– che con il quinto motivo viene infine dedotta
dalla società ricorrente la violazione o falsa applicazione dell’art. 61, comma 2, del d.lgs. n.
276/2003, non avendo la Corte di appello considerato che, ai fini della
individuazione delle prestazioni occasionali, il legislatore si è limitato ad
adottare limiti quantitativo-temporali ed economici, e che su tali premesse,
diversamente da quanto statuito nella sentenza impugnata, è da ritenere non
risulti necessaria alcuna analisi o indagine ulteriore circa la natura e
tipologia della prestazione;

 

Osservato

 

che il primo e il secondo motivo, da esaminarsi
congiuntamente in quanto connessi, sono infondati;

– che, in punto di fatto, il giudice di appello ha
accertato che ciascuno dei collaboratori “svolgeva esclusivamente il
compito di consegnare le pizze al domicilio dei clienti” (cfr. sentenza
impugnata, p. 4) e che, nonostante gli obiettivi dichiarati nel progetto,
nessuno di loro “aveva ricevuto il compito, né lo aveva di fatto comunque
mai svolto, di curare in particolare la raccolta di dati circa il gradimento
della clientela, la sua familiarizzazione con il prodotto e con l’azienda, le
condizioni dei prodotti consegnati”; con l’ulteriore osservazione, secondo
la quale l’esecuzione di tali compiti “non avrebbe mutato affatto
l’oggetto dell’incarico, rientrando nella ovvietà di qualunque mansione
esecutiva connessa alla vendita anche il ritorno informativo all’imprenditore
da parte dell’operatore tanto sulla qualità del prodotto venduto, quanto sul
rilevato riscontro della clientela, finalizzato all’individuazione di canali di
miglioramento del risultato commerciale” (cfr. ancora p. 4 e p. 5);

– che, ciò posto, la sentenza deve ritenersi esente
dalle censure che, con i motivi ora in esame, le sono rivolte, avendo offerto
una corretta e condivisibile lettura della disciplina delle collaborazioni
coordinate e continuative, di cui all’art. 61, comma 1, del d.lgs. n.
276/2003, e, in particolare, dei requisiti, ai quali deve conformarsi il
“progetto”;

– che, infatti, il progetto (come il programma di
lavoro o fase di esso): (a) deve risultare “specifico”, nel senso
della individuazione di un “contenuto caratterizzante” (art. 62, comma 1, lett. b) e cioè
di una indicazione, da inserirsi nel contratto, che ne delimiti con chiarezza e
precisione l’oggetto e la portata; (b) deve essere gestito “autonomamente
dal collaboratore” e (c) tendere, nel rispetto del coordinamento con
l’organizzazione del committente, ad un “risultato”, vale a dire al
conseguimento di un obiettivo definito, che, se pure non eccezionale o del
tutto sconnesso rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa, deve
nondimeno da questa essere concretamente distinguibile e tale da integrare un
apporto collaborativo non circoscritto a un segmento distinto di una più ampia organizzazione
produttiva (cfr. già, in tal senso, Cass. n.
24379/2017);

– che esattamente, pertanto, la Corte di merito ha
ritenuto che nella specie non fosse configurabile alcun progetto, nel senso
voluto dall’art. 61 cit.,
stante la piena coincidenza delle prestazioni rese dai lavoratori con una
porzione dell’attività di impresa esercitata dalla società, la quale – come
egualmente accertato (cfr. sentenza, p. 2) – “gestiva una

catena di punti vendita/pizzeria da asporto e con
consegne a domicilio, attiva a Firenze con la denominazione di runner
pizza”)

– che infondato è altresì il terzo motivo, avendo la
Corte di appello fatto applicazione del principio di diritto, secondo il quale
“In tema di contratto di lavoro a progetto, il regime sanzionatorio
articolato dall’art. 69 del d.lgs.
n. 276 del 2003, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina
del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente
differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di
uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto
ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in
esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in
presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la
valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del
contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in
corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti”
(Cass. n. 12820/2016; conforme, fra altre, Cass. n. 17127/2016);

– che il quarto motivo resta assorbito nel rigetto
del precedente;

– che anche il quinto motivo deve essere disatteso;

– che l’art.
61, comma 2, escludendo “le prestazioni occasionali”
(intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta
giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo il caso di
un compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare superiore a 5
mila euro) “dalla disposizione di cui al comma 1”, pone(va)
semplicemente una deroga, fondata sulla riscontrata sussistenza degli indicati
limiti quantitativo-temporali ed economici, alla regola della necessaria
riconducibilità dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno
o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, sancendo di
conseguenza la possibilità di rapporti che, pur appartenenti allo stesso
genere, fossero svincolati dalla necessità di un tale legame: purché, tuttavia,
non implicando la norma in oggetto alcuna automatica determinazione, realmente
ed effettivamente tali alla stregua degli esiti dell’indagine giudiziale volta
al riconoscimento degli elementi distintivi della fattispecie;

– che tale indagine risulta compiuta dalla Corte
territoriale nella sentenza impugnata (cfr. pp. 8-9), attraverso una puntuale
ricostruzione di fatto; né con il motivo in esame risulta dedotta la violazione
dell’art. 2094 cod. civ. e dei criteri che
presiedono alla qualificazione di un rapporto come di natura subordinata;

ritenute

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 7.000,00 per
compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al
15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a
norma del comma 1 bis dello stesso
articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23768
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