Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23765

Contratti di somministrazione plurimi, Sussistenza di un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, Regime di decadenza
dall’impugnazione, Retroattività della nuova disciplina, Non sussiste

 

Rilevato che

 

La Corte d’Appello di Milano con sentenza resa
pubblica il 25/7/2016 in riforma della pronuncia del giudice di prima istanza,
dichiarava l’illegittimità dei contratti di somministrazione di lavoro dedotti
in giudizio, intercorsi tra A.F.M. e la società P., la sussistenza fra le
stesse di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dalla
decorrenza del primo dei sei contratti di somministrazione inter partes
intercorsi a far tempo dal 2/1/2007 con le relative sedici proroghe,
condannando per l’effetto la resistente utilizzatrice al ripristino del
rapporto di lavoro ed alla corresponsione, in favore del lavoratore,
dell’indennità ex art. 32 l.
183/2010 nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto percepita, oltre accessori di legge.

La Corte distrettuale, per quanto ancora qui rileva,
perveniva a tali conclusioni sul preliminare rilievo della infondatezza
dell’eccezione di decadenza sollevata dalla società in riferimento alla
impugnazione dei contratti proposta dal lavoratore con ricorso giudiziale
depositato in data 29/1/2013.

Nel dare continuità ad un orientamento espresso in
sede di legittimità, osservava che in tema di somministrazione di lavoro, il
regime di decadenza di cui al novellato art. 6 l. 604/66 esteso dall’art. 32 c.4 l. 183/2010 si
applicava ai soli contratti di somministrazione in corso alla data di entrata
in vigore della legge stessa (24/11/2010) e non anche a quelli che – come nella
fattispecie scrutinata – erano già scaduti a tale data. Quanto al merito,
argomentava in ordine alla mancanza di prova relativa alla effettività delle
esigenze produttive sottese alla stipula dei contratti di lavoro in
somministrazione oggetto di vaglio.

Avverso detta sentenza la società P. ha proposto
ricorso per cassazione, affidando l’impugnazione a plurimi motivi illustrati da
memoria. F.A.M. ha resistito con controricorso spiegando ricorso incidentale
condizionato sostenuto da due motivi al quale la società ha opposto difese con
controricorso.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 32
l. 183/2010, degli artt. 20,
27 e 29 d. Igs. n. 276/2003, dell’art. 1 d. Igs. n. 368/2001,
dell’art. 12 disp. legge in generale in
relazione all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c.

Si critica la statuizione con la quale i giudici del
gravame hanno ritenuto non applicabile il regime decadenziale sancito dall’art. 32 l. 183/2010, per essere
i contratti scaduti anteriormente alla entrata in vigore della disposizione
richiamata, argomentandosi, per contro, che una interpretazione sistematica
della norma e la ratio che la ispira, inducono a ritenere applicabile la
richiamata disposizione, anche ai contratti di somministrazione conclusi in
detto arco temporale; ed a sostegno della censura si richiamano i più recenti
approdi ai quali è pervenuta questa Corte di legittimità sulla delibata
questione, rimarcandosi che i contratti, intercorsi fra le parti erano stati
impugnati, tardivamente, solo il 29/1/2013.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa
applicazione degli artt. 20, e
27 d. Igs. n. 276/2003, degli artt.1362 e 2697 c.c.
in relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.

Ci si duole che la Corte di merito abbia ritenuto
illegittimi i contratti stipulati inter partes, per non avere la società
adempiuto all’onere probatorio sulla stessa gravante in ordine alle esigenze
sottese alla stipulazione dei contratti.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e
falsa applicazione dell’art.20
d.lgs. n.276/2003, degli artt.2697 c.c., 112, 115 e 116, 416 e 420 c.p.c. in relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.. La critica attiene
alla questione della mancata dimostrazione del rispetto del limite percentuale
di assunzione mediante lavoro somministrato.

4. La quarta critica attiene alla violazione e falsa
applicazione dell’art. 32 c.5
e 6 l. 183/2010 in relazione
all’art.360 comma primo n.3 c.p.c. criticandosi
la quantificazione dell’indennità spettante al lavoratore nella misura di 12
mensilità.

5. Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

Deve osservarsi in via di premessa, che l’art. 32 commi 1-4 della legge n.183
del 2010, nel modificare l’assetto normativo dettato dall’art. 6, commi 1 e 2, della legge
15 luglio 1966 n. 604, ha esteso il regime delle decadenze a fattispecie
che prima della legge 183 non ne erano
toccate, compresa, per quel che qui interessa, la fattispecie dei contratti di
lavoro in somministrazione.

Sotto la dicitura “Decadenze e disposizioni in
materia di contratto di lavoro a tempo determinato” il legislatore è
intervenuto per modificare, in primo luogo, ed in via generale, la disciplina
dell’impugnazione dei licenziamenti. E’ stato introdotto, accanto al termine di
decadenza di sessanta giorni per l’impugnazione stragiudiziale del
licenziamento, già esistente, un ulteriore termine di duecentosettanta giorni
per la proposizione del ricorso giurisdizionale. Tali termini sono stati
successivamente modificati dalla legge 28 giugno
2012 n. 92 rispettivamente in novanta e centottanta giorni.

L’art.
32 della legge n. 183 del 2010, poi, nei commi da 2 a 4, estende questa
nuova disciplina, formulata mediante la riscrittura dell’art. 6 cit., ad una serie di
altre ipotesi e cioè “anche a tutti i casi di invalidità del
licenziamento” (secondo comma), nonché (commi 3 e 4) ad altre forme
contrattuali ed atti datoriali.

Dispone in particolare l’art. 32 co. 4° legge n. 183/10:
“Le disposizioni di cui all’articolo
6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del
presente articolo, si applicano anche:

a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai
sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6
settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in
vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine;

b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche
in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e
già conclusi alla data di. entrata in vigore della presente legge, con
decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge;

c) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai
sensi dell’articolo 2112 del codice civile con
termine decorrente dalla data del trasferimento;

d) in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi
prevista dall’articolo 27 del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o
l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal
titolare del contratto.”

6. Il possibile decorso di un termine
apprezzabilmente ampio tra l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento (da
effettuarsi entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso anche secondo il
previgente art. 6 della L. n.
604 del 1966) e l’azione giudiziaria ovvero l’insussistènza di limiti
temporali (in caso di azioni imprescrittibili) potevano configurare situazioni
prolungate di assoluta incertezza per le parti, che il legislatore ha ritenuto
di disciplinare mediante l’introduzione di un doppio regime di decadenza esteso
ad una serie di ipotesi, assetto più severo che è stato bilanciato da un
congruo differimento dell’efficacia della novella (D.L.
n. 225 del 2010), senza che si possa ravvisare – in tale bilanciamento – un
regolamento irrazionale delle due contrapposte esigenze (garanzia di una sollecita
definizione delle controversie, da una parte, ed affidamento a fruire del
termine prescrizionale, dall’altra).

Invero, come sottolineato da questa Corte (cfr. S.U. 14/3/2016 n. 4913, Cass. 29/11/2016 n.24258, Cass. 28/9/2018 n.23619 ed in motivazione, Cass. 7/1/2019 n.160), proprio la disciplina
contenuta nel D.L. n.225 del 2010 consente di
applicare il nuovo regime decadenziale a fattispecie (licenziamenti o altre
ipotesi regolate dall’art. 32 I.
n. 183 del 2010) intervenute prima del 24.11.2010, in quanto la rimessione
in termini al 31.12.2011 risponde alla “ratio legis” di risolvere, in
chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione
“ex novo” del suddetto termine di decadenza.

La soluzione adottata nel caso di specie,
concernente i contratti di somministrazione stipulati o conclusi anteriormente
all’entrata in vigore dell’art.32
legge n.183/10 (24/11/2010), si inquadra, pertanto, coerentemente,
nell’ambito dell’orientamento di recente consolidato da parte di questa Corte
che – superando l’iniziale diversamente articolata interpretazione della
disposizione qui scrutinata e di cui la Corte di merito ha dato atto nel
proprio percorso argomentativo – ha ritenuto applicabile ai licenziamenti e
alle altre ipotesi regolate dall’art.
32 I. n. 183 del 2010, risalenti a periodo precedente il 24.11.2010, sia il
nuovo regime decadenziale sia il differimento al 31.12.2011 disposto dal D.L. n, 225 del 2010, proprio in ragione del
bilanciamento compiuto dal legislatore fra esigenza di tutela della certezza
delle situazioni giuridiche e difesa del lavoratore, oltre che della ulteriore
considerazione alla cui stregua l’introduzione del nuovo termine di decadenza
con efficacia “ex nunc” non determina una violazione degli artt. 24 Cost., 47 della Carta dei diritti
fondamentali della UE o 6 e 13 della CEDU, essendo stato
assicurato un ambito temporale quantitativamente congruo per la conoscibilità
della nuova disciplina, attesa la proroga disposta “in sede di prima applicazione”
dal citato comma 1-bis (vedi Cass.27/3/2017 n.7788).

Questo compendio normativo peraltro, come si è avuto
modo di osservare, non importa una retroattività propriamente detta del regime
decadenziale approntato, ma soltanto l’assoggettamento d’un diritto, già
acquisito, ad un tèrmine di decadenza per il suo esercizio. Invero, secondo
risalente insegnamento di questa Corte (v. Cass. n. 2705/82; Cass. n. 2743/75),
si può parlare di retroattività normativa quando una disposizione di legge
introduca, per fatti e rapporti già assoggettati all’imperio di una legge
precedente, una nuova disciplina degli effetti esauritisi sotto la legge
anteriore (con l’eccezione data dal limite della cosa giudicata), ovvero una
nuova disciplina di tutti gli effetti di un rapporto posto in essere prima
dell’entrata in vigore della nuova norma, senza distinzione tra effetti
verificatisi anteriormente o posteriormente alla nuova disposizione.

7. Non sussiste, invece, retroattività ove la nuova
norma disciplini gli atti di un procedimento, anche se riguardanti eventi ed
effetti sostanziali già compiuti e si tratti della sua applicazione agli atti
da compiere, oppure – ed è questa l’ipotesi che qui viene in rilievo – quando
la nuova norma disciplini status, situazioni e rapporti che, pur costituendo
lato sensu effetti di un pregresso fatto generatore (previsti e considerati nel
quadro di una diversa normativa), siano distinti ontologicamente e
funzionalmente (indipendentemente dal loro collegamento con detto fatto
generatore), in quanto suscettibili di una nuova regolamentazione mediante
l’esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina
(così in motivazione, Cass. 8/2/2016 n.2420).

È – quest’ultimo – il caso dell’introduzione d’un
termine di decadenza ove prima non ve ne erano, come nella vicenda in oggetto,
in cui il potere d’azione, era indubbiamente già sorto prima dell’entrata in
vigore dell’art. 32 co, 4° legge
n. 183/10, ma non si era ancora consumato (non essendosene verificata
rinuncia o prescrizione alcuna né essendo intervenuto un giudicato a riguardo).

Alla stregua delle sinora esposte argomentazioni,
deve, quindi, affermarsi che la decadenza di cui all’art. 32 comma 4, della L. n.183 del
2010, e la conseguente proroga di cui al comma 1 bis del medesimo articolo,
si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione cessati o
stipulati prima della data di entrata in vigore della legge stessa.

La pronuncia impugnata, non si è conformata
all’enunciato principio di diritto e va pertanto cassata in accoglimento del
primo motivo – restando assorbiti logicamente gli ulteriori motivi ed il
ricorso incidentale condizionato – con rinvio alla Corte d’appello designata in
dispositivo che, attenendosi al principio di diritto innanzi enunciato,
procederà allo scrutinio delle questioni attinenti ai contratti considerati ed
alle relative proroghe, provvedendo anche in ordine alle spese inerenti al
presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli
altri ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione
cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23765
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