Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 ottobre 2020, n. 23928

Verbale di accertamento INPS, Contributi previdenziali omessi
e somme aggiuntive, Prestazioni di infermiera professionale, Successivi
contratti di collaborazione coordinata e continuativa, Compenso pagato in
misura fissa su base oraria, Turni di presenza della lavoratrice in fasce
orarie predefinite, Decisione del committente di impiegare la lavoratrice resa
escludendo le giornate da questa impegnate presso altro datore, Nucleo della
etero-direzione organizzativa non inficiato

 

Premesso

 

che con sentenza n. 790/2013, pronunciata
all’udienza del 9 luglio 2013, il Tribunale di Firenze ha respinto il ricorso
in opposizione della Cooperativa Sociale a r.l. Onlus “Il S.” nei
confronti del verbale di accertamento I.N.P.S. in data 16/8/2010, avente ad
oggetto contributi previdenziali omessi e somme aggiuntive relativamente alle
prestazioni svolte, quale infermiera professionale, da S. A. nel periodo dal
22/1/2009 al 31/5/2010 in esecuzione di successivi contratti di collaborazione
coordinata e continuativa;

– che il Tribunale ha ritenuto, a sostegno della
propria decisione, che i rapporti così instaurati avessero natura subordinata,
e non autonoma, posto che, come era pacifico fra le parti o era comunque emerso
dalle prove assunte:

– la lavoratrice aveva proseguito, senza soluzione
di continuità, le medesime prestazioni già rese a favore della Cooperativa
nelle forme del lavoro dipendente, presso la stessa residenza sanitaria
assistenziale, nel periodo tra il febbraio 2007 e il gennaio 2009;

– che il compenso le era stato pagato in misura
fissa su base oraria e non in una misura complessiva commisurata al servizio
reso;

– che era la Cooperativa a stabilire i turni di
presenza della lavoratrice in fasce orarie predefinite, seppure nell’ambito
delle disponibilità dalla stessa riferite e che peraltro non erano che le mezze
giornate lasciate libere dalla prestazione dipendente svolta per altro datore
di lavoro, a sua volta distribuita in turni variabili conosciuti a cadenza
mensile;

– che il solo fatto che la decisione della
Cooperativa di impiegare la lavoratrice fosse resa escludendo le giornate da
questa impegnate presso altro datore non era tale da eliminare il nucleo della
etero-direzione organizzativa insito piuttosto nel fatto che, da un lato, era
la Cooperativa a decidere quando utilizzarne le prestazioni, inserendola nel
turno unitario dei servizi in appalto, e che, dall’altro, la lavoratrice era di
conseguenza tenuta a rendere la prestazione;

– che il gravame proposto dalla ricorrente avverso
detta sentenza è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di appello di
Firenze con ordinanza ex art. 348 bis cod. proc.
civ. emessa all’udienza del 23 ottobre 2014, notificata l’11 novembre
successivo;

– che per la cassazione della sentenza del Tribunale
di Firenze n. 790/2013 ha proposto ricorso la Cooperativa, affidandosi a sei
motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito l’I.N.P.S. con controricorso;

 

Rilevato

 

che con i motivi proposti, deducendo in tutti il
vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.
in relazione agli artt. 1175, 1321- 1324, 1325- 1342, 1362- 1371, 1375, 2086, 2094, 2104, 2105, 2106, 2222- 2228, 2697 e 2739 cod. civ.,
nonché in relazione agli artt. 115, 116, 132, 202- 257 e 409 n. 3 cod. proc. civ., agli artt. 1 e ss. I. n. 30/2003 e agli artt. 61-69 d.lgs. n. 276/2003, la
ricorrente censura la sentenza impugnata: 1) con il primo motivo, per avere
attribuito rilevanza, in esito ad una errata valutazione delle risultanze
istruttorie, alla circostanza che la prestazione si era conservata inalterata
sia nel periodo (febbraio 2007 – metà gennaio 2009) precedente la stipula dei
contratti di collaborazione autonoma coordinata e continuativa, sia nel periodo
oggetto del verbale di accertamento (22/1/2009 – 31/5/2010); 2) con il secondo,
per avere la sentenza erroneamente non attribuito la dovuta rilevanza al fatto
che la lavoratrice, stipulando i suddetti contratti di collaborazione, aveva
chiaramente espresso la volontà di dare vita a rapporti di natura autonoma; 3)
con il terzo, per avere erroneamente attribuito rilevanza alla modalità di
retribuzione in misura fissa e su base oraria, essendo il modo in cui la
retribuzione viene pagata un elemento, in ogni caso, del tutto irrilevante, ai
fini dell’accertamento della natura di un rapporto di lavoro, in quanto
compatibile sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quello autonomo;
4) con il quarto, nuovamente errando nella valutazione delle risultanze
istruttorie, per non avere attribuito la dovuta rilevanza al fatto che la
lavoratrice, mentre nel periodo di lavoro (pacificamente) subordinato era stata
soggetta alla predeterminazione dei turni da parte della Cooperativa, in quello
successivo, quando aveva operato in forza di due successivi contratti di
collaborazione coordinata e continuativa, era stata lei stessa a decidere e a
comunicare alla Cooperativa i giorni e le ore in cui era disponibile a rendere
le proprie prestazioni; 5) con il quinto, per avere erroneamente attribuito
rilevanza alla circostanza dell’utilizzo, da parte di tutti i lavoratori, dei
medesimi mezzi e attrezzature, trattandosi di circostanza inidonea a costituire
un significativo indice di subordinazione e tanto più dovendosi tener conto
della natura delle prestazioni rese (infermiera professionale); 6) con il sesto
motivo, infine, ancora in chiaro contrasto con gli esiti dell’istruttoria
espletata, per avere ritenuto assolto l’onere, gravante sull’I.N.P.S., di
fornire la prova della sussistenza degli elementi indiziari della natura
subordinata del rapporto ed inoltre per non avere attribuito la dovuta rilevanza
al fatto che la lavoratrice, allorquando ha operato in forza di successivi
contratti di collaborazione coordinata e continuativa (periodo dal 22/1/2009 al
31/5/2010), non era stata più soggetta ad alcuna “etero-direzione” da
parte della Cooperativa e ciò sia alla luce delle risultanze in tal senso
dell’istruttoria orale, sia per la espressa volontà delle parti di escludere
rapporti di lavoro subordinato;

 

Osservato

 

che il primo, il quarto e il sesto motivo risultano
inammissibili, posto che, nella sostanza delle censure svolte con i motivi ora
congiuntamente in esame, la ricorrente esprime un dissenso “di
merito” rispetto alle valutazioni espresse dal Tribunale di Firenze nella
sentenza impugnata, proponendo una rilettura del materiale probatorio e un
diverso apprezzamento dei fatti e cioè sollecitando a questa Corte di
legittimità una pronuncia che non appartiene alle funzioni e al ruolo alla
stessa assegnati dall’ordinamento;

– che invero è del tutto consolidato il principio,
secondo il quale i vizi posti a base del ricorso per cassazione non possono
risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da
quella operata dal giudice di merito, o consistere in censure che investano la
ricostruzione della fattispecie concreta, o che siano attinenti al difforme
apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a
quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito individuare
le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne
l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza
all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla
legge (Cass. n. 2991/2009, fra le numerose conformi);

– che nel medesimo senso Cass. n. 9900/2015 ha
ribadito l’inammissibilità dei motivi, con i quali la parte intenda far valere
la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito
alla propria valutazione di essi e, in particolare, prospetti un soggettivo,
migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti: posto che
“tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di
valutazione degli elementi di prova e degli apprezzamenti del fatto, attengono
al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso
formativo rilevanti ai sensi dell’art. 360 n. 5
cod. proc. civ.” e che “diversamente il motivo del ricorso per
cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni effettuate e, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal
giudice di merito, cui non può imputarsi di aver omesso l’esplicita
confutazione delle tesi non accolte e la disamina degli elementi di giudizio
ritenuti non significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono
richieste”;

– che, quanto agli altri motivi di ricorso, la
decisione impugnata deve ritenersi esente dalle dedotte censure ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., avendo fatto
applicazione di principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte;

– che infatti, operando una valutazione complessiva
e non atomistica degli elementi emersi dall’istruttoria, il Tribunale di
Firenze si è conformato, su di un piano generale, a Cass. n. 9256/2009, per la
quale “In tema di distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo,
l’esistenza del vincolo di subordinazione va valutata dal giudice di merito –
il cui accertamento è censurabile in sede di legittimità quanto
all’individuazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso
concreto, mentre si sottrae al sindacato, se sorretta da motivazione adeguata e
immune da vizi logici, la valutazione delle risultanze processuali – avuto riguardo
alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore ed al modo della sua
attuazione, fermo restando che, ove l’assoggettamento del lavoratore alle
direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità
delle mansioni, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari –
come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni,
dell’osservanza di un orario predeterminato, del versamento a cadenze fisse di
una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa
all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al
lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale – che, privi
ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi
probatori della subordinazione” (conforme, fra le molte, Cass. n. 4500/2007);

– che inoltre, ricostruendo le modalità effettive di
svolgimento del rapporto e rilevandone la divergenza rispetto alla
qualificazione formale attribuita in sede di stipula dei contratti, il giudice
di merito si è conformato a Cass. n. 7024/2015,
per la quale “La qualificazione del rapporto di lavoro, operata dalle
parti, come contratto di collaborazione coordinata e continuativa non assume
rilievo dirimente in presenza di elementi fattuali – quali la previsione di un
compenso fisso, di un orario di lavoro stabile e continuativo, il carattere
delle mansioni, nonché il collegamento tecnico organizzativo e produttivo tra la
prestazione svolta e le esigenze aziendali – che costituiscono indici
rivelatori della natura subordinata del rapporto stesso, anche se svolto per un
arco temporale esiguo” (conf., fra le più recenti, Cass. n. 4884/2018);

ritenuto conclusivamente che il ricorso deve essere
respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 4.000,00 per
compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al
15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a
norma del comma 1 bis dello stesso articolo
13.

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