Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 ottobre 2020, n. 23931

Consorzio, Liquidazione coatta amministrativa, Licenziamento
– Presupposti del prepensionamento, Beneficiario di cui alle leggi regionali
Sicilia n. 36/91 (art. 12), n. 35/94 (art. 3) e n. 84/1995 (art. 4), Protratto
demansionamento e totale inattività, Contrattazione applicabile

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 1078/2013, pubblicata in data 22
luglio 2013, la Corte d’appello di Palermo confermava la decisione del locale
Tribunale che aveva respinto la domanda proposta da A.D. nei confronti
dell’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia e della
R. – (…) – S.p.A.;

il D. era stato dipendente del Consorzio allevamenti
cooperativi – CO.AL.CO. – con qualifica di dirigente amministrativo (c.c.n.I.
dirigenti aziende industriali) fino al mese di giugno 1996, allorché, essendo
stato posto il Consorzio in liquidazione coatta amministrativa, era stato
licenziato e quindi collocato, su richiesta dello stesso Consorzio, ricorrendo
i presupposti del prepensionamento, tra i beneficiari di cui alle leggi
regionali nn. 36/91 (art. 12), 35/94 (art. 3) e 84/1995 (art. 4) e, per
l’effetto, destinato a svolgere prestazioni lavorative presso la Regione
Sicilia, con utilizzazione presso la Provincia Regionale di Catania e
mantenimento della qualifica di appartenenza ed orario di lavoro di ventotto
ore settimanali (art. 4 cit., comma 2);

il predetto era stato successivamente (e fino al
raggiungimento dell’età pensionabile) preso in carico dalla R. S.p.A.,
nell’area speciale ad esaurimento costituita presso la stessa, con la
conservazione del trattamento economico-normativo-previdenziale posseduto alla
data di entrata in vigore della L.R. n. 21/2002 (art. 1) ma non aveva
sottoscritto il verbale conciliativo che, sulla scorta di un accordo tra
Regione ed oo.ss. (con esclusione della rappresentanza della dirigenza),
prevedeva l’attribuzione della qualifica di impiegato, attribuzione che era
stata comunque disposta dalla R.;

il D. aveva agito in giudizio deducendo di essere
stato sottoutilizzato ed aveva chiesto il risarcimento del danno biologico
subito a causa del protratto demansionamento e della totale inattività cui era
stato costretto per non essere stato adibito presso la Provincia di Catania
alle mansioni di dirigente oltre che il diritto all’inquadramento nei ruoli
dirigenziali secondo il c.c.n.I. della dirigenza del settore industria ed alla
retribuzione corrispondente alle giornate di presenza richieste in più rispetto
a quelle concordate;

2. il Tribunale respingeva la domanda ritenendo che
il peculiare effetto prodotto dall’art. 1 della L.R. n. 21/2002 fosse stato
quello di determinare la successione a titolo particolare tra l’amministrazione
regionale e la R. S.p.A. con la quale era stato costituito ex lege un rapporto
di lavoro di diritto privato e che l’automatica applicazione della disciplina
collettiva (Contratto unico collettivo aziendale lavoro, CUCAL 1999/2002) aveva
determinato l’assoggettamento del personale assorbito agli istituti normativi e
retributivi dalla stessa previsti, sia per quanto riguardava l’inquadramento
nella categoria impiegatizia (quadro) – non essendo prevista da detta
contrattazione la categoria dei dirigenti – sia per quanto riguardava
l’articolazione oraria del servizio ed il trattamento retributivo;

quanto al lamentato danno da demansionamento, il
Tribunale opponeva il difetto di prova sia con riferimento al periodo prestato
presso la Provincia sia con riferimento al rapporto con la R. S.p.A.;

3. la Corte territoriale, nel confermare tale
decisione, distingueva, nel rapporto del D. successivo alla liquidazione coatta
amministrativa del Consorzio CO.AL.CO., una prima fase caratterizzata
dall’intervento di salvaguardia operato in forza della L.R. n. 36/91 e della
L.R. n. 84/95, per effetto delle quali il personale degli ex enti consortili
era stato destinato a svolgere prestazioni lavorative presso comuni, province o
enti sottoposti al controllo della regione – senza, però, che tale rapporto di
utilizzazione comportasse la costituzione di un rapporto di pubblico impiego
(art. 4, comma 3, della L.R. n. 84/95) ed una seconda fase contrassegnata
dall’intervento di reinserimento lavorativo operato dalla L.R. n. 21/2002 a
tenore della quale il personale beneficiario dei provvedimenti di cui
all’articolo 12 della L.R. n. 36/91 era stato trasferito, nel rispetto del
trattamento economico-normativo-previdenziale posseduto alla data di entrata in
vigore della legge (1/1/2003), nell’apposita area speciale transitoria ad
esaurimento istituita presso la R. S.p.A. (art. 1);

quanto alla prima fase, stante la natura di stampo
assistenziale nel neocostituito rapporto di impiego privato di cui era stato
destinatario il personale già licenziato dal Consorzio, respingeva la tesi che
fosse invocabile una tutela correlata alla violazione di istituti normativi
tipici del rapporto di lavoro, primo tra tutti l’art.
2103 cod. civ., ovvero che potesse rivendicarsi un inquadramento
corrispondente alla qualifica rivestita presso l’ente disciolto;

quanto alla seconda fase, escludeva che il
riferimento contenuto nell’art. 7 della l.r. n. 21/2002 al trattamento
economico-normativo – previdenziale posseduto alla data di entrata in vigore
della legge fosse interpretabile come clausola di salvaguardia di una
condizione professionale, quale era quella posseduta dal D. fino al
licenziamento operato dal Consorzio CO.AL.CO.;

evidenziava che non risultasse alcuna utile
allegazione né la formulazione di mezzi di prova rispetto all’asserita
disomogeneità funzionale tra il ruolo ricoperto durante il periodo di
utilizzazione e le mansioni proprie della categoria di assegnazione (quadro);

4. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
cassazione A.D. affidato a tre motivi;

5. la R. S.p.A. ha resistito con controricorso;

6. l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione
Siciliana è rimasto intimato;

7. la R. S.p.A. ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia
violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti
collettivi nazionali di lavoro (art. 360, n. 3,
cod. proc. civ.), della L.R. siciliana n. 36/91, della L.R. siciliana n.
35/94, della L.R. siciliana n. 84/95, del c.c.n.I. Dirigenti di aziende
industriali confindustria;

censura il passaggio motivazionale della sentenza
impugnata nella parte in cui sono state individuate due fasi del percorso
professionale intrapreso dal ricorrente all’indomani del licenziamento da parte
del Consorzio Allevamenti Cooperative – CO.AL.CO. – ed in particolare sostiene
che erroneamente la Corte territoriale avrebbe escluso l’esistenza di un
rapporto di lavoro nella prima di tali fasi; assume che il rapporto di lavoro
presso la Provincia Regionale di Catania andasse considerato a tutti gli
effetti ‘supportato dalla natura subordinata’ con il conseguenziale suo diritto
al riconoscimento della funzione di dirigente, del nomen iuris di dirigente,
dell’illegittimità del demansionamento;

2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia
violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti
collettivi nazionali di lavoro (art. 360, n. 3,
cod. proc. civ.), della L.R. siciliana n. 36/91, della L.R. siciliana n. 35/94,
della L.R. siciliana n. 84/95, della L.R. siciliana, n. 21/2002, del c.c.n.I.
Dirigenti di aziende industriali confindustria;

sostiene che la sentenza impugnata sarebbe basata su
un errore di fondo e cioè l’aver ritenuto che, avendo la L.R. n. 85/95 previsto
espressamente all’art. 4, comma 3, che l’utilizzazione presso le
amministrazioni di cui al comma 1 della medesima disposizione non comportasse
la costituzione di un rapporto di pubblico impiego, ciò escludesse che a monte
vi fosse un normale rapporto di lavoro e che il lavoratore non dovesse essere
adibito per la mansione per la quale possedeva la qualifica lavorativa;

3. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la
violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti
collettivi nazionali di lavoro (art. 360, n. 3,
cod. proc. civ.): artt. 91 e 92 cod. proc. civ.;

censura la sentenza di appello nella parte in cui ha
ritenuto priva dì specifica e motivata censura la doglianza relativa alla
regolamentazione delle spese di primo grado ed assume che tale rilievo fosse
meramente conseguenziale rispetto alla prospettata fondatezza dei rilievi
afferenti il merito della causa;

4. il primo ed il secondo motivo sono inammissibili;

4.1. gli stessi denunciano violazioni di norme di
diritto ma non formulano le censure così come richiesto dalla giurisprudenza di
questa Corte, trascurando di considerare che il vizio ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., va dedotto, a
pena di inammissibilità, non solo con l’elencazione delle norme di diritto
asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle
affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si
assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o
dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione
comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla
S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento
della denunziata violazione (v. Cass. 12 gennaio
2016, n. 287; Cass. 15 gennaio 2015, n. 635; Cass. 1° dicembre 2014, n.
25419;);

6.2. nella specie, i motivi, nonostante la veste
formale della denuncia di violazione e falsa applicazione di legge, nella
sostanza, con riferimento alla distinzione in due fasi del percorso
professionale intrapreso dal D. all’indomani del licenziamento da parte del
Consorzio Allevamenti Cooperativi – CO.AL.CO -, sulla quale è imperniata la
sentenza, sollecitano una diversa lettura delle risultanze emerse nel giudizio
di merito e dell’interpretazione delle stesse da parte del giudice di appello,
operazione, questa, non consentita in sede di legittimità;

ed infatti, quanto alla prima fase del rapporto, il
ricorrente lungi dal contrastare, in diritto, l’affermazione della Corte
territoriale secondo quale era stata la stessa legge regionale ad escludere che
l’utilizzazione del D. comportasse la costituzione di un rapporto di pubblico
impiego (v. il richiamato art. 4 della L.R. n. 84 del 1994), vertendosi in tema
di un intervento di salvaguardia nell’ambito della finalità di traghettamento
verso il conseguimento di un trattamento pensionistico di vecchiaia e anzianità
(si vedano, su analoghe qualificazioni normative di fattispecie aventi la
medesima matrice assistenziale Cass. 11 luglio
2017, n. 17101; Cass. 21 ottobre 2014, n.
22287; Cass. 30 marzo 2016, n. 6180), si limita a prospettare la presenza
di tutti gli indici di esistenza di un rapporto di lavoro subordinato;

egualmente, quanto alla seconda fase, il ricorrente
si limita a sostenere che sussistesse il suo diritto al svolgere le mansioni di
dirigente ed a possederne la relativa qualifica senza tuttavia censurare
specificamente l’affermazione della Corte territoriale secondo cui: “il tema
istruttorio rilevante rispetto all’azione esercitata dal D. avrebbe dovuto
essere quello di verificare la omogeneità funzionale tra il ruolo ricoperto
durante il periodo di utilizzazione e le mansioni proprie della categoria di
assegnazione (quadro) secondo il CUCAL R., ma in proposito non risulta
formulata alcuna utile allegazione né sono stati dedotti mezzi di prova al
riguardo”;

inoltre, sempre con riferimento alla seconda fase,
il ricorrente, senza contrastare il passaggio argomentativo in base al quale,
per specifica previsione normativa (L.R. n. 21 del 2002) vi sarebbe stato un
mutamento del rapporto di utilizzazione di cui al primo periodo in un (nuovo)
rapporto di impiego alle dipendenze della R. S.p.A. e con l’applicazione del
relativo CUCAL, e ciò fino al conseguimento dei minimi pensionabili, in modo
inammissibile e senza l’indicazione dei criteri interpretativi violati, il
ricorrente contrappone all’interpretazione da parte della Corte territoriale
dell’art. 7 del disciplinare applicativo del protocollo di intesa
dell’11/7/2002, nel senso che il riferimento ivi contenuto alla “qualifica
ricoperta nell’ente di provenienza” fosse da intendersi come un “mero
criterio comparativo funzionale alla più idonea collocazione dei soli profili
professionali conosciuti dalla contrattazione collettiva e non come un
condizione professionale attualmente rivestita ed autonomamente tutelata”,
una propria e personale lettura dell’indicato atto, tale da integrare, in
conformità con la L.R. n. 21 del 2002, una clausola di salvaguardia della
condizione professionale in termini assoluti (il tutto, come detto e come
stigmatizzato dai giudici di appello, senza alcuna allegazione e prova di una
non omogeneità tra la categoria di assegnazione presso la R. S.p.A. e
l’attività svolta durante il “rapporto di stampo assistenziale”
ovvero in precedenza);

5. anche il terzo motivo è inammissibile;

non è trascritto, in violazione del principio di
specificità, il contenuto della sentenza di primo grado e dell’atto di appello
quantomeno nelle parti utili a reggere la denuncia di violazione degli artt. 91 e 92 cod.
proc. civ;

peraltro è lo stesso ricorrente ad ammettere che
quella sottoposta al giudice del gravame non fosse una vera e propria censura
ma un semplice invito a riconoscere tutte le ragioni di cui all’atto
introduttivo del giudizio di primo grado, con conseguenziale modifica della
statuizione sulle spese come operata dal primo giudice (peraltro in corretta
applicazione del principio della soccombenza);

6. dalle suesposte considerazioni discende che il
ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

7. l’onere delle spese del giudizio di legittimità
resta a carico di parte ricorrente, in applicazione della regola generale della
soccombenza;

8. sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, previsto dall’art.
13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il
ricorrente al pagamento, in favore della R. S.p.A., delle spese del presente
giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi
professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

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