Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 ottobre 2020, n. 24143

Decreto ingiuntivo, Contributi obbligatori e delle sanzioni
civili, Posizione contributiva Inpgi di vari giornalisti, Natura subordinata
del rapporto di lavoro, Indici rivelatori della subordinazione, Esclusa la
rilevanza delle pattuizioni individuali di qualificazione dei rapporti di
lavoro quali autonomi, Carattere standardizzato dei contratti e mancato
riferimento negli stessi alle modalità concrete di svolgimento dei rapporti lavorativi

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza del 30.1.14, la Corte d’Appello di
Roma, ha -per la parte che qui rileva, all’esito della cessazione della materia
del contendere con riferimento alle posizioni contributive relative ad alcuni
lavoratori- respinto l’opposizione della E. Spa avverso decreto ingiuntivo con
il quale era stato intimato alla società il pagamento in favore dell’INPGI
(della somma complessiva originaria di oltre 855.916 euro) dei contributi
obbligatori e delle sanzioni civili relative alla posizione contributiva di
vari giornalisti che avevano prestato la loro attività lavorativa presso Radio
Capital.

2. In particolare, la corte d’appello, confermando
sul punto la sentenza del tribunale della stessa sede del 30.6.09, ha affermato
la natura subordinata del lavoro dei giornalisti; riformando sul punto la
sentenza appellata, la corte d’appello ha ritenuto che anche il rapporto di
lavoro di Z.V., quale direttore di Radio Capital, fosse da inquadrare nello
schema del rapporto di lavoro subordinato.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso la E. per
due motivi, cui resiste con controricorso l’INPGI.

 

Considerato che

 

4. Con il primo motivo di ricorso si deduce -ai
sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c.-
violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 2, 6 e 35 del contratto collettivo
nazionale di lavoro giornalistico e dell’articolo
2697 del codice civile e degli articoli 115
e 166 c.p.c., nonché omessa insufficiente e
contraddittoria motivazione su fatti decisivi della controversia, per avere la
sentenza impugnata affermato la subordinazione dei giornalisti in questione
(esclusa la posizione relativa a Z., oggetto del motivo di ricorso seguente)
sulla base di criteri diversi da quelli ritenuti in giurisprudenza quali indici
rivelatori della subordinazione, prescindendo in particolare dalla ricerca
della effettiva volontà delle parti, e sebbene fosse rimasto indimostrata la
soggezione dei lavoratori al potere direttivo e conformativo datoriale.

5. Con il secondo motivo di ricorso si deduce -ai
sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c.-
violazione e falsa applicazione degli artt. 2094
c.c., 116 c.p.c., e 1, 2, 6 e 35 del contratto collettivo
nazionale di lavoro giornalistico, nonché omessa insufficiente e
contraddittoria motivazione su fatti decisivi della controversia, per avere la
sentenza impugnata affermato la subordinazione del direttore Z., sebbene lo
stesso fosse titolare di altro rapporto di lavoro alle dipendenze del gruppo
editoriale L’E. s.p.a., e trascurando la qualificazione del rapporto ad opera
delle parti quale lavoro autonomo ed il fatto che il lavoratore risiedesse
stabilmente a Washington sicché le mansioni di direttore della Radio erano in
concreto svolte dal vicedirettore. Nel medesimo motivo di ricorso, la società
ricorrente si duole altresì del riconoscimento della subordinazione per la
lavoratrice M., per avere la sentenza impugnata attribuito rilevanza al
praticantato giornalistico della stessa, in realtà non effettivo ai sensi dell’art. 35 del contratto
collettivo di categoria.

6. Il primo motivo è in parte inammissibile, in
parte infondato. Per il profilo denunciato della violazione di legge, infatti,
non sussistono le violazioni di legge dedotte, né quelle sulle regole
sull’onere della prova, né quelle sul lavoro giornalistico, regole tutte nella
specie rispettate, essendo stato attribuito correttamente l’onere della prova
all’ente previdenziale ed essendo state applicate le norme contrattuali del
lavoro giornalistico in ordine alla qualificazione dei rapporti.

7. La corte territoriale ha valutato -attraverso una
complessiva ed equilibrata ponderazione di tutti gli elementi probatori
documentali e testimoniali acquisiti al processo- la effettiva natura
subordinata dell’attività lavorativa svolta, valorizzando lo stabile
inserimento nell’organizzazione datoriale, l’inserimento in turni di lavoro e
di ferie, l’obbligo di richiedere autorizzazione per le assenze, il numero di
collaborazioni fornite dai lavoratori, la continuità della collaborazione, la
disponibilità alle richieste della redazione, l’utilizzazione degli strumenti
aziendali con propria postazione fissa, la partecipazione alle riunioni della
redazione, la comunicazione del godimento delle ferie, tutti indici di
subordinazione; per altro verso, la corte ha escluso la rilevanza delle
pattuizioni individuali di qualificazione dei rapporti di lavoro quali
autonomi, in ragione del carattere standardizzato dei contratti e del mancato
riferimento negli stessi alle modalità concrete di svolgimento dei rapporti
lavorativi.

8. Quanto al dedotto vizio di omessa motivazione, va
rilevato, unitamente alla conformità sul punto della pronuncia della corte
d’appello alla valutazione già operata dal tribunale in primo grado, che nessun
vizio motivazionale sussiste, alla luce di quanto già evidenziato al punto
precedente.

9. Il secondo motivo deve essere del pari respinto.

10. Quanto al profilo denunciato della violazione di
legge, non sussistono le violazioni di legge dedotte, né quella codificata sul
lavoro subordinato, né quelle contrattuali sul lavoro giornalistico, né infine
quelle processuali probatorie richiamate, avendo la corte territoriale valutato
gli elementi probatori documentali e testimoniali acquisiti al processo per
desumerne la effettiva natura dell’attività lavorativa svolta dal direttore di
Radio Capital.

11. Quanto al vizio di motivazione lamentato, il
motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

La deduzione della omessa motivazione sul rilievo
del contestuale svolgimento di altro rapporto di lavoro subordinato da parte di
Z. riguarda fatto non decisivo, posto che la titolarità di altro rapporto di
lavoro non implica esclusività, sicché il motivo non rientra nei limiti di cui
al novellato art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.

La deduzione della omessa considerazione della
volontà delle parti del rapporto di lavoro del direttore, per come espressa nel
motivo, è del pari inammissibile, sia per difetto di autosufficienza (posto che
la ricorrente non ha riportato nel ricorso le parti del contratto individuale
di lavoro che sarebbero rilevanti per la questione, impedendo così a questa
Corte di verificare la fondatezza del motivo), sia per difetto di decisività
(in quanto il nomen juris conferito dalle parti al rapporto non è l’unico
elemento rilevante per la qualificazione del rapporto).

Per il resto, la corte territoriale ha valutato le
prove raccolte e qualificato il rapporto, sulla base delle risultanze di una
effettiva e continuativa prestazione resa dal direttore Z., dandone conto nella
ampia e coerente motivazione.

Si tratta di valutazione -peraltro in linea con il
riconoscimento della natura subordinata del lavoro del direttore di testata
giornalistica operato dalla giurisprudenza (tra le tante, Cass. Sez. L, Sentenza n. 1542 del 27/01/2016; Sez. L, Sentenza n. 3647 del 24/02/2016), non
censurabile in sede di legittimità, essendo l’esito di una disamina del
materiale probatorio ed avendo la valutazione del contenuto dell’attività
giornalistica natura di accertamento di fatto insuscettibile di essere
sindacato in questa sede (Cass. Sez. L, Sentenza
n. 13814 del 27/05/2008).

12. Anche le deduzioni relative al rapporto della
lavoratrice M. vanno respinte, atteso che il motivo non si parametra alla
sentenza impugnata ed è quindi per tale profilo inammissibile: infatti, a
fronte dell’affermazione contenuta in sentenza, secondo la quale la questione
dell’iscrizione della lavoratrice nel registro dei praticanti e della relativa
decorrenza era irrilevante per essere la M. divenuta professionista e per aver
già svolto un effettivo biennio di praticantato prima dell’inizio del lavoro
con E., la ricorrente torna a dedurre, come già fatto in appello,
l’inopponibilità alla società dell’iscrizione nel registro dei praticanti,
senza tener conto delle statuizioni della sentenza che fanno riferimento
all’effettivo svolgimento dell’attività in questione.

13. Ne deriva il rigetto del ricorso.

14. Le spese seguono la soccombenza.

15. Si dà inoltre atto della sussistenza dei
presupposti processuali di cui all’art.
13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente E. spa
al pagamento in favore dell’INPGI delle spese di lite, che si liquidano in euro
13.000 per competenze professionali, oltre euro 200 per esborsi, accessori
secondo legge e spese generali al 15%. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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