Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 ottobre 2020, n. 30011

Reati commessi in qualità di amministratore unico e legale
rappresentante, Mancata redazione del documento di valutazione dei rischi,
Inidoneità ad evidenziare i rischi specifici dei lavoratori operanti nell’unità
produttiva, Inadeguata e specifica formazione in materia di sicurezza e salute
sul lavoro, Locali forniti ai lavoratori, per uso di dormitorio stabile, non
adeguati ai requisiti di abitabilità, Accertamento in fatto, non censurabile
in sede di legittimità

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del Tribunale di Torino in data
6/3/2017, G.G. fu condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di 1 anno, 2
mesi e 15 giorni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti
generiche equivalenti alla contestata recidiva, di una serie di reati commessi
nella sua qualità di amministratore unico e legale rappresentante della
S.I.C.A.M. S.r.I., con stabilimento in San Gillio e di datore di lavoro: e,
segnatamente, di cui agli artt.
29, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008, per non avere redatto il documento di
valutazione dei rischi idoneo a evidenziare i rischi specifici cui erano
esposti i lavoratori operanti nell’unità produttiva di Val della Torre (capo
1), 37, comma 1, d.lgs. n. 81 del
2008, per non aver assicurato che ciascun lavoratore ricevesse adeguata e
specifica formazione in materia di sicurezza e salute sul lavoro (capo 2), 37, comma 7, d.lgs. n. 81 del 2008,
per non avere assicurato che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
C.A.P.,  fosse sottoposto a specifica
formazione prevista per il suo ruolo (capo 3), 64, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 81
del 2008, per avere tenuto i locali forniti ai lavoratori, per uso di
dormitorio stabile, non adeguati ai requisiti di abitabilità prescritti per le
case di civile abitazione in termini di superficie, di arredamento necessario
alle esigenze dell’igiene e di rispondenza alle norme tecniche applicabili in
relazione alla conformità dell’impianto elettrico (capo 4), 64, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008,
per avere tenuto alcune postazioni, dove gli addetti effettuavano saldature a
filo continuo, con difetto di sistemi di aspirazione dei fumi e gas sviluppati
(capo 5), 64, comma 1, d.lgs. n.
81 del 2008, per non avere messo a disposizione dei lavoratori, che
effettuavano saldature a filo continuo con sviluppo di fumi e gas, dispositivi
di protezione individuale per le vie respiratorie (capo 6), 29, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008,
per non avere imposto il divieto di fumare in relazione ai pericoli di incendio
derivanti dalla tipologia delle lavorazioni svolte (capo 7), 71, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008,
per non avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al
lavoro da svolgere o comunque idonee ai fini della sicurezza e della salute, in
particolare il mandrino in rotazione del trapano radiale TL 1600 era accessibile
in assenza di idonei ripari (capo 8), 71, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008,
per non avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al
lavoro da svolgere o comunque idonee ai fini della sicurezza e della salute, in
particolare le presse piegatrici Sci//a VI n. 2 e Farina n. 10 (al momento
fuori uso) non erano dotate di protezioni o di sistemi protettivi tali da
impedire l’accesso alle zone pericolose (capo 9), 71, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008,
per non avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al
lavoro da svolgere o comunque idonee ai fini della sicurezza e della salute, in
particolare i filtri della parete aspirante della zona verniciatura, e non
essendo stati i carrelli elevatori STILL e MORA fatti oggetto di idonea
manutenzione (capo 10), 80,
comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008, per non avere adottato misure tecniche e
organizzative necessarie a eliminare o ridurre al minimo i rischi derivanti
dall’impianto elettrico, in particolare nel locale deposito vernici e solventi
e nel quadro area plastificazione, non reso conforme ai requisiti delle norme
tecniche applicabili, in modo da eliminare il rischio di contatto diretto e
indiretto, innesco e propagazione incendi (capo 11), fatti accertati in San
Gillio il 12/10/2010 e di cui all’art. 437 cod.
pen., per avere omesso di adottare dispositivi di protezione, di emergenza,
di riparo, destinati a prevenire infortuni sul lavoro, in relazione alle
attrezzature (trapano radiale TL 1600 e presse piegatrici) indicate ai capi 8 e
9, nonostante espresse prescrizioni alla loro regolarizzazione emanate dallo
Spresal dell’ASL T03 in data 12/10/2010 (capo 12), accertato in San Gillio il
9/6/2011.

2. Con sentenza emessa in data 27/11/2018, la Corte
di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado,
rideterminò la pena base per il delitto di cui al capo 12) in 7 mesi e 15
giorni di reclusione, e riconosciuta la prevalenza delle attenuanti generiche
sulla recidiva contestata e aumentata, per 
la continuazione, con riferimento alle contravvenzioni di cui ai capi da
1) a 11), applicò a G.G. la pena finale in 8 mesi e 20 giorni di reclusione.

3. Avverso la sentenza di appello ha proposto
ricorso per cassazione lo stesso G. per mezzo del Difensore di fiducia, avv.
P.B., deducendo, con un unico motivo di impugnazione, la omessa o apparente motivazione
in relazione al primo motivo di appello con il quale la difesa aveva lamentato
la mancata assoluzione dell’imputato. In particolare, il ricorso denuncia, ai
sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., che la Corte distrettuale non abbia offerto una reale motivazione in
ordine ai rilievi formulati con l’atto di appello in relazione alla sentenza di
primo grado, anch’essa particolarmente sintetica. Nel dettaglio, non sarebbe
stata data una effettiva risposta all’argomentazione difensiva secondo cui le
contravvenzioni contestate ai capi da 1) a 11) non sarebbero state integrate in
quanto le relative violazioni avrebbero al più configurato delle mere
irregolarità, trattandosi di ipotesi di inesatto adempimento delle prescrizioni
e non già di totale inadempimento del precetto descritto dalla norma
incriminatrice (essendo ben possibile, quanto alla mancata adozione del
documento di valutazione dei rischi contestata al capo 1), che l’indicazione
dello stabilimento di Val della Torre, in luogo dell’unità produttiva di San
Gillio, fosse stata dovuta a un errore materiale; e dal momento che, quanto
alla contestazione della mancata messa a disposizione dei dispositivi di
protezione individuale per le vie respiratorie di cui al capo 6), i lavoratori
sarebbero stati dotati di mascherine con filtro a carboni attivi, tuttavia
usurate). Analogamente, quanto al delitto di rimozione o omissione dolosa di
cautele contro gli infortuni sul lavoro ex art. 437
cod. pen., contestato al capo 12), l’esiguo numero di macchinari
interessati dalle omissioni, costituito dal «trapano radiale TL 1900 e (dal)le
presse piegatrici (di cui ai capi 8 e 9)», così come le modeste proporzioni
della collettività dei lavoratori interessati, avrebbero fatto sì gli
inadempimenti riscontrati non fossero tali da ingenerare il pericolo del
disastro o dell’infortunio, richiesto quale elemento costitutivo della
fattispecie de qua, ricondotto al novero dei reati di pericolo.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Muovendo dalle censure relative alle fattispecie
contravvenzionali contestate ai capi da 1) a 11), va preliminarmente osservato
che le doglianze sono state articolate in parte in maniera generica e, in altra
parte, con carattere di aspecificità.

2.1. Sotto un primo profilo, occorre evidenziare
come la sentenza impugnata abbia ribadito l’affermazione di responsabilità
contenuta nella prima sentenza osservando come le violazioni contestate ai
menzionati capi di imputazione non costituissero delle mere irregolarità
nell’inadempimento delle prescrizioni dettate dal d.lgs.
n. 81 del 2008, configurando un vero e proprio inadempimento anche la
parziale inosservanza degli obblighi o dei divieti, giuridicamente rilevante in
quanto idonea a incidere sulle esigenze prevenzionistiche e di controllo
immanenti alla previsione della regola cautelare e alle condotte funzionali da
essa richieste.

Una ricostruzione delle fattispecie incriminatrici
che il ricorso ha tentato di aggredire con argomentazioni meramente
confutative, limitandosi a reiterare la tesi già esposta nell’atto di appello,
senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato e
rivelandosi, per questa via, come del tutto aspecifico.

2.3. Sotto altro aspetto, le censure sono state
articolate premettendo alla  generale
enunciazione, asseritamente valida per tutte le contravvenzioni de quibus, una
successiva esemplificazione di fattispecie per le quali il carattere meramente
parziale dell’inadempimento varrebbe a escluderne l’illiceità penale.

In questo modo, tuttavia, le doglianze si connotano,
quanto alla enunciazione generale, come del tutto generiche, risolvendosi in
affermazioni che non analizzano le caratteristiche delle singole figure di
reato, onde coglierne i profili strutturali e funzionali e inferire la
rilevanza di una inosservanza parziale della prescrizione.

Quanto, poi, alle singole esemplificazioni contenute
in ricorso, la mancata adozione del documento di valutazione dei rischi
contestata al capo 1), conseguente alla omessa indicazione dell’unità
produttiva di San Gillio è stata riconosciuta dallo stesso ricorrente, che in
modo del tutto congetturale ne ha ipotizzato la riconducibilità a un errore
materiale, peraltro esclusa dalla Corte territoriale in assenza di qualunque
elemento di fatto in grado di suffragare la tesi difensiva. Del pari, quanto
alla contestazione della mancata messa a disposizione dei dispositivi di
protezione individuale per le vie respiratorie contestata al capo 6), la
circostanza che le mascherine fornite in dotazione ai lavoratori fossero
usurate non era certamente idonea a impedire la violazione, essendo i
dispositivi inidonei a soddisfare le esigenze di tutela cui erano preordinati.

3. Per quanto, poi attiene alle doglianze relative
al delitto previsto dall’art. 437 cod. pen., va
premesso che secondo il condiviso indirizzo interpretativo della giurisprudenza
di legittimità, ai fini della sua configurabilità è necessario che  l’omissione, la rimozione o il danneggiamento
dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul
lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o
l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno
astratta, anche se non bisognevole di concreta verifica, a pregiudicare
l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di persone
gravitanti attorno all’ambiente di lavoro (così Sez.
1, n. 4890 del 23/1/2018, dep. 2019, Prunas, Rv. 276164; Sez. 1, n. 18168 del 20/1/2016, Antonini, Rv.
266881).

Coerentemente con tale premessa, la sentenza
impugnata ha rilevato che la condotta omissiva dell’imputato, consistita nella
mancata adozione dei dispositivi di protezione, emergenza e riparo, destinati a
prevenire infortuni sul lavoro, specie in relazione alle attrezzature
meccaniche, persistente nonostante le espresse prescrizioni emanate in vista
della loro regolarizzazione e, dunque, volontaria, integrasse un inadempimento
sicuramente idoneo a pregiudicare l’integrità fisica dei lavoratori addetti
alle lavorazioni effettuate sui macchinari presenti nello stabilimento di San
Gillio; e ciò indipendentemente dalla effettiva verificazione, a loro danno, di
eventi infortunistici.

Un accertamento in fatto, quello sulla idoneità
offensiva dell’omissione contestata, certamente non censurabile in sede di
legittimità.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono il
ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale, rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativannente
fissata in 3.000,00 euro.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro
tremila in favore della cassa delle ammende.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 ottobre 2020, n. 30011
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