Prassi – ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO – Circolare 30 ottobre 2020, n. 7
art. 2 e art. 47 bis e seguenti d.lgs. n.
81/2015, collaborazioni organizzate dal committente e tutele del lavoro
tramite piattaforme
Il d.l. 101/2019
(conv. da L. n. 128/2019) è intervenuto a
modificare il d.lgs. n. 81/2015 con
particolare riferimento alla disciplina della c.d. etero-organizzazione
contenuta nell’art. 2 ed ha
introdotto, nel corpo dello stesso decreto, il Capo V bis (artt. dal 47 bis al 47 octies),
dedicato alla specifica attività dei “ciclo-fattorini” esercitata tramite
piattaforme digitali.
Alla luce delle citate novità e della giurisprudenza
più recente in materia di eteroorganizzazione appare opportuno fornire le
seguenti istruzioni per un corretto svolgimento dell’attività di vigilanza che,
d’intesa con l’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, sostituiscono i contenuti della circolare dello stesso Ministero n. 3 del 1° febbraio 2016.
I caratteri della etero-organizzazione
L’art.
2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015 prevede l’applicazione della disciplina
del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni aventi alcune
caratteristiche individuate dalla medesima disposizione, come novellata dal d.l. n. 101/2019 (conv. da L. n. 128/2019).
Va premesso che la disciplina dell’art. 2, comma 1, in ragione del
riferimento generico alle collaborazioni utilizzato dal legislatore, è
suscettibile di applicazione nei confronti di tutti i rapporti di
collaborazione non riconducibili, secondo i criteri di natura generale, allo
schema di cui all’art. 2094 c.c. .
L’ambito applicativo della disposizione ricomprende
pertanto ogni ipotesi di collaborazione “continuativa” (come esplicita l’art. 2 comma 1), comprese quelle
in cui le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante
“piattaforme anche digitali” (cfr. ultimo periodo del comma 1).
I requisiti indicati dal legislatore ai fini
dell’applicazione della disciplina de qua – e che possono riguardare tipologie
contrattuali differenziate – sono da individuarsi in una prestazione
prevalentemente personale, continuativa ed eseguita secondo modalità
organizzate dal committente.
I tre requisiti devono tutti ricorrere perché si
possa applicare la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Segue: personalità
La novella ha sostituito l’espressione
“esclusivamente personali” con “prevalentemente personali”, rifacendosi
pertanto al rapporto di collaborazione indicato dall’art.
409 c.p.c. (per l’appunto definito come prestazione di opera continuativa e
coordinata e “prevalentemente personale”). Ciò comporta che rientrano
nell’ambito di applicazione dell’art.
2, comma 1:
– per un verso, le prestazioni che siano svolte
anche con l’ausilio di altri soggetti (cfr. Cass.
sent. 19 aprile 2002, n. 5698, secondo cui è sufficiente la prevalenza del
lavoro personale del soggetto incaricato alla realizzazione dell’opera);
– per altro verso, quelle prestazioni che vengono
rese anche mediante l’utilizzo di strumentazione o mezzi nella disponibilità
del collaboratore.
Sul punto è opportuno precisare che la mera previsione
contrattuale di una “clausola di sostituzione” che abilita il prestatore a
farsi sostituire occasionalmente da un terzo nell’esecuzione della prestazione,
non può di per sé escludere il requisito della personalità. L’indagine va
infatti necessariamente svolta in concreto, rifacendosi a criteri obiettivi e
valutando nel loro complesso tutte le circostanze del caso. Inoltre, andrà
verificata la concreta praticabilità della sostituzione, l’effettiva
effettuazione della stessa e, in caso affermativo, lo strumento – anche
giuridico – adoperato per la sostituzione, in modo da chiarire i rapporti fra
il lavoratore obbligato sul piano contrattuale ed i terzi eventualmente
impegnati nella esecuzione delle attività.
Segue: continuità
Come già precisato nella circolare
ML n. 3/2016, una prestazione si connota per la sua continuità quando, per
essere di utilità per il committente, deve ripetersi in un determinato ed
apprezzabile arco temporale.
Tale caratteristica può evincersi, così come ha
inteso la giurisprudenza, anche dal perdurare dell’interesse del committente al
ripetersi della prestazione lavorativa (senza la predeterminazione di un arco
temporale) da parte del collaboratore, in modo tale da escluderne
l’episodicità, anche con una ricostruzione ex post sulla base delle prestazioni
effettivamente svolte. In tal senso la Corte di
Appello di Torino, nella sentenza n. 26/2019, ha precisato che la
continuità va intesa “da un lato come non occasionalità e dall’altro, riguardo
alla esecuzione della prestazione, come svolgimento di attività che vengono
(anche se intervallate) reiterate nel tempo al fine di soddisfare i bisogni
delle parti”.
Ogni qual volta la ripetizione di una medesima
prestazione lavorativa sia oggetto o presupposto del contratto (o sia accertata
sulla base del reale andamento del rapporto tra le parti), anche laddove non
sia predefinito l’arco temporale di esecuzione della prestazione, va pertanto
escluso il carattere dell’occasionalità. Sotto tale aspetto, quindi, non rileva
esclusivamente la misurazione della durata del rapporto di lavoro, atteso che
anche prestazioni rese in un arco temporale limitato, ma comunque
significativo, possono realizzare un interesse continuativo del committente.
Il concetto di continuità, nei termini sopra
indicati, risponde peraltro alle caratteristiche più moderne del mercato del
lavoro, in cui risulta difficile predeterminare il tempo di lavoro per tutte
quelle prestazioni che rientrano nell’area della c.d. “on-demand-economy” e
“just-in-timeworkforce”.
Trattasi di modelli organizzativi caratterizzati
dalla frammentazione del lavoro in compiti spesso discontinui, tendenzialmente
fungibili e assegnati attraverso modalità talvolta del tutto automatizzate ad
una platea di lavoratori di fatto costantemente disponibile e spesso in
eccedenza rispetto al fabbisogno, così da garantire una risposta alle esigenze
del committente e dell’utenza. In tali ipotesi il requisito della continuità va
quindi riconosciuto tutte le volte in cui la disponibilità del collaboratore
sia funzionale alla soddisfazione di un interesse della committenza- ancorché
non prestabilito ma costante in un arco temporale obiettivamente di rilievo -e
tutte le volte in cui la stessa disponibilità si sia effettivamente concretata
in una prestazione apprezzabile e significativa.
Segue: etero-organizzazione
Il d.l. 101/2019 ha
abrogato il riferimento, contenuto nella previgente formulazione dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n.
81/2015 alla necessaria predeterminazione da parte del committente dei
tempi e del luogo di lavoro, che pertanto non risultano più i parametri
esclusivi per la definizione del modello etero-organizzato rimanendo, tuttavia,
elementi di raffronto di assoluto rilievo per l’individuazione della
fattispecie.
I primi arresti giurisprudenziali (Cass. sent. 24 gennaio 2020, n. 1663) hanno
individuato tale requisito nell’imposizione, da parte del committente, delle
modalità esecutive della prestazione lavorativa, così determinando una sorta di
inserimento del collaboratore nell’organizzazione aziendale.
Sotto tale aspetto, quindi, l’etero-organizzazione
differisce anche dalla fattispecie di cui all’art.
409 c.p.c., così come novellata, caratterizzata da un semplice raccordo tra
il collaboratore e la struttura organizzativa del committente. In questa
ipotesi non si rinviene infatti una ingerenza del committente
nell’individuazione delle modalità esecutive della prestazione quanto un mero
coordinamento tra le parti finalizzato a garantire che l’attività del
collaboratore, pur restando estranea all’organizzazione nella quale si
inserisce, contribuisca efficacemente alle finalità della stessa.
Sussiste invece etero-organizzazione quando
l’attività del collaboratore è pienamente integrata nell’attività produttiva
e/o commerciale del committente e ciò risulti indispensabile per rendere la
prestazione lavorativa. L’eventuale regime di pluricommittenza in cui opera il
collaboratore non è di per sé idoneo ad escludere l’etero-organizzazione,
atteso che ciò che rileva è la circostanza che la prestazione necessiti della
struttura organizzativa del committente. Ciò anche laddove tale struttura sia
rappresentata da una piattaforma informatica che non si limiti a mettere in
contatto il collaboratore con l’utente finale ma che realizzi una vera e
propria mediazione, organizzando il lavoro anche attraverso il ricorso a
funzionalità completamente automatizzate.
La contrattazione collettiva di settore
La novella del 2019 non ha modificato il secondo
comma dell’art. 2 del d.lgs. n.
81/2015 che esclude l’applicazione della disposizione di cui al comma 1
nelle ipotesi, fra l’altro, di “collaborazioni per le quali gli accordi
collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti
il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze
produttive ed organizzative del relativo settore”.
In altri termini, la legge esclude l’estensione
della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate
che siano state disciplinate dalla contrattazione collettiva in possesso di
determinate caratteristiche (contrattazione di livello nazionale che coinvolga
associazioni comparativamente più rappresentative e che disciplini il
trattamento economico e normativo del rapporto “in ragione delle particolari
esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”).
L’esistenza stessa di accordi aventi i requisiti di
cui sopra comporta quindi l’esclusione del meccanismo di estensione della
disciplina del rapporto di lavoro subordinato, con la conseguenza che
l’eventuale scostamento, rilevato in sede di vigilanza, tra il trattamento
economico e normativo in concreto applicato ai collaboratori e quello previsto
dall’accordo collettivo di cui al comma 2 dell’art. 2 in esame – risultante
dalla documentazione di lavoro in possesso del committente (es. UNIEMENS, LUL
in caso di collaborazioni coordinate e continuative o contratto individuale di
lavoro) – permetterà il ricorso ai tipici provvedimenti ispettivi legati alla
mancata applicazione degli accordi collettivi, ivi compresa la diffida
accertativa ex art. 12 del d.lgs.
n. 124/2004, in relazione alle differenze tra gli importi contrattualmente
previsti e quelli effettivamente corrisposti (cfr. Trib. Roma sent. n. 4243 del
6 maggio 2019).
Applicazione della disciplina del rapporto di lavoro
subordinato
La circ. n. 3/2016
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva ritenuto che il
legislatore, non avendo individuato gli istituti del rapporto del lavoro
subordinato da estendere alle collaborazioni etero-organizzate, propendesse per
una “applicazione di qualsiasi istituto, legale o contrattuale (ad es.
trattamento retributivo, orario di lavoro, inquadramento previdenziale, tutela
avverso i licenziamenti illegittimi ecc. …), normalmente applicabile in forza
di un rapporto di lavoro subordinato”.
Tale orientamento ha trovato conferma nella sentenza della Corte di Cassazione n. 1663/2020
che si è pronunciata sulla natura da attribuire alla disciplina di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n.
81/2015. In proposito la Corte, discostandosi dall’orientamento espresso
dalla giurisprudenza di merito sulla quale è stato sollecitato l’intervento di
legittimità, non individua nelle collaborazioni etero-organizzate una diversa
tipologia contrattuale costituente un “tertium genus” intermedio fra il lavoro
autonomo e quello subordinato ritenendo, piuttosto, che il legislatore abbia
inteso “valorizzare alcuni indici fattuali ritenuti significativi (personalità,
continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l’applicazione
della disciplina dettata per il lavoro subordinato”.
In altri termini, l’applicazione della disciplina
del lavoro subordinato costituisce un “rimedio” dell’ordinamento alla
particolare posizione di soggezione del collaboratore, che tuttavia non
interferisce sul tipo contrattuale scelto dalle parti.
Sul piano dell’individuazione degli istituti del
rapporto di lavoro subordinato da applicare, la Corte prende atto del fatto che
il legislatore non vi abbia provveduto in maniera esplicita, con la conseguenza
che deve ritenersi applicabile l’intera disciplina del rapporto di lavoro
subordinato con l’unico limite delle disposizioni “ontologicamente
incompatibili con le fattispecie da regolare che per definizione non sono comprese
nell’ambito dell’art. 2094 cod. civ.”. Il
rinvio alla “disciplina del rapporto di lavoro subordinato” contenuto nel primo
comma dell’art. 2 cit. va
quindi inteso come rinvio alla relativa disciplina legale e contrattuale
concretamente applicabile.
L’intervento ispettivo
Sulla base di quanto chiarito dalla Suprema Corte,
la sussistenza di una etero-organizzazione non determina quindi una
riqualificazione del rapporto di lavoro autonomo o parasubordinato in lavoro
subordinato, fatte salve ovviamente le ipotesi in cui la etero-organizzazione
sconfini in una vera e propria etero-direzione.
Ne consegue che è esclusa l’applicazione delle
sanzioni previste per la violazione degli obblighi connessi all’instaurazione
di rapporti di lavoro subordinato, quali la comunicazione preventiva e la
consegna della dichiarazione di assunzione. Sul punto, pertanto, devono
ritenersi superate le indicazioni contenute nella citata circolare ML n. 3/2016.
Profili sanzionatori
L’estensione del regime delle tutele del rapporto di
lavoro subordinato può invece avere conseguenze sanzionatorie in relazione a
quelle condotte che, ferma restando la tipologia contrattuale che rimane
formalmente quella della collaborazione, il committente avrebbe dovuto
osservare applicando la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, ad
esempio in relazione ai tempi di lavoro e specificatamente in relazione ai
limiti massimi dell’orario, alle pause e ai riposi.
Va tuttavia segnalato che l’accertamento su tali
aspetti potrebbe risultare particolarmente complesso, non potendo fare
affidamento sull’utilizzo di adeguati sistemi di tracciamento dell’attività
lavorativa svolta dal collaboratore o, ancora, in ragione del fatto che
l’attività del collaboratore non è resa in regime di mono-committenza. In
relazione a tale ultimo aspetto, infatti, la frammentazione della prestazione
lavorativa resa in favore di una pluralità di committenti rende più difficile
l’individuazione del soggetto nei cui confronti sia da ritenere esigibile il
comportamento doveroso.
Sotto il profilo del rispetto delle disposizioni in
materia di salute e sicurezza – ferme restando le limitate competenze del
personale ispettivo in materia – appare opportuno premettere che il d.lgs. n. 81/2008 trova applicazione “a tutti i
lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi
equiparati, fermo restando quanto previsto dai commi successivi del presente
articolo” (art. 3, comma 4).
In questo caso, dunque, la qualificazione giuridica del rapporto non è sempre
dirimente per l’applicazione delle tutele prevenzionistiche che seguono invece
criteri diversi, primo fra tutti quello della presenza del collaboratore in uno
specifico contesto lavorativo. In materia si evidenziano dunque le seguenti
previsioni:
– art.
3, comma 7, nel quale viene precisato che il T.U. si applica ai
collaboratori coordinati e continuativi “ove la prestazione lavorativa si
svolga nei luoghi di lavoro del committente”;
– art.
3, comma 10, laddove si dispone che per i “lavoratori subordinati che
effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante
collegamento informatico e telematico” trovano applicazione le disposizioni di
cui al TITOLO VII in ordine alle attrezzature munite di videoterminali e
“nell’ipotesi in cui in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie,
o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle
disposizioni di cui al TITOLO III” (concernente “Uso delle attrezzature di
lavoro e dei dispositivi di protezione individuali”); è altresì prevista
l’applicazione, per i lavoratori a distanza, della disciplina in materia di
informazione “circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul
lavoro, in particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali”;
– art.
3, comma 11 nel quale si prevede, per i lavoratori autonomi, l’applicazione
del decreto, sebbene limitatamente agli artt. 21 e 26. In particolare,
l’art. 21 riguarda
l’osservanza di determinati obblighi da parte del lavoratore, fra cui quello di
utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al citato
TITOLO III mentre l’art. 26
prevede che, nel caso in cui il lavoratore autonomo svolga la propria attività
all’interno dei locali del committente, su quest’ultimo gravano alcuni compiti
(ad es. la verifica dell’idoneità tecnico professionale dei lavoratori autonomi
e gli obblighi di informazione circa i rischi specifici esistenti nell’ambiente
in cui operano e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in
relazione alla attività).
Laddove una collaborazione coordinata e continuativa
svolta presso i locali del committente venga considerata etero-organizzata non
vi saranno dunque differenze rispetto al regime di tutele applicabile, posto
che il citato art. 3, comma 7, del
d.lgs. n. 81/2008 prevede già l’integrale applicazione del T.U. alle
collaborazioni coordinate e continuative.
Maggiori criticità potrebbero essere invece
riscontrate nelle ipotesi di collaborazioni rese al di fuori dei locali del
committente (v. ad es. infra con specifico riferimento ai c.d. riders). In tali
casi, l’accertamento della natura etero-organizzata della collaborazione
comporterà l’estensione della disciplina in materia di salute e sicurezza del
rapporto di lavoro subordinato con particolare riguardo ad alcuni profili,
quali la formazione e l’informazione dei collaboratori, il controllo del
committente sulle attrezzature di lavoro, la denuncia di infortunio, la
sorveglianza sanitaria e la completezza del documento di valutazione dei
rischi, oltre all’obbligo a carico del datore di lavoro di fornitura e
manutenzione dei dispositivi di protezione individuale (cfr. Trib. Firenze decr. 1° aprile 2020 e Trib. Bologna decr. 14 aprile 2020).
Risulta, a tale ultimo riguardo, decisivo che le
specificità legate alle modalità esecutive delle prestazioni dei lavoratori
etero-organizzati siano contemplate all’interno della valutazione dei rischi
effettuata dal committente (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alla
necessità di inserire nella valutazione dei rischi l’utilizzazione da parte dei
lavoratori di attrezzature proprie o di propri mezzi di spostamento).
Tutela retributiva
L’applicazione della disciplina della subordinazione
comporta l’applicazione del contratto collettivo di riferimento. Pertanto, il
compenso del collaboratore non potrà essere inferiore alla retribuzione minima
previste dal CCNL di settore, riferita al livello e alla qualifica individuata
in ragione delle mansioni svolte e riparametra in base all’estensione temporale
della prestazione.
Esemplificativamente, la sentenza
n. 26/2019 della Corte di Appello di Torino, in relazione al trattamento
economico e normativo dei riders, ha ritenuto che agli stessi dovesse essere
riconosciuta “la retribuzione diretta, indiretta e differita stabilita per i
dipendenti del V livello del CCNL logistica-trasporto-merci [poiché] in tale
livello sono (…) inquadrati i fattorini addetti alla presa e alla consegna”.
In tali casi, quindi, alla luce della
interpretazione giurisprudenziale, gli eventuali scostamenti retributivi
accertati tra i compensi effettivamente erogati e la retribuzione stabilita dal
CCNL stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale nel settore di riferimento potranno
consentire l’adozione della diffida accertativa per il recupero delle
differenze retributive.
Quanto stabilito dal Giudice nella sentenza citata
riguarda dunque il caso in cui l’impresa non sia iscritta ad alcuna
organizzazione. Laddove infatti il committente applichi uno specifico CCNL,
anche in virtù della propria affiliazione all’organizzazione firmataria, le
differenze retributive andranno calcolate facendo riferimento ai livelli
retributivi previsti da tale contratto collettivo.
Solo nel caso in cui il CCNL applicato non consenta
di rinvenire alcuna coerenza tra le attività del collaboratore e le qualifiche
contrattuali, si dovrà effettuare il recupero sulla base del CCNL del settore
di riferimento secondo quanto sopra illustrato.
In proposito, in un’ottica di armonizzazione del
sistema di tutele previste per il lavoratore etero-organizzato rispetto a
quelle del lavoratore etero-diretto, si ritiene di dover superare i contenuti
della circolare ML n. 1/2013 nella parte in
cui, pur riconoscendo nelle ipotesi di riqualificazione dei rapporti di lavoro
l’insussistenza di ragioni giuridiche impeditive all’emanazione della diffida
accertativa, ha ritenuto preferibile, per motivi di mera opportunità, dare
indicazione al personale ispettivo di evitarne l’adozione. Ne consegue che, sia
nelle ipotesi di collaborazioni etero-organizzate cui trovi applicazione l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n.
81/2015, sia nelle ipotesi di riqualificazione dei rapporti di lavoro
autonomi in rapporti di lavoro subordinato, sarà possibile adottare il
provvedimento di diffida accertativa per il recupero dei crediti patrimoniali
del lavoratore.
Obblighi contributivi
Sotto il profilo contributivo va anzitutto ricordato
che la Corte di Cassazione, nel far proprie le argomentazioni della Corte di
Appello di Torino, ha evidenziato che “il lavoratore etero organizzato resta
tecnicamente “autonomo” ma per ogni altro aspetto ed in particolare per
sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (e quindi inquadramento
professionale), limiti di orario, ferie e previdenza, il rapporto è regolato nello
stesso modo”.
Ne consegue che la base imponibile va calcolata
secondo il criterio generale dei minimi contrattuali previsti dai contratti
collettivi leader (art. 1,
comma 1, d.l. n. 338/1989), applicando le aliquote previste per i
lavoratori subordinati dal Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti.
È appena il caso di sottolineare che, laddove si
registri l’avvenuto versamento da parte del committente di contributi presso
altra gestione previdenziale, gli stessi dovranno essere scomputati
dall’ammontare dei contributi complessivamente dovuti.
Sanzioni civili, tutele e automaticità delle
prestazioni
Nel richiamare i principi discretivi tra evasione ed
omissione contributiva di cui alla circolare INPS
n. 106/2017 si ritiene che, nelle fattispecie in esame, debbano trovare
applicazione le sanzioni previste per l’omissione contributiva (art. 116, comma 8 lett. a), L. n.
388/2000).
Ai lavoratori etero-organizzati vanno, inoltre,
applicate le tutele connesse alla cessazione del rapporto di lavoro (ad es. la
NASPI), l’indennità di malattia, l’indennità di maternità e gli assegni al
nucleo familiare nella misura riconosciuta ai lavoratori subordinati.
Inoltre, ai lavoratori verrà estesa la tutela
dell’automaticità delle prestazioni propria del FPLD.
Tutela assicurativa
In via generale, per quanto concerne i
collaboratori, la retribuzione imponibile è individuata nel compenso effettivamente
erogato nel rispetto del minimale e massimale di rendita di cui al d.P.R. n. 1124/1965. L’applicazione della
disciplina della subordinazione impone tuttavia, per i collaboratori
etero-organizzati, il richiamo al principio di carattere generale in materia di
assicurazione contro gli infortuni sul lavoro di cui all’art. 27, comma 1, del d.P.R. n.
1124/1965, secondo il quale “la spesa dell’assicurazione è a esclusivo
carico del datore di lavoro”. Per tali lavoratori non trova dunque applicazione
il principio, di carattere eccezionale, sancito dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 38/2000
secondo il quale “il premio assicurativo è ripartito nella misura di un terzo a
carico del lavoratore e di due terzi a carico del committente”.
Incidenza sull’organico aziendale
Va, infine, chiarito che l’estensione della
disciplina del lavoro subordinato al collaboratore etero-organizzato,
configurandosi come un meccanismo di tutela del singolo lavoratore, non può
incidere sulla determinazione dell’organico aziendale e, di conseguenza, sugli
istituti normativi o contrattuali connessi alle soglie dimensionali
dell’azienda (ad es. obblighi disciplinati dalla L.
n. 68/1999).
La disciplina dei riders che svolgono prestazioni di
lavoro autonomo
Il d.l. n. 101/2019
ha altresì dettato una disciplina specifica per i lavoratori autonomi che
“svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con
l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’art. 47, comma 2, lettera a) del
codice della strada, cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285,
attraverso piattaforme anche digitali”.
La disciplina, inserita nel corpo del d.lgs. n. 81/2015 (Capo V bis), regolamenta le
prestazioni lavorative rese, in regime di autonomia, dai ciclo-fattorini
individuati con specifico rinvio alle richiamate norme del codice della strada,
attraverso piattaforme anche digitali ossia “i programmi e le procedure
informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento,
sono strumentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e
determinando le modalità di esecuzione della prestazione”.
La disciplina di cui al Capo V bis trova tuttavia
applicazione solo qualora il rapporto non presenti le caratteristiche di
etero-organizzazione (ed anche di continuità) di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n.
81/2015, che invece richiede di applicare la più favorevole disciplina del
rapporto di lavoro subordinato.
Alla luce di quanto osservato, risulta necessario
individuare i casi in cui sia possibile configurare un genuino rapporto di
lavoro autonomo e quelli in cui, invece, trovi applicazione la disciplina sulle
collaborazioni etero-organizzate di cui all’art. 2, comma 1.
Riders autonomi e riders etero-organizzati
Come già accennato, secondo i primi orientamenti
giurisprudenziali in materia, appaiono ricadere nello schema delle
collaborazioni etero-organizzate quelle ipotesi in cui, anche attraverso le
piattaforme digitali, il committente realizzi l’integrazione della prestazione
del collaboratore nella propria organizzazione d’impresa, intervenendo
unilateralmente nella determinazione delle modalità esecutive della stessa e
senza lasciare pressoché nessuno spazio d’intervento alla discrezionalità del
collaboratore il quale, manifestata la propria disponibilità in ordine
all’esecuzione della prestazione, è vincolato a seguire le indicazioni
predeterminate dal committente in relazione alla fase esecutiva del rapporto.
Pertanto, le ipotesi di lavoro autonomo disciplinate
nel Capo V bis appaiono caratterizzate da un maggiore grado di autonomia
decisionale da parte del collaboratore in ordine alle modalità esecutive delle
prestazioni le quali, pur con l’utilizzo di piattaforme digitali, dovrebbero
essere connotate dall’autonomia organizzativa e decisionale normalmente propria
dei prestatori d’opera di cui all’art. 2222 c.c.,
nonché dall’assenza dell’elemento determinante della continuità della
prestazione così come sopra definita.
Posto che nell’ambito delle attività di consegna dei
beni tramite piattaforme digitali tale discrimine può risultare difficilmente
apprezzabile, risulta tuttavia opportuno effettuare una valutazione complessiva
che tenga conto contestualmente dell’aspetto organizzativo della prestazione e
del carattere di continuità della stessa, su cui ci si è già soffermati in
termini generali.
Ferma restando la necessità, da parte del personale
ispettivo, di verificare se la collaborazione dei ciclo-fattorini non sia
riconducibile addirittura ad un rapporto di natura subordinata in forza
dell’esistenza di una vera e propria etero-direzione, la natura
etero-organizzata del rapporto dovrà fondarsi come di consueto su una serie di
indici sintomatici da valutare complessivamente e contestualizzare nei diversi
modelli organizzativi rinvenuti nella prassi.
La qualificazione dovrà pertanto tener conto del
particolare atteggiarsi della sequenza negoziale nei casi considerati, a
partire dalle fasi di accesso alla piattaforma, passando per quelle esecutive,
per finire all’identificazione di condotte ascrivibili al recesso, tenendo in
particolar modo conto dei profili concernenti la durata del rapporto, la
disponibilità alla prestazione di cui si è detto e il numero di prestazioni
effettivamente svolte in un arco temporale significativo.
In via esemplificativa, si sottolinea come in
riferimento ai modelli più diffusi di food delivery, la fase di “reclutamento”
sia molto poco formalizzata. Sono infatti sufficienti uno smartphone e una
connessione a internet per aspirare a lavorare per gli hub digitali operanti
nel settore, senza particolari barriere all’ingresso. Lo stesso modello organizzativo
si fonda sulla disponibilità di lavoratori in sovrannumero, funzionale a far
fronte alle richieste dell’utenza. Nella maggior parte dei casi, la
“registrazione” ad un sito dedicato prelude alla conclusione di un contratto
per adesione in cui, secondo lo schema legale, le clausole sono predeterminate
dall’impresa e non sottoposte a negoziazione individuale e pertanto seriali e
standardizzate.
La fase esecutiva è governata da algoritmi che,
nella maggior parte dei modelli considerati, abbina i lavoratori ai clienti
sulla base delle richieste e secondo metriche preimpostate dall’impresa
committente. Questo aspetto organizzativo va valutato con attenzione nel suo
concreto atteggiarsi poiché la sola previsione di funzioni di “no show” o
“swap” o simili possibilità riconosciute al lavoratore per declinare la
chiamata non è sufficiente ad escludere una etero-organizzazione. Occorre
infatti valutare l’integrazione di tali sistemi con quelli interni ed esterni (cioè riservati ai clienti) di rating
eventualmente previsti, nonché con altri meccanismi interni di tipo gestionale
e valutativo che disciplinano la singola prestazione lavorativa e le ipotesi di
recesso.
Da un lato, infatti, la giurisprudenza europea tende
ad escludere che la facoltà del lavoratore di scegliere quando eseguire la
prestazione di lavoro abbia valore addirittura discretivo e tende ad una
lettura più “sfumata” dell’asserita “libertà” di scelta (cfr. Allonby CGUE 13 gennaio 2004, C- 256/01 e Aber Crombie
& Fitch Italia CGUE 19 luglio 2017, C-143/16
in cui la Corte giudica “irrilevante, ai fini della qualificazione del
contratto, il fatto che sui lavoratori non gravi alcun obbligo di accettare un
incarico”) atteso che, a prescindere da tale facoltà, ciò che conta è la
ripetizione della prestazione in un apprezzabile arco temporale.
Per altro verso, la stessa previsione di sistemi di
rating potrebbe risultare determinante ai fini del giudizio sulla sussistenza o
meno della etero-organizzazione tutte le volte in cui, così come già emerso in
sede ispettiva, tali sistemi siano finalizzati ad orientare l’algoritmo (id est
l’organizzazione) nella selezione delle consegne da affidare al collaboratore
(eliminando ad esempio le più vantaggiose), nella abilitazione/disattivazione
della possibilità di scelta delle fasce orarie o delle “piazze” di sosta
(consentendo o meno la scelta di quelle più “remunerative”) oppure siano
addirittura strumentali ad una applicazione automatica di decurtazioni del
compenso spettante quale “sanzione” per non aver conformato la prestazione allo
standard imposto dalla piattaforma. Trattasi di sistemi che contrastano
evidentemente con la normativa del 2019 in quanto impediscono quella libertà di
scelta che il legislatore ha assegnato ai ciclo-fattorini.
Ora, laddove si accerti che le prestazioni non siano
caratterizzate dagli elementi di cui al comma 1 dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015,
rilevano le nuove disposizioni che introducono norme minime di tutela
inderogabili in alcuni casi (ad esempio sulla non discriminazione disciplinata
all’art. 47 quinquies che
proibisce anche l’esclusione dalla piattaforma per mancata accettazione di una
prestazione) e derogabili in altri attraverso la contrattazione collettiva. In
sostanza, una volta esclusa la ricorrenza dei suddetti elementi- ivi compreso
quello della continuità – si dovrà accertare, a partire dal 3 novembre p.v. (data
di “operatività” dell’art. 47
quater del d.lgs. n. 81/2015), se esiste un contratto collettivo applicato
dal committente e se questo contratto
sia idoneo (in quanto sottoscritto dai soggetti indicati all’art. 47 ter e cioè le
organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale) a superare il divieto di cottimo e la garanzia di un compenso
minimo orario parametrato sui minimi dei contratti di settori affini.
In assenza di un contratto idoneo, anche alla luce
dello standard di rappresentatività fissato dalla legge, saranno quindi
applicabili i minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di
settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e
datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (art. 47 ter ultima parte), in
sostanza quello della logistica. Nella ipotesi descritte sarà pertanto
possibile, per il personale ispettivo, utilizzare lo strumento della diffida
accertativa per il recupero dei crediti patrimoniali dei lavoratori risultanti
da un raffronto tra quanto loro dovuto in applicazione dei predetti minimi
tabellari e quanto effettivamente erogato dal committente che non applichi
alcun contratto collettivo o applichi una disciplina collettiva non conforme
alle prescrizioni di legge.
Tutela assicurativa
Con l’art.
47 septies del d.lgs. n. 81/2015 viene esteso l’obbligo assicurativo INAIL,
sul quale l’Istituto è intervenuto a fornire ogni utile indicazione con nota operativa n. 60010.23/01/2020.0000866, alla
quale pertanto si rinvia.
Salute e sicurezza
Rimane, infine, ferma, per il caso specifico di
“lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui
(…)” contemplati dagli artt. 47
bis e ss., D.Lgs. n. 81/2015, la doverosa estensione della tutela in
materia di salute e sicurezza prevista espressamente dallo stesso decreto, ai
sensi del quale il committente che utilizzi la piattaforma anche digitale è
tenuto “nei confronti dei lavoratori di cui al comma 1, a propria cura e spese,
al rispetto del D.Lgs. n. 81/2008” (art. 47 septies, comma 3) e,
quindi, anche al rispetto di quanto previsto dall’art. 71 del predetto T.U. recante gli
“obblighi del datore di lavoro” anche in relazione alla fornitura delle
attrezzature (cfr. Trib. Firenze ord. 5 maggio 2020 che conferma il decreto del
1° aprile 2020).