Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 novembre 2020, n. 24198

Differenze retributive, Mensilità aggiuntive, indennità
redazionale, ferie, differenze tfr, Risarcimento danni da demansionamento,
Mansioni di giornalista professionista, Accordo sindacale, Mancata
sottoscrizione della liberatoria, Rito del lavoro, Circolarità tra oneri di
allegazione, di contestazione e di prova, Elementi di fatto e di diritto posti
a base delle diverse domande e/o istanze dell’attore e del convenuto, Contenuti
dei rispettivi primi atti processuali, ricorso e memoria difensiva,
Impossibilità di dimostrare circostanze non ritualmente e tempestivamente
allegate nel ricorso

 

Rilevato che

 

Il Tribunale di Bari rigettava le domande proposte
da S.A. nei confronti della E. s.p.a. volte a conseguire il pagamento della
somma di euro 119.893,26 a titolo di differenze retributive, mensilità
aggiuntive, indennità redazionale, di ferie, di prepensionamento, differenze
tfr, risarcimento danni da demansionamento, connesse alle mansioni di
giornalista professionista di primo livello espletate alle dipendenze della
società dal 1978 al 2002.

Detta pronunzia veniva parzialmente riformata dalla
Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica in data 22/11/2.016,
condannava la E. s.p.a. al pagamento della somma di euro 11.067,00 a titolo di
indennità di prepensionamento.

La Corte perveniva a tale convincimento
sull’essenziale rilievo che la società non aveva tempestivamente eccepito in
prime cure il fatto impeditivo della insorgenza del diritto ex adverso
azionato, costituito dalla mancata sottoscrizione della liberatoria prevista
dall’accordo sindacale 30/7/2002.

Avverso tale decisione la s.p.a. E. interpone
ricorso per cassazione affidato a due motivi ai quali resiste con controricorso
la parte intimata.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art.414 c.p.c. in
relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.

Si deduce che nel ricorso introduttivo del giudizio,
l’A. non avesse formulato alcuna deduzione in ordine alla integrazione della
indennità di prepensionamento, non individuando la disposizione normativa o
contrattuale da cui il diritto azionato traeva fondamento.

Si assume che, diversamente da quanto argomentato
dalla Corte di merito, in primo grado era stata specificamente eccepita la
inammissibilità delle avverse domande, connotate da evidente genericità nella
allegazione oltre che da carenza di supporto probatorio, elementi tutti bene
evidenziati dal giudice di prima istanza nel proprio dictum.

2. Il secondo motivo prospetta omesso esame
dell’accordo 30/7/2002.

Si deduce che il riconoscimento della indennità di
prepensionamento, in base alla precitata scrittura, subordinava l’erogazione
della indennità – che aveva la finalità di incentivazione all’esodo – entro
trenta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni, alla
sottoscrizione di una liberatoria da realizzarsi secondo le modalità che
avrebbe individuato l’azienda.

Si stigmatizzano, quindi, gli approdi ai quali è
pervenuto il giudice del gravame, il quale avrebbe omesso di scrutinare proprio
il tenore dell’Accordo 30/7/2002 che radicava la causa petendi del diritto
azionato.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi
siccome connessi, sono fondati e meritevoli di accoglimento per le ragioni di
seguito esposte.

E’ bene rimarcare, in via di premessa, che l’errore
prospettico in cui sono incorsi i giudici del gravame consiste nell’aver ritenuto
che punctum dolens della difesa articolata da parte appellata, fosse quello
della mancata allegazione di un impedimento alla erogazione dell’indennità
rivendicata dal lavoratore.

Di contro, opina questa Corte che nello specifico
sia riscontrabile una obiettiva carenza di allegazione da parte del ricorrente
– su cui gravava il relativo onere – con riferimento alla causa petendi che
qualificava il diritto azionato.

Dallo stralcio del ricorso introduttivo del giudizio
riprodotto in ricorso, non si evince alcuna specifica enunciazione delle
ragioni di fatto e di diritto sottese alla domanda concernente la rivendicata
indennità di prepensionamento, né l’indicazione degli elementi di prova sui
quali si fondava e dei documenti che si offrivano in comunicazione; è infatti
emerso che il ricorrente aveva chiesto tout court il pagamento della
“integrazione indennità di prepensionamento” quantificandola in euro
9.500,00.

Al riguardo è opportuno rammentare quanto affermato
nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli elementi di fatto e di
diritto posti a base delle rispettive domande e richieste (anche probatorie)
delle parti devono essere specificati nei rispettivi atti iniziali della
controversia (cfr. Cass. Sez. Un., 17/6/2004 n.11353); costituisce ormai ius
receptum che nel rito del lavoro si riscontra una circolarità tra oneri di
allegazione, di contestazione e di prova, che richiede la necessità che ai
sensi degli artt. 414 e 416 c.p.c., gli elementi di fatto e di diritto
posti a base delle diverse domande e/o istanze dell’attore e del convenuto
siano compiutamente contenuti nei rispettivi primi atti processuali (ricorso e
memoria difensiva) e richiede altresì che risulti individuato in modo chiaro
nel ricorso introduttivo quanto richiesto al giudice (petitum), con conseguente
impossibilità di dimostrare circostanze non ritualmente e tempestivamente
allegate nel ricorso (cfr. al riguardo Cass. Sez. Un. n.11353/2004 cit., cui
acide, ex plurimis, Cass. Sez. Un., 20/4/2005 n.8202).

4. Orbene, i suddetti principi ai quali va data
continuità, non sono stati osservati nella fattispecie scrutinata; né, per
superare la ontologica carenza dell’atto introduttivo del giudizio, può
ritenersi che il mero deposito di documenti – quali quello dell’accordo
30/7/2002 da parte della società resistente – anche se avvenuto contestualmente
al ricorso introduttivo della lite, possa supplire alla mancata definizione
della causa petendi, risultando la loro completa formulazione in ricorso un
passaggio obbligato per la definizione del thema decidendum e per
l’individuazione dei fatti da accertare ed eventualmente da provare, se non
contestati o ammessi da controparte.

In altri termini, l’indicata circolarità degli oneri
di allegazione, di contestazione e di prova, per essere espressione di un
assetto normativo incentrato sull’oralità, concentrazione ed immediatezza,
caratterizzante il rito del lavoro, è funzionalizzata al perseguimento del
principio della “ragionevole durata del processo” (art. 111 Cost., comma 2) in quanto la
determinazione dell’oggetto della domanda e l’indicazione dei fatti posti a
base della domanda stessa ex art. 414 c.p.c.,
nn. 3 e 4, consentono al convenuto, con il prendere posizione sui fatti di
causa, di assolvere agli oneri di contestazione nonché a quelli probatori
aventi ad oggetto i fatti ritualmente e tempestivamente allegati in ricorso.

Ne consegue che in un siffatto contesto non è
consentito supplire alle carenze del ricorso riguardanti l’oggetto della
domanda ed i suoi elementi costitutivi tramite un giudizio di inammissibilità
della eccezione sollevata dalla società appellata, quale quello espresso dai
giudici del gravame.

Dai principi innanzi enunciati, si evince infatti
che i dati fattuali, interessanti sotto diverso profilo la domanda attrice,
devono tutti essere esplicitati in modo esaustivo o in quanto fondativi del
diritto fatto valere in giudizio o in quanto volti ad introdurre nel giudizio
stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria, non potendosi negare la
necessaria circolarità, per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di
allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova; circolarità attestata –
come è opportuno ribadire ancora una volta – dal combinato disposto dell’art. 414 nn. 4 e 5 e dall’art.416, 3 comma, c.p.c. (cfr. al riguardo Cass.
17/4/2002 n. 5526).

Da qui l’impossibilità di contestare o richiedere
prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non
allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o
elementi condizionanti il diritto azionato, non siano stati esplicitati in modo
espresso e specifico nel ricorso introduttivo del giudizio (cfr. ex aliis,
Cass. 24/2/2003 n.2802, Cass. S.U. n.11353/2004 cit., Cass. 24/10/2017
n.25148).

Nell’ottica descritta, la declaratoria di
inammissibilità della eccezione attinente alla erogazione della indennità resa
dai giudici del gravame, non risulta conforme a diritto.

5. Va poi, ulteriormente rimarcato che risulta
acquisito ritualmente in primo grado anche l’accordo 30/7/2002 – prodotto dalla
società E. – che configurava l’indennità di prepensionamento in termini di
incentivo all’esodo, condizionandola alla sottoscrizione di una quietanza
liberatoria; e il giudicante avrebbe dovuto comunque prenderne atto, ove si
consideri che, anche ove si intendesse ipotizzare la esclusione dal tema
d’indagine, del fatto costitutivo della domanda per la sua mancata
contestazione, giusta l’art.416, comma 3 c.p.c.,
è possibile che il giudice ne accerti, d’ufficio, l’esistenza o l’inesistenza
in base alle risultanze ritualmente acquisite (vedi sul punto Cass. 20/12/2016
n.26395). Tanto in coerenza coi principi radicati in dottrina e nella costante
giurisprudenza di questa Corte secondo cui nel sistema processualcivilistico
vigente opera il principio cosiddetto dell’acquisizione della prova, in forza
del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente
utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza (vedi Cass.
25/2/2019 n.5409); si tratta di principio, applicabile al rito del lavoro, che
trova fondamento nella regola del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e . comporta l’impossibilità per le
parti di disporre degli effetti delle prove ritualmente assunte, le quali
possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da chi le
abbia dedotte (cfr. Cass. sez. lav. 25/9/2013
n.21909).

Alla luce delle considerazioni sinora esposte, la
sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Corte d’appello designata
in dispositivo perché disponga applicazione degli enunciati principi e provveda
anche in ordine alle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di
appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di
legittimità.

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