Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 novembre 2020, n. 24383

Sisma Molise, Ordinanze di protezione civile, Sospensione
dei versamenti contributivi di previdenza e assistenza sociale, Restituzione
rateizzata, Esclusione dei dipendenti pubblici dal beneficio della sospensione

 

Rilevato che

 

1. il Tribunale di Campobasso, in funzione di
giudice del lavoro, accoglieva il ricorso con il quale gli intimati indicati in
epigrafe – premesso di avere beneficiato, a seguito del sisma che aveva colpito
il Molise nel 2002, della sospensione dei versamenti contributivi di previdenza
e assistenza sociale di cui all’OPCM 3253 del
29.11.2002 – avevano lamentato che a decorrere dal novembre 2011, e
contrariamente a quanto stabilito nella succitata ordinanza OPCM a proposito
della restituzione rateizzata dei suddetti contributi, del tutto
arbitrariamente il Ministero dell’Economia e delle Finanze convenuto aveva
operato in busta paga, a titolo di recupero della contribuzione sospesa,
trattenute sensibilmente maggiori di quelle inizialmente disposte ed aveva
chiesto che venisse ordinato al predetto Ministero di ripristinare le modalità
di recupero come già attuate fino all’ottobre 2011;

2. la predetta decisione, con sentenza del 12 dicembre
2014, veniva confermata dalla Corte d’appello di Campobasso ad avviso della
quale: sussisteva la legittimazione/passiva del MEF in quanto rappresentante di
parte datoriale che aveva proceduto alla rideterminazione delle modalità di
restituzione oggetto di controversia; la norma di interpretazione autentica di
cui all’art. 6, comma 1 bis del D.L.
9 ottobre 2006 n. 263, convertito in legge 6
dicembre 2006 n. 29 che aveva definitivamente escluso i dipendenti pubblici
dal beneficio della sospensione contributiva non aveva invece riguardato le
modalità di restituzione dei contributi comunque non versati; in siffatta
situazione non poteva trovare applicazione la normativa richiamata
dall’appellante Ministero a giustificazione dei nuovi criteri unilateralmente
imposti quanto a modalità di restituzione dei contributi (divenuti)
indebitamente sospesi (criteri dedotti dall’art. 3 bis D.L. 8.7.2002 n. 138
conv. in L. 8 agosto 2002 n. 178 e l’art. 116, comma 17, L. 23 dicembre
2000 n. 388) perché non era ad essa pertinente essendo destinata a regolare
il solo lavoro pubblico; pertanto, in mancanza di specifiche norme regolatrici
del caso concreto, e, comunque, anche a non volere, in ipotesi, ritenere più
operativa l’O.P.C.M. 3253/02 quanto al 2° comma
dell’art. 7, (non interessato
dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 6, comma 1 bis della L. 290/06),
la questione in disamina doveva essere riguardata e decisa alla luce del
principio del legittimo affidamento del soggetto obbligato da un lato, e della
insuperabilità di limiti quantitativi valevoli ad assicurare il rispetto delle
esigenze di vita del lavoratore dall’altro lato; essendo, quindi, incontestato
che gli appellati avevano goduto del beneficio della sospensione in perfetta
buona fede, e stante il sensibile il divario che si sarebbe determinato dalla
riduzione fino ad un massimo di 60 rate rispetto alla originaria previsione di
restituzione “con un numero di rate pari a otto volte il numero delle
mensilità sospese”, (circa trenta mensilità nelle fattispecie dedotte in
causa), ovvero in una misura per il recupero che lo stesso Governo aveva
giudicato compatibile con il regime medio di vita dei lavoratori dipendenti,
l’operato del MEF era stato lesivo anche sotto quest’ultimo profilo testé
rappresentato; comunque, il MEF aveva ingenerato l’affidamento dei dipendenti
operando per circa un anno trattenute in misura ridotta dopo essersi
determinato al recupero dei contributi a distanza di oltre tre anni dalla
sentenza della Corte Costituzionale del 2008 in merito alla giustificata
esclusione dal beneficio per i soggetti pubblici; infine, la stessa determina
del 2013 con la quale il Ministero appellante, in autotutela, aveva
ripristinato l’originaria rateizzazione, senza perciò ritenere cessata la
materia del contendere, era la ulteriore dimostrazione, alla luce della
motivazione in essa contenuta, del fatto che l’amministrazione aveva
sostanzialmente accettato i vari pronunciamenti dei giudici di merito di
condanna al ripristino della precedente rateizzazione;

3. per la cassazione di tale decisione propone
ricorso il Ministero affidato a cinque motivi cui resiste con controricorso
l’INPS;

3.1. gli intimati non hanno svolto alcuna attività
difensiva;

 

Considerato che

 

4. con il primo motivo di ricorso si deduce falsa
applicazione degli artt. 19
della L. 4 aprile 1952 n. 218 e 1387 cod. civ.
(in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.
proc. civ.) in quanto la Corte territoriale erroneamente aveva affermato
la  sussistenza della legittimazione
passiva del Ministero ricorrente sul rilievo che esso fosse il rappresentante
del datore di lavoro (il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della
Ricerca, peraltro estromesso dal giudizio), laddove nessuna norma poteva
fondare siffatta affermazione, né esisteva alcun atto negoziale tra amministrazioni
e non potendo in alcun modo esso MEF essere ritenuto direttamente responsabile
della modifica delle modalità di rateizzazione.

5. con il secondo motivo viene dedotta violazione
degli artt. 7 O.P.C.M. 3253/2002,
3, comma 3 bis, del D.L. n.
138/2002 conv. con modificazioni in L. n.
178/2002, 116 comma 17, L. n.
388/2000 nonché degli artt. 1183, 2033, 1350, n.3, 1175 e 1366 cod. civ.
(in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod.
proc. civ.) per avere ritenuto applicabile anche ai pubblici dipendenti
(quindi opponibili all’Amministrazione) le modalità di rateizzazione previste
dall’art. 7, comma 2°, dell’O.P.C.M.
3252/02 nonostante l’intervento dell’art. 6, comma 1 bis, del D.L.
n.263/2006 conv. in L. n. 290/2006 il
quale, fornendo interpretazione autentica della L.
225/92 ovvero affermando che la sospensione del beneficio del versamento
dei contributi previdenziali ed assistenziali prevista nelle ordinanze di
protezione civile si applicava esclusivamente ai datori di lavoro privati
aventi sede nei comuni individuati dalle medesime ordinanze con efficacia
retroattiva, aveva definitivamente escluso i dipendenti pubblici dal beneficio
della sospensione contributiva, e, dunque, anche da quello, automaticamente
conseguente, della rateizzazione più lunga di cui al comma 2° del citato art. 7; si evidenzia,
infatti, come la circostanza che l’Amministrazione avesse errato nella fase
iniziale di recupero dei contributi applicando la più favorevole rateizzazione
prevista dal citato art. 7, comma 2,
dell’O.P.C.M. 3252/02, non poteva valere a fondare un “legittimo
affidamento” come sostenuto nell’impugnata sentenza sicchè il recupero
doveva avvenire nel termine massimo di sessanta mesi come previsto dagli artt. 3, comma 3 bis, del D.L. n. 138/2002 conv.
con modificazioni in L. n. 178/2002 e 116 comma 17, L. n. 388/2000 e non
avendo l’Amministrazione assunto alcun formale impegno ad accedere ad una più
favorevole rateizzazione di quella prevista dalle due menzionate disposizioni
legislative.

6. con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1183 e 2033 cod. civ. per avere la Corte d’appello
ritenuto pacifica perché non contestata la “buona fede del
percipiente” ed il “legittimo affidamento” dello stesso laddove
il Ministero aveva sempre contestato specificamente tali allegazioni
evidenziando come molti degli attuali ricorrenti avevano visto rigettate, con sentenze
passate in giudicato, le loro pretese di pagamento delle differenze retributive
asseritamente dovute loro a seguito della sospensione della contribuzione;

7. con il quarto motivo viene dedotta violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per aver la
Corte omesso di esaminare una serie di circostanze; con il quinto motivo,
infine, si deduce l’omessa pronuncia ex artt. 112,
187 e 188 cod.
proc. civ. in ordine alla richiesta di esibizione delle dichiarazioni dei
redditi del quinquennio precedente all’anno considerato;

8. il primo motivo è infondato essendo il Ministero
dell’Economia e delle Finanze legittimato passivo quale soggetto che ha operato
la rateizzazione dell’importo dovuto dai dipendenti del Ministero
dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca a titolo di restituzione dei
contributi non versati nel periodo in questione per il tramite delle sue
articolazioni costituite dal DAG (Dipartimento dell’Amministrazione Generale,
del Personale e dei. Servizi del Tesoro), e dalla “Ragioneria
Generale” nei suoi uffici territoriali ai quali spettano la gestione degli
stipendi dei vari ministeri e delle entrate.

Del resto, nella presente fattispecie in cui si
discute delle modalità di restituzione delle somme che i dipendenti del MIUR
non hanno versato a titolo di contributi non viene in rilievo il disposto dell’art. 19 della L. n. 218/1952
(secondo cui «Il datore di lavoro è responsabile del pagamento dei contributi
anche per la parte a carico del lavoratore; qualunque patto in contrario è nullo.
Il contributo a carico del lavoratore è trattenuto dal datore di lavoro sulla
retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga
cui il contributo si riferisce.») che, invece ha inteso individuare il soggetto
responsabile per il versamento dei contributi da parte del lavoratore operando
le relative trattenute sulla retribuzione corrisposta. Peraltro, non può non
rilevarsi, come la legittimazione passiva del Ministero ricorrente risulti
essere confermata dalla nota del marzo 2013 della Ragioneria Territoriale dello
Stato di Campobasso relativa alla comunicazione della Determina Direttoriale n.
5654 del 27 marzo 2013 con la quale, in regime di autotutela, aveva
ripristinata la più favorevole rateizzazione prevista dall’art. 7 comma 2, dell’O.P.C.M. n.
3253/2002. Infine è da sottolineare come il Ministero dell’Economia e delle
Finanze non aveva ritenuto di impugnare il capo della decisione del primo
giudice che aveva escluso la legittimazione passiva del MIUR;

9. infondato è anche il secondo motivo come chiarito
da questa Corte a partire dal proprio precedente n. 19662 del 22 luglio 2019.
E’ stato infatti affermato che l’O.P.C.M.
n. 3253 del 2002, art. 7, comma 1, – che prevede la sospensione dei
versamenti dei contributi previdenziali per i soggetti residenti nelle zone
colpite dagli eventi sismici iniziati il 31 ottobre 2002 – va interpretato alla
stregua del disposto del D.L. n. 263
del 2006, art. 6, comma 1-bis, citato e, pertanto, è riferibile soltanto ai
datori di lavoro privati, essendo il beneficio in esso contemplato finalizzato
alla liberazione di risorse economiche da destinare al sostegno delle attività
imprenditoriali (finanziando l’impresa con operazione rispetto alla quale il
lavoratore resta neutro) e non anche all’incremento delle retribuzioni dei
lavoratori. E’ stato altresì chiarito che il predetto D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma
1-bis, essendo norma propriamente di interpretazione autentica (ritenuta
costituzionalmente legittima da Corte Cost. in.
325 del 2008) secondo quanto esplicitato anche dal dato testuale oltre che
dalla sua ratio, come tale, ha efficacia retroattiva e si applica anche alle
ordinanze ex D.L. 4 novembre 2002 n. 245 conv.
con modif. in L. 27 dicembre 2002 n. 286,
riguardando in generale il potere di emanazione di provvedimenti contingibili
ed urgenti. Ne deriva che il datore di lavoro pubblico ha legittimamente
operato le trattenute dovendo corrispondere da subito i contributi
previdenziali ed i premi, ed anche per la quota a carico del lavoratore, non
operando la sospensione dell’obbligo nei confronti dei datori pubblici secondo
quanto fin qui detto (Cass. n. 2277 del 06/02/2015; Cass. n. 8442 dell’8 aprile
2014; Cass. n. 8646 del 30 5 maggio 2012; Cass. n. 4963 del 28 marzo 2012, n.
4963 nonché nn. 4669, 4673, 10243,13159, 28500 del 2011). Orbene,
l’applicabilità del comma 1 dell’art.
7 della OPCM 3253/2002 solo ai datori di privati non comporta che il secondo
comma di detto articolo (secondo cui «La riscossione dei contributi
previdenziali ed assistenziali e dei premi dovuti per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali non corrisposti
per effetto della sospensione di cui al comma 1 avverrà mediante rate mensili
pari a otto volte i mesi interi di durata della sospensione. Gli adempimenti
non eseguiti per effetto della sospensione di cui al comma 1 sono effettuati
entro il secondo mese successivo al termine della sospensione, mentre le rate
di contributi sono versate a partire dal terzo mese successivo alla sospensione
stessa.») non possa trovare applicazione anche nelle ipotesi – quale quella
all’esame – in cui l’indebita sospensione dei contributi sia avvenuta per una
erronea scelta dell’Amministrazione favorita dalla equivocità del testo
normativo che ha reso necessaria l’adozione di una disposizione interpretativa.

Del resto è circostanza pacifica tra le parti che il
Ministero ricorrente aveva inizialmente applicato le modalità di rateizzazione
previste dal menzionato secondo comma dell’art. 7 dell’O.P.C.M. 3253/2002.
Peraltro, è opportuno qui ricordare che la giurisprudenza amministrativa,
formatasi sui rapporti di lavoro di impiego pubblico non contrattualizzato, ha
avuto modo di affermare che il recupero ha carattere di doverosità e
costituisce esercizio, ai sensi dell’art 2033 cod.
civ. di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non
rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di
pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente
erogate, mentre le situazioni di affidamento e di buona fede dei percipienti
rileverebbero ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere
effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa
sulle esigenze di vita del dipendente (v., ex plurimis, Cons. St., Sez. 3, 9
giugno 2014, n. 2903). Anche la giurisprudenza di diverso orientamento
(Consiglio di Stato, 6″ sezione, sentenza n. 5315 del 2014, Cons. St., 5^
sezione, 13 aprile 2012, n. 2118) ha rilevato che i suddetti principi
giurisprudenziali, pur apparendo condivisibili in linea astratta, non possono
essere applicati in via automatica, generalizzata e indifferenziata a qualsiasi
caso concreto di indebita erogazione, da parte della pubblica amministrazione,
di somme ai propri dipendenti, dovendosi aver riguardo alle connotazioni,
giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, tenendo
conto della natura degli importi di volta in volta richiesti in restituzione,
delle cause dell’errore che aveva portato alla corresponsione delle somme in
contestazione, del lasso di tempo trascorso tra la data di corresponsione e
quella di emanazione del provvedimento di recupero, dell’entità delle somme
corrisposte in riferimento alle correlative finalità;

10. dal rigetto del secondo motivo discende
l’inammissibilità del terzo, del quarto e del quinto motivo, alla luce del
principio più volte affermato da questa Corte per il quale nel caso in cui
venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa)
che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è
necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna
di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso
abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le
censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione,
il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel
suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro
sorreggano sicchè è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non
abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia
respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo
di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili,
per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base
della sentenza o del capo impugnato (Cass. Sez. U, n. 16602 del 08/08/2005;
successive conformi , ex multis: Cass. n. 21431 del 12/10/2007; Cass. Sez. U,
n. 10374 del 08/05/2007); ed infatti, entrambi i motivi censurano la seconda
ratio decidendi posta a fondamento della sentenza impugnata;

11. pertanto, il ricorso va rigettato;

12. non si provvede in ordine alle spese nei
riguardi degli intimati che non hanno svolto alcuna attività difensiva;

13. non può trovare applicazione nei confronti delle
Amministrazioni dello Stato l’art.
13, comma 1 quater, d.P.R.. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della
prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che
gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016);

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 novembre 2020, n. 24383
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