Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 novembre 2020, n. 24607

Cartelle esattoriali, Premio supplementare Inail per rischio
silicotigeno, Rischio escluso solo per i lavoratori piazzalisti, Elevata
polverosità diffusa, Risultanze documentali, Ambiente di lavoro
necessariamente riferito all’ambito spaziale in cui tale attività viene
espletata

 

Rilevato che

 

la Corte d’appello di Genova, con sentenza n.
295/2013 ed in parziale riforma della decisione del primo giudice, ha
rideterminato in Euro 177.154,08 gli importi dovuti all’INAIL dalla C.I. s.p.a.
in relazione agli anni dal 1996 al 2000; tali importi erano stati richiesti con
varie cartelle esattoriali a titolo di premio supplementare per rischio
silicotigeno nelle lavorazioni effettuate dalla società;

la Corte territoriale ha dato atto che il Tribunale
di Massa, respinte le contestazioni sul quantum, aveva ritenuto, sulla base
degli esiti della c.t.u. espletata, di ritenere fondata la pretesa dell’INAIL
quanto ai soli segatori, posto che solo per la loro attività poteva dirsi
raggiunta la prova della esposizione al valore soglia di 0,05 mg/mc di quarzo,
frazione respirabile in conformità a quanto previsto dalla nota del Ministero
del lavoro del 3 dicembre 1991, emanata allo scopo di specificare il precetto
della legge; ad avviso della Corte d’appello, inoltre, era fondata
l’impugnazione principale proposta dall’Inail, relativa al punto della
decisione che aveva ristretto ai soli segatori e non a tutti coloro i quali
lavoravano nel medesimo reparto segheria l’imposizione dell’obbligo, posto che
la c.t.u. espletata aveva accertato, in conformità ai rilievi effettuati dal
servizio CONTARP, che il rischio silicotigeno andava escluso solo per i
lavoratori piazzalisti e per quelli che non operavano all’interno dell’area
segagione, quindi con l’inclusione degli operai armatori la cui attività era
fortemente connessa a quella dei segatori; la Corte ha, infine, rigettato
l’appello incidentale proposto dalla società che tendeva alla riforma della
sentenza in punto di estensione temporale dell’obbligo e dell’accertamento
sulla dispersione di polvere di quarzo nelle quantità stimate dalla c.t.u.;

avverso tale sentenza ricorre per cassazione C.I.
s.p.a. (già S.G.M. S.G.M. s.r.l.) sulla base di tre motivi, poi ulteriormente
illustrati da memoria; resiste l’Inail con controricorso;

 

Considerato che

 

con il primo motivo si deduce la violazione e falsa
applicazione degli artt. 153
T.U. n. 1124 del 1965 e 2697 c.c., posto
che si addebita alla sentenza impugnata di aver interpretato il contenuto del
citato art. 153, che
prevede l’imposizione del premio supplementare fissato in relazione alla
incidenza dei salari specifici riflettenti gli operai esposti a inalazioni di
silice libera, come riferito alla mera possibilità della esposizione propria
degli operai armatori, disattendendo l’orientamento espresso dalla
giurisprudenza di legittimità che aveva richiesto la prova, a carico
dell’INAIL, di un rischio effettivo;

con il secondo motivo, si deduce la violazione e
falsa applicazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c.
in ragione del fatto che la sentenza impugnata, dopo aver interpretato
erroneamente la c.t.u. espletata in primo grado, ritenendo che la stessa avesse
accertato anche per gli armatori la soggezione al silice, avrebbe formulato il
giudizio sulla natura sostanzialmente promiscua delle mansioni degli armatori e
dei segatori basandolo su denunce di infortunio sul lavoro fornite dall’Inail
solo in appello, senza dare giustificazione della indispensabilità di tali
produzioni che, quindi, erano inammissibili; con il terzo motivo si denuncia
l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai
sensi dell’art. 360, primo comma n.5, c.p.c.,
che si ravvisa nel fatto che la Corte d’appello non aveva spiegato le ragioni
per le quali aveva ritenuto che dalle denunce di infortunio si traessero
argomenti per sostenere che alcuni operai indicati come tessitori sarebbero
invece risultati segatori;

i motivi, in quanto connessi, possono essere
trattati congiuntamente e sono infondati;

la sentenza impugnata ha ritenuto che anche per
l’attività svolta dagli operai tessitori vi fosse obbligo di versare il premio
supplementare, dovuto per l’esposizione alla inalazione del silicio libero, in
ragione sostanzialmente di una doppia considerazione. Da una parte, in quanto
le risultanze della c.t.u. espletata in primo grado avevano provato che,
all’interno dell’area segagione, se potevano considerarsi maggiormente esposti
i segatori, non poteva ritenersi diversamente quanto agli armatori, posto che
le conclusioni della c.t.u. avevano tenuto adeguato conto dell’elevata
polverosità diffusa ed il perito aveva differenziato le posizioni dei segatori
e degli armatori solo per la durata dell’esposizione. Sotto altro profilo,
anche le risultanze documentali (elenco degli armatori fornito al c.t.u. dalla
stessa società) dimostrava che le medesime persone erano state indicate in
altre circostanze come segatori, per cui non assumeva valore a fini probatori
l’indicazione offerta dalla società;

il giudizio, dunque, è espressione di un tipico
potere del giudice di merito che, come tale, non è suscettibile d’esame in
questa sede di legittimità; esso si sottrae alle critiche che muove la
ricorrente; in particolare, non è stato disatteso il principio più volte
espresso da questa Corte di cassazione in materia di obbligo di pagamento del
premio supplementare previsto dall’art. 153 d.P.R. n. 1124 del 1965,
come sostituito dalla L. n.
780 del 1975, art. 10, il cui testo prevede che “I datori di lavoro,
che svolgono lavorazioni previste nella tabella allegato n. 8, sono tenuti a
corrispondere un premio supplementare, fissato in relazione all’incidenza dei
salari specifici riflettenti gli operai esposti ad inalazioni di silice libera
o di amianto in concentrazione tale da determinare il rischio, sul complesso
delle mercedi erogate a tutti gli operai dello stesso stabilimento, opificio,
cantiere ecc.”.; si è detto che tale disposizione non fa espresso richiamo
all’ambiente di lavoro, ma la riferibilità del rischio al contesto spaziale in
cui si svolge l’attività lavorativa è elemento da ritenersi insito nel concetto
di esposizione alle inalazioni delle sostanze considerate, non potendosi avere
esposizione se non in relazione ad un luogo in cui dette sostanze siano
presenti (Cass. 15/04/2013, n. 9078);

proprio in relazione alla disciplina del D.P.R. n. 1124 del 1965, art.
153 la giurisprudenza di questa Corte ha fatto reiteratamente riferimento
al “rischio ambientale” (cfr, ex plurimis, Cass.,
SU, n. 13025/2006; Cass., nn. 15865/2003; 6602/2005), specificando che il premio
supplementare è dovuto qualora risulti accertato in concreto che, a causa
dell’effettuazione delle lavorazioni tabellate, si verifichi nell’ambiente di
lavoro una dispersione di silice libera o di amianto in concentrazione non
inferiore a quella normalmente idonea a determinare, per il personale addetto,
il rischio effettivo (e non già presunto) di contrarre la silicosi o
l’asbestosi (cfr, Cass., n. 8970/1991);

nel caso di specie è pacifico che l’attività
espletata dall’impresa consiste nella segagione di materiali lapidei, onde
l’ambiente di lavoro deve necessariamente essere riferito all’ambito spaziale
in cui tale attività viene espletata e, quindi, nel caso di specie nel reparto
segheria, come accertato dalla Corte d’appello;

correttamente dunque la Corte territoriale, al fine
di accertare la sussistenza del rischio e, quindi, la debenza o meno del premio
supplementare, ha concentrato la propria indagine sulla valutazione delle
condizioni esistenti all’interno della segheria ove prestavano lavoro sia i
segatori che, per meno tempo, gli armatori;

tale accertamento in concreto, inoltre, rende del
tutto infondata la denuncia di violazione dell’art.
2697 c.c., giacché la Corte territoriale ha deciso dopo aver valutato le
risultanze acquisite al giudizio e non certo applicando la regola del riparto
dell’onere probatorio (Cass. n. 13395/2018;
Cass. n. 26769/2018); è poi inammissibile la denuncia di violazione dell’art. 345, terzo comma, c.p.c., posto che non si
confronta con la sentenza impugnata, che certamente non ha fondato la decisione
su documenti prodotti dall’INAIL tardivamente;

deve, ancora, ritenersi inammissibile il profilo
relativo al vizio di motivazione con il quale si è ravvisata una lacuna della
stessa in punto di rilevanza accordata alle denunce di infortunio sul lavoro
acquisite agli atti, essendo tale denuncia non conforme al vizio tipico di cui
all’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c. vigente,
posto che il testo, riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
conv. in I. n. 134 del 2012, introduce
nell’ordinamento un vizio specifico denunciarle per cassazione, relativo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il
vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante
in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la
sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. 27415
del 2018; SS.UU. n. 8053 del 2014); in
definitiva, il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza nella misura
liquidata in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00
per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del
15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis.

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