Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 novembre 2020, n. 24613

Contributi e sanzioni ex Enpals, Omissione contributiva,
Versamento dei contributi all’Inps nella Gestione cd. Separata, Lavoratori a
progetto, Contribuzione dovuta all’Enpals, indifferente alla qualificazione
del rapporto, autonomo o subordinato, Carattere di specialità

 

Rilevato che

 

1. con sentenza del 17 dicembre 2013 il Tribunale di
Grosseto annullò la cartella esattoriale opposta da F. Srl, gestrice di una
sala per il gioco, e condannò la società al pagamento in favore dell’INPS della
minor somma di euro 53.142,57 “quali contributi e sanzioni ex ENPALS per
gli anni 2004, 2005, 2006 e 2007” accertati dalla DPL di Grosseto il 4
maggio del 2007; dichiarò altresì il difetto di legittimazione passiva di
Equitalia Gerit Spa;

2. interposto gravame dalla società, la Corte di
Appello di Firenze, con sentenza del 14 luglio 2015, in parziale riforma della
sentenza impugnata, ha ridotto il dovuto alla cifra di euro 32.356,67,
escludendo, quanto alle sanzioni, che si trattasse di evasione piuttosto che di
omissione contributiva;

3. la Corte ha espresso i seguenti passaggi
argomentativi: “dall’accertamento in atti risulta inequivocabilmente che
F. Srl non ha versato i contributi all’ENPALS” ma “all’INPS nella
Gestione cd. separata, sul presupposto che si trattasse di lavoratori a
progetto”; “è noto, ora, come la contribuzione all’ENPALS sia
indifferente alla qualificazione del rapporto, se autonomo o subordinato, ed è
noto come la stessa risulti più gravosa rispetto alla cd. gestione separata
dell’INPS”; “in punto di fatto si tratta allora di stabilire se per i
26 lavoratori di cui al verbale di accertamento sia dovuta una contribuzione
maggiore rispetto a quella versata ed ancorché dal verbale di accertamento si
ricavi che gli ispettori abbiano fondato la maggiore pretesa sulla natura
subordinata del rapporto”; secondo il Collegio sussiste “una
contestazione che corrisponde al vero e cioè che per quei lavoratori non
fossero stati versati i contributi all’ENPALS” e “poiché è
irrilevante che si sia trattato di lavoratori subordinati o autonomi,
correttamente il giudice di primo grado ha disposto una CTU al fine di
accertare la sussistenza di una differenza contributiva”;

4. circa l’eccepita nullità della sentenza di primo
grado “per essere stata formata in modo cartaceo e firmata in modo
analogico” la Corte fiorentina ha disatteso il motivo di appello perché
“lo stesso appellante non pone in dubbio che il provvedimento provenga dal
giudice che lo ha firmato”;

5. la Corte, infine, compensate parzialmente le
spese con l’INPS, ha condannato la società “alla rifusione delle spese in
favore di Equitalia Centro Spa, convenuta in appello e non legittimata alla
causa”;

6. per la cassazione di tale pronuncia ha proposto
ricorso F. Srl con 10 motivi; ha resistito l’INPS (successore dell’ENPALS) con
controricorso; non ha svolto attività difensiva l’intimata Equitalia Centro
Spa;

 

Considerato che

 

1. i motivi di ricorso possono essere come di
seguito sintetizzati: Con il primo si denuncia: “nullità della sentenza
per omessa pronuncia in ordine ad una questione decisiva e violazione dell’art. 112 c.p.c. (in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.)”; si
lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso ogni pronuncia sul primo
motivo di appello che era incentrato sul fatto che la pretesa dell’Istituto
originava dall’accertamento ispettivo che aveva riqualificato i rapporti da
autonomi in subordinati, mentre  il
Tribunale avrebbe affermato la debenza dei contributi per un profilo non
dedotto dall’Ente previdenziale; con la seconda censura, formulata sempre per
violazione dell’art. 112 c.p.c., si denuncia
che la Corte di Appello sarebbe incorsa nella medesima ultrapetizione del primo
grado per aver “affermato l’indifferenza ai fini dei contributi della
posizione dei lavoratori ed avendo così pronunciato su un profilo fattuale e
giuridico non dedotto dalle parti”;

col terzo motivo si invoca il disposto del n. 5
dell’art. 360 c.p.c., sostenendo che “la
sentenza impugnata è … assolutamente carente di motivazione in diritto”
per aver ritenuto “notoria” l’indifferenza a fini contributivi della
natura autonoma o subordinata del lavoro oggetto di prestazione nonché “la
maggior gravosità della contribuzione per i lavoratori ENPALS … ma inquadrati
nell’INPS”;

per il quarto motivo “la mancata indicazione
delle norme di legge applicate, date semplicemente per note”
configurerebbe anche “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c.” per mancata specificazione
delle ragioni giuridiche della decisione; il quinto motivo denuncia
“violazione e mancata applicazione dell’art. 2 della legge 8 marzo 1995 n.
335 e dell’art. 45 del d. Igs.
30 settembre 2003 n. 269” per non avere la Corte territoriale applicato
le disposizioni richiamate “che prevedono l’iscrizione alla Gestione
Separata dell’INPS indistintamente di tutti i collaboratori coordinati e
continuativi, sia se appartenenti al sistema ed alla sfera INPS, sia se
appartenenti a diversi enti previdenziali e quindi anche all’ENPALS”;

il sesto motivo denuncia la nullità della sentenza
per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sul
motivo di appello che aveva lamentato come il primo giudice non avesse disposto
“la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 1, commi 1202 – 1210 I. n.
296/06 stante la pendenza della procedura di cd. stabilizzazione delle
posizioni lavorative oggetto della cartella”;

il settimo motivo critica la sentenza impugnata per
non aver dichiarato la “nullità della sentenza di primo grado per mancanza
della firma del giudice” che, ove correttamente apprezzata dalla Corte
fiorentina, avrebbe “comportato la rimessione del giudizio al Tribunale ai
sensi degli artt. 161, secondo comma, e 354, primo comma, codice di rito”;

con l’ottava censura si denuncia ancora nullità
della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di gravame che aveva
“lamentato l’errata affermazione di carenza di legittimazione passiva della
società Equitalia”;

ove una pronuncia dovesse ravvisarsi nel passo della
sentenza impugnata che comunque condanna la società alla rifusione delle spese
in favore di Equitalia Centro Spa “non legittimata alla causa”, con
il nono motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo e con il decimo
nullità della sentenza per violazione dell’art. 132
c.p.c., in entrambi i casi per mancata “indicazione delle ragioni di
diritto e giuridiche della decisione”;

2. per il suo carattere pregiudiziale ex art. 383, co. 3, c.p.c., occorre esaminare il
settimo motivo di ricorso, con il quale si denuncia la nullità della sentenza
di primo grado, negata in appello, “per mancanza della firma del
giudice”;

il motivo, per come formulato, è inammissibile in
quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata secondo cui
la sentenza di primo grado sarebbe stata “formata in modo cartaceo e
firmata in modo analogico”;

invece il ricorrente sostiene che detta sentenza
sarebbe priva della “firma “tradizionale” (analogica)”, in quanto
sottoscritta solo digitalmente; ma con tale prospettazione l’istante avrebbe
dovuto impugnare la sentenza d’appello per errore di fatto revocatorio e non
con il ricorso per cassazione;

in ogni caso la censura non merita accoglimento
perché il provvedimento giudiziale sottoscritto dal giudice con firma digitale
non è inesistente, trattandosi di modalità equiparabile alla sottoscrizione
manuale (Cass. n. 21285 del 2015) e la firma digitale è equiparata alla
sottoscrizione autografa in base ai principi del d.lgs. n. 82 del 2005, resi
applicabili al processo civile dall’art.
4 del d.l. n. 193 del 2009, convertito dalla I.
n. 24 del 2010 (Cass. n. 22871 del 2015); inoltre, sulla scorta
dell’insegnamento di Cass. SS.UU. n. 11021 del 2014, la firma digitale apposta
ad un documento che si assume essere stato formato in cartaceo (ma il corpo del
motivo non contiene neanche la trascrizione del contenuto della sentenza di
primo grado) non sarebbe in ogni caso “mancante”, ma al più
“insufficiente”, con esclusione della radicale nullità di cui al
secondo comma dell’art. 161 c.p.c. e
possibilità comunque di ascrivere la sentenza al giudice che l’ha pronunciata,
come ha fatto il giudice d’appello, in coerenza con il principio di razionalità
e di ragionevole durata del processo (v. pure Cass. n. 7546 del 2017);

3. i primi due motivi di ricorso, da valutarsi
congiuntamente in quanto lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c. per profili connessi, risultano
infondati;

la violazione del canone della corrispondenza tra il
chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.
ricorre, oltre all’ipotesi di omessa pronuncia su di una domanda o su di una
eccezione di merito, come vizio di ultra ed extra petizione, solo quando il
giudice pronunzia oltre i limiti delle domande e delle eccezioni non rilevabili
d’ufficio fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto
del giudizio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello
domandato, mentre al di fuori di tali specifiche previsioni il giudice,
nell’esercizio della sua potestas decidendi, resta libero di individuare
l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronunzia adottata
considerazioni di diritto diverse da quelle all’uopo prospettate, in quanto ciò
attiene all’obbligo inerente all’esatta osservanza della legge, che il giudice
deve conoscere e applicare (art. 113 c.p.c.);
avuto specifico riguardo alle circostanze di fatto che possono essere poste a
fondamento di una domanda o di una eccezione, affinché la modifica o la
sostituzione di tali fatti possa concretare la violazione dell’art. 112 c.p.c. è necessario che i medesimi
abbiano natura costitutiva della fattispecie integrante la domanda o
l’eccezione; di talché introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di
decisione, si alteri l’oggetto sostanziale dell’azione o dell’eccezione ed i
termini della controversia; ciò posto va ricordato che, per costante
giurisprudenza di questa Corte Suprema, l’opposizione contro la cartella
esattoriale di pagamento emessa per la riscossione di contributi previdenziali
dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti e obblighi inerenti
al rapporto contributivo, tanto che l’ente previdenziale convenuto può chiedere,
oltre che il rigetto dell’opposizione, anche la condanna dell’opponente al
pagamento del credito di cui alla cartella, senza che ne risulti mutata la
domanda (cfr. Cass. n. 3486 del 2016; Cass. n.
23600 del 2009; Cass. n. 5763 del 2002);

deriva che, a fronte del giudizio di cognizione
introdotto con l’opposizione della società, il giudice adito non ha omesso la
pronuncia, avendo deciso con la condanna al pagamento di una somma inferiore a
quella portata dalla cartella, né è andato ultra petita, pronunciandosi, come
richiesto, sulla esistenza dell’obbligo inerente il rapporto contributivo con
l’ENPALS sulla base del dato di fatto, acquisito sin dall’origine del giudizio,
che i contributi non erano stati versati a detto ente bensì alla cd. gestione
separata dell’INPS e ritenendo irrilevante la circostanza che si trattasse di
lavoratori subordinati o collaboratori coordinati e continuativi;

4. parimenti infondati il terzo ed il quarto motivo
di ricorso, con cui ci si duole, nella sostanza, che la Corte di Appello non
avrebbe indicato “le ragioni giuridiche della decisione”, invocando
sia il n. 4 che il n. 5 dell’art. 360 c.p.c.; è
appena il caso di rammentare (ex aliis, Cass. n. 28663 del 2013 e Cass. n. 2313
del 2010) che la mancanza di motivazione su una questione di diritto – e non di
fatto – è irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il
giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema
giuridico sottoposto al suo esame;

già le Sezioni unite di questa Corte nel 2008 (sent
n. 28054 del 25 novembre 2008) avevano statuito che il vizio di motivazione,
denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., può concernere
esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini
della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e
l’applicazione delle norme giuridiche, giacché – ove il giudice del merito
abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia
pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata,
illogica o contraddittoria – la Corte di Cassazione, nell’esercizio del potere
correttivo attribuitole dall’art. 384, secondo
comma, c.p.c., deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la
motivazione della sentenza impugnata; principio più di recente esteso dalle
Sezioni unite anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la
motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in
diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto
della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di
questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass. SS.UU. n 2731
del 2017);

5. per analoghe ragioni devono essere respinti gli
ultimi tre motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente in quanto riguardano
la questione della legittimazione passiva del concessionario della riscossione,
con cui si critica la sentenza impugnata per avere omesso la pronuncia sul
motivo di gravame con cui si sosteneva che “l’agente della riscossione è
litisconsorte necessario” e, comunque, per non avere spiegato le “ragioni
di diritto e giuridiche della decisione” sul punto;

invero la Corte territoriale non ha affatto omesso
la pronuncia quanto alla legittimazione passiva del concessionario della
riscossione, atteso che ha confermato la sentenza di primo grado, affermando
espressamente il difetto di legittimazione passiva di Equitalia Centro Spa e
condannando la società al pagamento delle spese di lite in favore di
quest’ultima evocata in giudizio;

la mancanza, poi, della motivazione in diritto di
tale statuizione può essere integrata con il principio espresso di recente da
questa Corte secondo cui: “in tema di riscossione dei contributi
previdenziali mediante iscrizione a ruolo, nel giudizio proposto dal debitore
con le forme dell’opposizione all’esecuzione per l’accertamento negativo del
credito risultante dall’estratto di ruolo non è configurabile un’ipotesi di
litisconsorzio necessario tra l’ente creditore e il concessionario del servizio
di riscossione, dovendosi attribuire alla chiamata in causa del concessionario
prevista dall’art. 24, comma 5,
del d.lgs. n. 46 del 1999, il valore di una mera “litis
denuntiatio”, intesa a rendere nota la pendenza della controversia ed
estendere gli effetti del futuro giudicato; né 
trova applicazione l’art.
39 del d.lgs. n. 112 del 1999, trattandosi di norma eccezionale che prevede
a carico del concessionario l’onere di chiamare in causa l’ente creditore solo
quando si discuta di vizi formali degli atti esecutivi e, al contempo, del
merito della pretesa creditoria” (v. Cass. n.
16425 del 2019, resa in seguito alla ordinanza interlocutoria di questa
Corte n. 19680 del 2018, che aveva sollecitato l’intervento nomofilattico della
Sezione Quarta finalizzato alla verifica della sussistenza della legittimazione
dell’Agente della riscossione, quale litisconsorte necessario, nelle
controversie aventi ad oggetto un debito di contributi soggetti a riscossione
mediante iscrizione a ruolo);

6. il quinto motivo – con cui si assume che,
“essendo i lavoratori di cui alla presente causa incontestabilmente
lavoratori autonomi e segnatamente appunto collaboratori coordinati e
continuativi, l’unico obbligo previdenziale per gli stessi previsto era quello
della loro iscrizione alla cd. gestione separata speciale istituita presso
l’INPS”, per cui sarebbe errata la conclusione della Corte territoriale in
base alla quale “per i collaboratori coordinati e continuativi Enpals i
corrispondenti contributi previdenziali devono essere versati in misura eguale
a quella dei lavoratori dipendenti invece che in quella prevista per la
Gestione separata” – è infondato; opportuna una sintetica ricognizione del
quadro normativo;

ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo del
Capo provvisorio dello Stato del 16 luglio 1947, n. 708 (disposizioni
concernenti l’Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori
dello Spettacolo), ratificato, con modificazioni, nella legge 29 novembre 1952, n. 2388, “l’ente
provvede nei limiti e con le modalità previste dal presente decreto: A)
all’assistenza in caso di malattia a favore degli iscritti e dei loro
familiari; B) alla concessione di prestazioni per i casi di vecchiaia e di
invalidità e per i superstiti”; il successivo art. 3, primo comma, dello
stesso decreto, statuisce che “sono obbligatoriamente iscritti all’Ente
tutti gli appartenenti alle seguenti categorie” elencando una serie di
figure professionali; pertanto nel settore dello spettacolo l’obbligo
assicurativo nasce per effetto dello svolgimento di una delle attività
artistiche, tecniche o amministrative analiticamente individuate nella
disciplina di settore, non venendo in rilievo l’attività svolta e
l’inquadramento previdenziale del datore di lavoro;

nello stesso art. 3 del d. Igs. n. 708 del 1947,
come ratificato, al secondo comma si legge che “con decreto del Capo dello
Stato, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale,
l’obbligo della iscrizione all’ente potrà essere esteso ad altre categorie di
lavoratori dello spettacolo non contemplate dal precedente comma”; in
applicazione di detta norma, l’obbligo assicurativo presso l’ENPALS è stato
progressivamente esteso ad altre figure professionali che erano invero estranee
alla nozione di spettacolo in senso stretto, valorizzandosi la finalità di
destinazione della prestazione all’intrattenimento, in senso lato (in termini,
Cass. n. 11377 del 2020);

l’art.
2, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182, ha poi previsto
la distinzione in tre gruppi dei lavoratori dello spettacolo, ai fini
dell’individuazione dei requisiti contributivi e delle modalità di calcolo
delle contribuzioni e delle prestazioni e il decreto
ministeriale 10 novembre 1997, in attuazione della delega conferita dal
citato art. 2, d. Igs. n. 182
del 1997, ha individuato le categorie dei soggetti assicurati al fondo
pensioni per i lavoratori dello spettacolo istituito presso l’ENPALS da
inserire, rispettivamente, nei summenzionati tre gruppi;

sulla scorta dell’art. 3, comma 2, secondo periodo,
del d. Igs. n. 708/47, come sostituito dall’art. 43, comma 2, I. n. 289 del 2002,
che conferisce al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, il potere di integrare o
ridefinire con decreto la distinzione in tre gruppi dei lavoratori dello
spettacolo, il D.M. 15 marzo 2005 ha infine
rimodulato la composizione dei citati tre gruppi, come individuati dal decreto legislativo n. 182 del 1997, senza alcuna
distinzione tra prestazione di lavoro subordinato o autonomo;

invero la complessa disciplina è stata interpretata,
sin dall’origine, nel senso che “il legislatore, … , ha voluto
predisporre una tutela previdenziale ad ampio raggio, non diversa da quella
elargita ai lavoratori dipendenti, a vantaggio di categorie di lavoratori
esplicanti la loro attività nel settore dello spettacolo e in relazione ai
quali non sempre è possibile distinguere se l’attività dai medesimi espletata
sia di lavoro subordinato o di lavoro autonomo (e senza, quindi, che sia
necessario previamente accertare la natura, autonoma o subordinata,
dell’attività prestata)” (così Cass. SS.UU. n.
581 del 1999; tra le numerose successive conf. Cass. n. 2109 del 2000 e
1930 del 2002);

l’intuizione originaria e lungimirante del
legislatore dell’epoca, assecondata dal descritto orientamento di legittimità,
evidentemente sul presupposto “degli esiti talvolta incerti e variabili
delle controversie qualificatorie ai sensi dell’art.
2094 cod. civ.” tanto più per lavoratori “operanti in una
“zona grigia” tra autonomia e subordinazione” (come più
recentemente sottolineato da Cass. n. 1663 del
2020 a proposito della nota vicenda dei “riders”), ha generato
una tutela assicurativa e previdenziale omogenea per i prestatori individuati
dall’appartenenza alle categorie descritte, prescindendo dalla qualificazione
dell’attività come autonoma o subordinata in un campo in cui il confine è
labile;

il D.M. 15 marzo 2005
colloca espressamente nel gruppo B gli “impiegati e operai dipendenti
dalle case da gioco, sale scommesse, sale giochi, ippodromi, scuderie di
cavalli da corsa e cinodromi”;

pertanto gli addetti alle “sale gioco”,
indipendentemente dalla natura della loro prestazione, sono assoggettati alla
contribuzione prevista per i lavoratori dello spettacolo e dello sport, che ha
carattere di specialità, in ragione della peculiarità delle prestazioni
lavorative e dell’assenza di continuità, rispetto alla generalità dei
lavoratori iscritti all’INPS e quindi non è applicabile, neanche quanto alla
misura, la disciplina della cd. Gestione separata di cui alla I. n. 335 del 1995, la quale è esclusa tutte le
volte in cui vi è un obbligo di iscrizione ad altra cassa previdenziale
suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata
prestazione previdenziale;

7. residua, da ultimo, il sesto motivo che non
merita condivisione; va premesso che il mancato esame, da parte del giudice di
merito, di una questione puramente processuale non può dar luogo ad omissione
di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame
di domande o eccezioni di merito (per tutte v. Cass. n. 22592 del 2015 con la
giurisprudenza ivi richiamata; più di recente, Cass. ord. n. 321 del 2016;
conf. Cass. n. 25154 del 2018), per cui non è configurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c. per la mancata “sospensione
del giudizio” richiesta ai sensi dell’art. 1, commi 1202 – 1210, legge
n. 296 del 2006; inoltre la censura difetta di specificità, in quanto non
riporta i contenuti dei  documenti sui
quali si fonda (in particolare l’accordo sindacale del 28 aprile 2007) né
deduce l’esistenza degli altri presupposti per il completamento della procedura
di stabilizzazione prevista dalla disciplina richiamata e che legittimerebbero
la sospensione;

8. conclusivamente il ricorso va respinto, con spese
che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore dell’INPS;
nulla va disposto per le spese in favore dell’intimata Equitalia Centro Spa che
non ha svolto attività difensiva;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228
del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13
(cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese in favore dell’INPS liquidate in euro 6.000,00, oltre
euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 novembre 2020, n. 24613
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