Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 novembre 2020, n. 25050

Tassa di ingresso alla mobilità, Pretesa impositiva
prescritta, Decorso del termine quinquennale ex art. 3, L. n. 335/1995, Natura di
contributo previdenziale della tassa di ingresso

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’appello di Lecce confermava la
sentenza del Tribunale della stessa città che aveva annullato la cartella
esattoriale con la quale era stato intimato a S. s.r.l. il pagamento di importi
a titolo di tassa di ingresso alla mobilità ai sensi dell’art. 5, comma 4, della legge n.
223 del 1991, ritenendo la pretesa impositiva prescritta per il decorso del
termine quinquennale di cui all’art.
3 della legge n. 335 del 1995, sul presupposto che detta tassa di ingresso
avesse natura di contributo previdenziale;

2. per la cassazione della sentenza l’INPS ha
proposto ricorso, anche per SCCI s.p.a., cui S. s.r.l. ed Equitalia sud s.p.a
non hanno opposto attività difensiva.

 

Considerato che

 

3. l’istituto previdenziale deduce la violazione e
falsa applicazione dell’articolo
5, comma 4, della I. n. 223 del 1991 e dell’articolo 3, comma 1, della I. 8
agosto 1995 n. 335, sostenendo che gli oneri posti a carico delle imprese
che collocano propri lavoratori in mobilità non siano da annoverarsi nella
categoria della contribuzione previdenziale e siano, pertanto, assoggettati al
termine di prescrizione ordinario decennale;

4. il ricorso non è fondato, dovendosi dare
continuità all’orientamento già espresso da questa Corte nella sentenza n. 2121
del 29.1.2018, che ha ritenuto la natura di contributo previdenziale degli
importi in questione ai fini dell’assoggettabilità alla prescrizione
quinquennale;

5. si è ivi condivisibilmente argomentato come, sul
piano letterale, sia agevole rilevare anzitutto che le somme in oggetto
previste dall’articolo 5 I. n.
223/1991 siano qualificate come “contributi” all’articolo 3, comma 3, della stessa
legge 223. Nella rubrica dell’art. 5 della I. 223/91 si
parla di oneri (in generale) a carico del datore, per ricomprendervi il
rispetto di ulteriori requisiti (di natura formale, procedurale e sostanziale)
e non per distinguere le somme in questione dai contributi. Inoltre, l’art. 4, comma 6, del D.M.
n.142/1993 assoggetta il mancato pagamento degli importi in questione alle
sanzioni civili di cui all’articolo
4 del d.l. n. 536/87 convertito in legge n.
48/88, riguardanti il mancato versamento dei contributi alle gestioni
previdenziali ed assistenziali;

6. si è aggiunto che, sul piano causale, si tratta
di somme che devono essere versate allo scopo di finanziare il pagamento di una
prestazione previdenziale come “l’indennità di mobilità”, che fa
fronte al bisogno derivante dalla perdita del lavoro a seguito di licenziamento
collettivo, ai sensi dell’art. 38, 2° comma, Cost.
e che è sostitutiva di ogni diverso trattamento stabilito contro la
disoccupazione involontaria. Esse affluiscono, secondo la legge, nella
“gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni
previdenziali, di cui all’articolo
37 della legge 9 marzo 1989, n. 88”;

7. si è ancora argomentato che, come si verifica per
i contributi in generale, in base al principio dell’automaticità delle
prestazioni, per i lavoratori in mobilità non ha rilievo se l’imprenditore
provveda o meno a pagare le somme a suo carico;

8. la I. n. 223
modula inoltre il contributo per l’indennità di mobilità con due diverse
modalità (al momento dell’apertura della procedura ed a prescindere da essa):
a) la somma di cui all’articolo
16 è posta a carico di tutte le imprese i cui dipendenti possano
beneficiare dell’indennità di mobilità ed i contributi vanno calcolati sulla
retribuzione assoggettabile al contributo integrativo per la assicurazione di
disoccupazione; b) inoltre l’indennità di mobilità è finanziata dagli
imprenditori che mettono effettivamente in mobilità i lavoratori allo scopo di
porre una remora ai licenziamenti e l’entità della somma varia a seconda se
prima della messa in mobilità si sia utilizzata o meno la Cigs; avendo la legge
voluto incentivare l’uso della Cigs prima della messa in mobilità. Il fatto che
la somma in questione conviva con quella prevista dall’art. 16 a carico di tutti i
datori di lavoro rientranti nell’orbita della disciplina della mobilità – della
cui natura contributiva nessuno dubita – non ha rilievo ai fini della
qualificazione di cui si discute; poiché anzi entrambe le somme servono al
finanziamento dell’indennità di mobilità ed affluiscono alla stessa gestione
degli interventi assistenziali di sostegno alle gestioni previdenziali di cui
all’articolo 37 della I. n.
88/1989;

9. va pure considerato che una parte della stessa
somma, il cosiddetto contributo di ingresso (calcolato su una mensilità di
massimale CIGS, per il numero di lavoratori che si intende licenziare) deve
essere pagata in anticipo, prima dell’inizio della procedura di mobilità.
Possono perciò verificarsi situazioni di saldo a credito per gli imprenditori
che abbiano rinunziato a collocare in mobilità i lavoratori o ne abbiano
collocati in numero inferiore a quello per cui è stato pagato il contributo di
ingresso (posto che la mensilità su cui computare il contributo per ogni
lavoratore effettivamente licenziato può essere inferiore, in quanto corrisponde
al trattamento mensile iniziale di mobilità). In tal caso, come previsto dall’art. 4, comma 10, della I. n. 223,
l’impresa in saldo attivo precede al recupero delle somme pagate in eccedenza
mediante conguaglio con i contributi dovuti all’Inps; l’operazione di
conguaglio o di rimborso va fatta determinando le somme versate in eccedenza e
trasmettendo quindi all’ufficio riscossione contributi della sede Inps
competente copia della comunicazione all’UPLMO sui risultati della
conciliazione sindacale e dell’elenco dei licenziati inviati all’URLMO. Anche
la disciplina del conguaglio conduce a considerare unitariamente la natura
delle somme pagate dal datore e ad affermare l’assoggettamento ad una medesima
disciplina della prescrizione;

10. nel richiamato arresto si è anche rilevato che
questa Corte di Cassazione ha sempre qualificato come contributi le somme in
questione, parificandone la disciplina a quella dei contributi: ai fini del
pagamento di essi da parte di società a capitale misto come i contributi dovuti
per la cassa integrazione (Cass. n. 8591/2017);
ai fini di evidenziarne la diversità dai rapporti contributivi e la irrilevanza
del giudicato in relazione ai diversi periodi di debenza (Cass. n. 7981/2016); per inferire ai sensi dell’art. 7, commi 11 e 12, della legge
23 luglio 1991, n. 223, che la contribuzione per l’indennità di mobilità
non è dovuta dai datori di lavoro che non sono tenuti ai contributi per la
disoccupazione involontaria (Cass. n. 8212/2014,
posto che l’indennità di mobilità “è regolata dalla normativa che
disciplina l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria,
in quanto applicabile. Ne discende che la contribuzione per la mobilità non è
dovuta allorquando non sia dovuta quella per la disoccupazione
involontaria”); per determinare le imprese tenute a versare il contributo
a loro carico solo con riferimento alle posizioni dei dipendenti posti in
mobilità che abbiano diritto all’indennità, ma non con riferimento alle
posizioni dei dipendenti posti in mobilità non aventi diritto ad usufruire
dell’indennità stessa (Cass. n. 14305/2007);

11. le argomentazioni fatte valere dall’INPS sono
state infine confutate, sul rilievo che le somme in questione rientrano de
plano nella stessa definizione di contribuzione dedotta dall’INPS in ricorso,
trattandosi appunto di “somme di danaro versate da parte del datore di
lavoro e/o del lavoratore agli enti previdenziali per la tutela previdenziale
rientrante sotto il secondo comma dell’articolo 38
Costituzione” ;

12. né il fatto che le somme in questione – accanto
allo scopo primario di finanziare il pagamento della indennità di mobilità –
tendano anche a porre un freno ai licenziamenti e siano diminuite ove si
raggiunga un accordo sindacale, costituiscono argomenti idonei ad incidere
sulla natura sostanziale primaria, facendo loro assumere una qualificazione
diversa rispetto alla varietà delle somme qualificate dalla legge come
contributi. E lo stesso vale per la mancanza di periodicità nel pagamento o per
la base imponibile commisurata al trattamento o per il fatto che nel periodo di
mobilità maturi la contribuzione figurativa. D’altra parte, occorre considerare
che proprio per la varietà dei tipi di contributi (obbligatori, volontari,
figurativi, addizionali, di solidarietà, ritenute, ecc.) e per la diversità
funzionale di cui sono contraddistinti, potrebbero sempre farsi valere
diversità estrinseche tra le tante figure di contributi regolate dalla legge,
allo scopo di affermare che l’una specie risulti dissimile rispetto all’altra;
anche in considerazione dei differenti istituti che sono destinati a finanziare
ed alla diversa legislazione vigente nel tempo (le quali pure giustificano
concezioni differenti sulla natura dei contributi in generale). Tutte
differenze che tuttavia non possono incidere sull’ appartenenza alla comune ed
ampia categoria dei contributi previdenziali;

13. decisivo appare comunque rilevare ai fini di
causa che, mentre non esiste una soluzione unica quanto alla definizione della
natura e della funzione dei contributi complessivamente considerati, tutti i
contributi, pur nella loro varietà tipologica, sono assoggettati alla medesima
disciplina della prescrizione (dettata dall’art. 3 I. n. 335/1995), alla
quale non c’è dunque alcuna ragione logico- giuridica per non sottoporre anche
le somme pagate dal datore per la collocazione in mobilità dei lavoratori;

14. alla luce di quanto sopra argomentato, la
sentenza si sottrae alle censure formulate col ricorso, che va di conseguenza
rigettato;

15. non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in
assenza di attività difensiva delle parti intimate;

16. ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.

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