Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 novembre 2020, n. 25396

Adibizione a mansioni incompatibili con la condizione di
accertata disabilità del lavoratore, Risarcimento del danno patrimoniale e non
patrimoniale, Onere a carico del ricorrente dell’allegazione e della prova
dell’esistenza di posizioni lavorative sedentarie

 

Rilevato

 

che, con sentenza del 21 aprile 2016, la Corte
d’Appello di Perugia, confermava la decisione resa dal Tribunale di Terni che
sulle domande proposte da A.B. nei confronti di A. S.p.A. e U. Assicurazioni
S.p.A. (già UGF Assicurazioni S.p.A.) da quest’ultima chiamata in causa,
domande aventi ad oggetto la condanna della Società datrice al risarcimento del
danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente all’adibizione del B. a
mansioni da accertarsi come incompatibili con la propria condizione di
accertata disabilità nonché all’emanazione di un provvedimento organizzativo
che ne consentisse la ricollocazione in una posizione lavorativa idonea e
dignitosa, aveva riconosciuto congrua la posizione di “operatore attività
ausiliarie sviluppo colore” assegnata al B. dalla Società datrice ove
svolta con l’uso di opportuni dispositivi di protezione individuale,
segnatamente dei guanti ad alto scorrimento e limitato, pertanto, il danno non
patrimoniale derivato al B. dalla sindrome del tunnel carpale di origine
professionale con il rigetto della domanda di manleva proposta dalla Società a
carico della compagnia assicurativa per essere la malattia professionale sorta
in epoca antecedente alla stipula del contratto di assicurazione; che la
decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata
l’eccezione di inammissibilità per genericità del ricorso in appello del B.
sollevata dalla Società, infondate le eccezioni del B. in ordine alla nullità
della sentenza, sia quella sollevata per omessa lettura del dispositivo in
udienza, viceversa risultante dal provvedimento impugnato, sia quella sollevata
per mancanza di contestualità tra dispositivo e motivazione, contraria al testo
della norma nonché quella relativa all’error in procedendo dato dalla
immotivata mancata ammissione della prova testimoniale da parte del primo
giudice, viceversa ampiamente argomentata, ed, altresì, infondate o
inammissibili le censure nel merito della pronunzia di primo grado date
dall’aver il Tribunale omesso di considerare le condizioni di salute del
ricorrente ai fini della valutazione della congruità delle mansioni offertegli,
viceversa presa in considerazione anche sotto il profilo della peculiare
modalità di sicura esecuzione della mansione stessa, dall’adesione acritica
alle conclusioni dell’espletata CTU medico-legale che sancivano la
compatibilità dell’impiego prospettato dalla Società, dalla conseguente
statuita congruità della posizione lavorativa offertagli, dalla mancata
liquidazione dei danni rivendicati, esclusa in ragione della mancata prova
delle condotte illegittime da cui sarebbero derivate;

che per la cassazione di tale decisione ricorre il
B., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resistono, con controricorso,
sia l’A. S.p.A. sia la U. S.p.A.; che tutte le parti hanno poi presentato
memoria;

 

Considerato che

 

con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare
la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 20 I. n. 482/1968, 2103, 2697 e 2729 c.c., imputa alla Corte territoriale l’aver
disatteso la regola che assume derivare dalla disciplina posta a tutela del
lavoro degli invalidi, nella specie data ratione temporis dall’invocata legge n. 482/1968, che impone all’impresa
l’inserzione dell’invalido in mansioni non operative, onerando l’impresa stessa
della prova dell’impossibilità di adeguarsi ad essa e l’essere incorsa,
altresì, nel gravare il ricorrente dell’onere di indicare le posizioni di
lavoro disponibili che sarebbero risultate rispettose dell’obbligo prospettato
a carico della Società datrice e facendone discendere, in difetto di tale
allegazione, l’inammissibilità della pretesa, nel malgoverno della regola sulla
distribuzione degli oneri probatori;

che, con il secondo motivo, denunziando la
violazione e falsa applicazione degli artt. 115
e 432 c.p.c., 1226,
2697 e 2729 c.c.,
il ricorrente, imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente rigettato la
domanda di risarcimento del danno motivato dal difetto di condotte illegittime,
causative del medesimo e ciò sulla base del rilievo per cui tutte le mansioni
affidate al ricorrente, siccome ontologicamente diverse e contrastanti con le
mansioni “sedentarie” all’invalido riservate per legge, dovrebbero
considerarsi illegittime ed espressione di un diffuso inadempimento del datore;

che entrambi i motivi, i quali possono essere qui
trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, per essere parimenti
fondati sull’assunto per cui, per legge, il ricorrente avrebbe avuto diritto,
sin dalla data della sua assunzione, all’adibizione a mansioni sedentarie, con
onere a carico dell’impresa di provarne l’impossibilità, onere nella specie
illegittimamente rovesciato a carico del ricorrente gravato dell’allegazione e
della prova dell’esistenza di posizioni lavorative di quel tipo, error in
procedendo che ha finito per condizionare l’espletata CTU, limitata
nell’accertamento della disponibilità nel tempo di quelle posizioni e inibita
negli effetti connessi alla verifica dell’attuale disponibilità di quelle
posizioni in ragione del difetto di allegazione, devono ritenersi infondati,
per essere il richiamato assunto smentito dalla stessa previsione invocata, l’art. 20 I. n. 482/1968, del
resto poi ribadita dall’art. 10,
I. n. 68/1999, secondo cui è in facoltà al datore di adibire il prestatore
invalido a mansioni diverse da quelle per le quali fu assunto purché
compatibili con le condizioni di salute dell’invalido, previsione che legittima
le scelte procedurali dei giudici del merito quanto all’accertamento compiuto,
incentrato sulla compatibilità delle mansioni offerte con lo stato di
invalidità, emersa con chiarezza dall’espletata CTU, legittimazione da cui
discende la correttezza della gestione dell’onere probatorio, posto sotto tale
profilo a carico della Società datrice, della valutazione circa
l’inconfigurabilità di condotte illegittime della Società, della qualificazione
in termini di inammissibilità della pretesa all’assegnazione a mansioni diverse
a fronte della mancata contestazione della compatibilità di quelle offerte;

– che il ricorso va, dunque, rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento in favore di ciascuno dei contro ricorrenti delle spese del presente
giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.250,00
per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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