Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 novembre 2020, n. 25402

Causale del contratto di somministrazione era ammissibile e
sufficientemente specifica, Indicativa delle oggettive esigenze aziendali e
riproducente l’espressione utilizzata dal CCNL, Necessità di una verifica
diretta ad accertare la effettiva esistenza delle esigenze alle quali si
ricollega l’assunzione del singolo dipendente, Finalità di escludere il
rischio di ricorso abusivo a forme sistematiche di sostituzione del personale

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Pesaro accoglieva la domanda
proposta da R.V., intesa ad ottenere la declaratoria di sussistenza di un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato conseguente all’illegittimità del
contratto di somministrazione di lavoro intercorso fra la s.r.l. A.E. e la H. e
delle successive tre proroghe, e, dichiarata la nullità del contratto e la
sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la
società utilizzatrice e la lavoratrice, condannava la A.E. al risarcimento del
relativo danno.

2. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza
dell’8.2.2016, accoglieva l’appello principale proposto dalla società A.E.
s.r.l. ed, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda della
V., rilevando che la causale del contratto di somministrazione era ammissibile
e sufficientemente specifica sia perché indicativa delle oggettive esigenze
aziendali attinenti al settore produttivo, sia perché riproducente
l’espressione utilizzata dal c.c.n.I., potendo il riferimento alle “punte
di intensa attività”, riferita a quattro nuove commesse, costituire valido
motivo di ricorso alla somministrazione, per essere nel caso esaminato
l’urgenza di assunzione di manodopera a ciò conseguente dimostrata dalla prova
orale espletata.

2.1. La Corte distrettuale respingeva, invece,
l’appello incidentale condizionato della lavoratrice, osservando come, anche
per le proroghe, le emergenze non prevedibili avevano giustificato il ricorso
alle stesse.

3. Di tale decisione domanda la cassazione al V.,
affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la
società A.E., che ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. La H. è rimasta intimata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, la ricorrente denunzia
violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma 4, d. Igs. 276/2003,
dell’art. 21, co. 1. lett. c del
d. Igs. 276/2003 e del d. Igs. 368/2001, in
relazione alla mancanza di motivazione sottesa al ricorso alla somministrazione
di lavoro, sostenendo che, mentre le punte di intensa attività sono
controllabili e denotano un’esigenza transitoria, altra cosa è che l’assunzione
avvenga per l’esecuzione di più commesse, mancando addirittura l’esigenza
temporanea stessa, e che, peraltro, la ripetizione di una formula legale non
può, per definizione, che essere generica e come tale non rilevante ai fini
considerati.

2. Con il secondo motivo, la V. lamenta violazione e
falsa applicazione dell’art. 20,
comma 4, del d. Igs, 276/2003, dell’art. 21 c. 1, lett. c) del medesimo
d. Igs. e del d. Igs. 368/2001, in relazione
alla erronea valutazione in diritto della causale della somministrazione di
lavoro e delle proroghe contrattuali, adducendo che la Corte non abbia
correttamente interpretato le risultanze probatorie che avevano, al contrario,
dimostrato l’assoluta mancanza di motivazioni in capo alla società per
utilizzare l’istituto della somministrazione, evidenziando, in particolare, che
una delle commesse fosse a fine ciclo, il che rendeva evidente che non potesse
costituire una ragione legittimante l’apposizione del termine per essere la
fase espansiva del lavoro cessata da tempo.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente ascrive alla
decisione violazione degli artt.
20 e 21 d. Igs. 276/2003, in relazione all’art. 1 del d. Igs. 368/2001,
nella parte in cui la Corte non ha esaminato in modo conforme a diritto la
causale del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato,
limitandosi a riportare il contenuto di decisioni della Suprema Corte relative
alla necessità di sufficiente specificazione della causale e della ragione
giustificativa del ricorso alla somministrazione per renderne possibile il
controllo di effettività e ritenendo che le esigenze richiamate integrassero
nulla più che una clausole di stile.

4. Il primo motivo va disatteso in quanto, come è
noto, la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili
all’ordinaria attività dell’impresa.

4.1. La norma introduce una causale ampia, non
legata a specifiche situazioni tipizzate dal legislatore o dal contratto
collettivo, per cui si impone più che mai la necessità di una verifica diretta
ad accertare, non la temporaneità o la eccezionalità delle esigenze
organizzative richieste per la somministrazione a termine (come, invece,
previsto espressamente dalla norma transitoria di cui al D.Lgs, n. 276 del 2003, art. 86,
comma 3, diretto a mantenere in vita fino alla scadenza le clausole dei
contratti collettivi stipulati ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 1),
quanto, piuttosto, la effettiva esistenza delle esigenze alle quali si
ricollega l’assunzione del singolo dipendente, allo scopo di escludere il
rischio di ricorso abusivo a forme sistematiche di sostituzione del personale
atte a mascherare situazioni niente affatto rispondenti a quelle contemplate
dalla norma di cui al D.Lgs. n.
276 del 2003, art.20, comma 4, o se non addirittura il rischio del
superamento del limite rappresentato dalla necessità che non siano perseguite
finalità elusive delle norme inderogabili di legge o di contratto collettivo
atte ad integrare l’ipotesi, sanzionata, della somministrazione fraudolenta
(cfr. Cass. 22.11.2019 n. 30563, con richiamo, in particolare, a Cass. 15/07/2011 n. 15610).

4.2. Correttamente la Corte d’appello ha affrontato
la questione pervenendo alla conclusione che, poiché il controllo giudiziario
sulle ragioni che consentono la somministrazione è limitato per legge
all’accertamento dell’esistenza di quelle stesse ragioni che la norma pone a
base del ricorso ad una tale tipologia di contratto e non può estendersi, ai
sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003,
art. 27, comma 3, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative
dell’utilizzatore, rimane ferma la necessità che la società convenuta in
giudizio dia la dimostrazione della effettiva esistenza dell’esigenza alla
quale si ricollega la singola assunzione del lavoratore.

4.3. Tale soluzione è perfettamente logica in quanto
risponde alle suddette esigenze di verifica del rispetto del summenzionato
dettato normativo di cui al D.Lgs.
n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, sulle causali che consentono il ricorso
alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, oltre che del divieto di
ricorso a forme di somministrazione fraudolenta. Nella specie la ragione
giustificativa è stata ritenuta assistita da adeguata dimostrazione attraverso
l’espletamento della prova orale e tanto è sufficiente per ritenere la
pronuncia conforme ai principi affermati in materia.

5. Il secondo motivo si incentra su considerazioni
che denotano una interpretazione delle prove e ricostruzione dei fatti
effettuate dalla ricorrente in maniera antitetica a quella effettuata dalla
Corte, ciò che non può costituire valido fondamento della deduzione di
violazione di legge quale contenuta nel motivo di ricorso, che come tale è
inammissibile.

6. Quanto alla dedotta necessità – delineata nel
terzo motivo – di applicare la formulazione originaria dell’art. 1 d. Igs. 368/2001,
correlata alla necessità di motivare in maniera dettagliata il ricorso alla
somministrazione di lavoro a tempo determinato per evitare abusi o abili
forzature della normativa e dell’intento del legislatore, è sufficiente il
richiamo a Cass. 13515 del 20.5.2019, a tenore
della quale “se, come ancora recentemente è stato ribadito (Cass. 14 marzo 2018, n. 6152), per alcuni aspetti
il contratto di lavoro somministrato può essere accostato, sotto il profilo
funzionale, al contratto a tempo determinato, essendo entrambi strumenti
obiettivamente alternativi di acquisizione, diretta e indiretta, di prestazioni
lavorative temporanee, il primo si distingue tuttavia in modo chiaro dal
secondo”. E’ stato evidenziato come “il contratto di somministrazione
è un contratto commerciale tipico, collegato funzionalmente al contratto di
lavoro somministrato stipulato dal lavoratore con l’agenzia di
somministrazione, con il coinvolgimento pertanto di tre soggetti (anziché due).
Anche le finalità sono diverse, come si evince dalla Direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite
agenzia interinale e recepita con il d. Igs.
24/2012, che, a differenza della Direttiva
1999/70/CE, non pone l’obiettivo della prevenzione dell’abuso del ricorso
alla somministrazione. E ciò perché l’impiego tramite l’agenzia interinale non
è considerato pericoloso, essendo apprezzato come forma di impiego flessibile,
in quanto può concorrere “efficacemente alla creazione di posti di lavoro
e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili” (art. 4). La Direttiva
impegna anzi gli Stati membri ad un “riesame delle restrizioni e
divieti”, che limitano il ricorso alla somministrazione (art. 4), presenti negli
ordinamenti nazionali e che possono essere giustificati “soltanto da
ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei
lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e
sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del
mercato del lavoro e la prevenzione di abusi”. Sicché, in linea con i
suddetti tratti identificativi del contratto di somministrazione come innanzi
definiti, alle ragioni indicate nell’art. 20, quarto comma d. Igs.
276/2003 è stato attribuito il significato di presupposti giustificativi
oggettivi ed effettivamente sussistenti, nella distinzione di significato e
ratio delle norme relative al contratto a termine da quelle relative alla
somministrazione, non richiedendo che l’enunciazione delle ragioni risponda a
quel livello di dettaglio proprio del primo tipo di contratto (Cass. 6 ottobre 2014, n. 21001, con ampio
richiamo di precedenti conformi in motivazione e più specifico riferimento alla
sufficiente specificità delle ragioni del ricorso al lavoro in
somministrazione, indicate in “punte di intensa attività derivanti dalla
acquisizione di commesse che prevedono inserimento in reparto
produttivo”).

6.1. Questa Corte ha pure recentemente richiamato
(Cass. 19 marzo 2019, n. 7637) la preclusione della possibilità di scrutinare
la legittimità del contratto di somministrazione sulla base delle regole
previste in materia di lavoro a termine alla luce del recente arresto della
Corte di Giustizia europea, che ha chiarito come il lavoro somministrato o
interinale non sia soggetto all’accordo quadro e alle direttive comunitarie in
materia di lavoro a termine, imponendo così di mantenere distinti e separati i
due ambiti normativi (CGUE 11 aprile 2013, Della
Rocca, in causa C-290/12).

7. Tutte le ragioni esposte conducono al rigetto
dell’impugnazione.

8. Le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza della ricorrente e sono liquidate, in favore della A.E. srl, nella
misura indicata in dispositivo. Nulla va statuito per le spese nei confronti
dell’altra società che non ha svolto alcuna attività difensiva.

9. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 5250,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese
generali in misura del 15%. Nulla per spese nei confronti della parte rimasta
intimata.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 novembre 2020, n. 25402
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