Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 novembre 2020, n. 24379

Avvocati, Pratica professionale, Iscrizione anticipata nel
registro dei praticanti, Requisiti, Studenti in regola con gli esami e
iscritti all’ultimo anno regolare del corso di laurea

 

Fatti di causa

 

Il Consiglio Nazionale Forense, con decisione del 16
dicembre 2019, ha rigettato il ricorso di M.C.B. avverso la delibera del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano, che aveva rigettato la sua
istanza di iscrizione anticipata nel registro dei praticanti per svolgere il
tirocinio prima del conseguimento del diploma di laurea, ai sensi della «Nuova
disciplina dell’ordinamento della professione forense», di cui all’art. 41, comma 6, lett. d) della
legge 31 dicembre 2012, n. 247.

La B. sosteneva di avere diritto all’iscrizione
anticipata perché era iscritta all’ultimo anno del corso di laurea magistrale
in giurisprudenza presso l’Università N.C. di Roma, aveva ultimato gli esami,
era in procinto di ultimare la tesi di laurea e aveva lavorato presso l’ufficio
legale di un istituto di credito collaborando con un avvocato.

Il Consiglio Nazionale Forense rilevava, tuttavia,
che l’interessata, pur essendo in regola con gli esami dei primi quattro anni,
era fuori corso da due anni, sicché non trovava applicazione la disposizione
invocata che richiedeva la regolarità della iscrizione all’ultimo anno del
corso, da intendere come rispetto della durata legale del corso stesso, nel
senso che l’inizio dello svolgimento del tirocinio deve avvenire al quinto anno
di iscrizione e non negli anni successivi.

Avverso questa decisione la B. ha proposto ricorso
per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati da memoria.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano
non ha svolto attività difensiva.

 

Ragioni della decisione

 

Il primo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 3 e 4 della convenzione-quadro, stipulata il 24
febbraio 2017 tra il CNF e la Conferenza Nazionale dei Direttori di
Giurisprudenza che, ai fini dell’ammissione all’anticipazione del tirocinio,
richiedono soltanto che il richiedente sia in regola con gli esami di profitto
dei primi quattro anni ed abbia ottenuto crediti nei sette principali settori
scientifico-disciplinari, non essendo invece richiesto che l’iscrizione avvenga
al quinto anno del corso di laurea.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 della convenzione stipulata il 12 marzo 2018 tra
l’Ordine degli Avvocati di Milano e l’Università U., che pone il solo requisito
qualitativo della media dei voti agli esami (27/30) e non quello quantitativo
inerente al numero degli anni di iscrizione.

Il terzo e il quarto motivo denunciano,
rispettivamente, violazione dell’art.
3 della legge 8 agosto 1990, n. 241, in tema di motivazione dei
provvedimenti amministrativi (che si assume omessa, «erronea, carente, confusa
e perplessa» ed «eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche»), e
degli artt. 41, comma 6, lett.
d), della legge 31 dicembre 2012, n. 247, e 5, comma 4, del d.m. 17 marzo 2016,
n. 70, per avere richiesto un requisito di ammissione al tirocinio
anticipato – quello di non essere fuori corso – non previsto dalla legge che,
in particolare, non fa riferimento al «quinto anno» o all’«ultimo anno del
corso legale», ma solo all’«ultimo anno del corso di studio» ai fini
dell’iscrizione anticipata nel registro dei tirocinanti.

I suddetti motivi, reciprocamente connessi e da
esaminare congiuntamente, sono infondati.

Le critiche illustrate dalla ricorrente non
scalfiscono la correttezza in diritto della decisione impugnata, le cui
argomentazioni si fondano sul dato testuale dell’art. 41, comma 6, della legge n. 247
del 2012, secondo cui «Il tirocinio può essere svolto: (…) per non più di
sei mesi, in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della
laurea, dagli studenti regolarmente iscritti all’ultimo anno del corso di
studio per il conseguimento del diploma di laurea in giurisprudenza».

II riferimento all’«ultimo anno del corso di
studio», diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non può essere
inteso come ultimo anno, qualunque esso sia, del corso di studio, ma
necessariamente come l’ultimo del corso legale al quale si sia «regolarmente
iscritti» che, appunto, è il quinto anno.

Questa conclusione non è smentita, ma indirettamente
avvalorata dal d.m. n. 70 del 2016
che, all’art. 5, comma 4, fa riferimento alla «durata legale del corso»
proprio con riferimento allo studente praticante che non consegua il diploma di
laurea «entro i due anni successivi», imponendogli di «chiedere la sospensione
del tirocinio per un periodo massimo di sei mesi, superato il quale, se non
riprende il tirocinio, è cancellato dal registro e il periodo di tirocinio
compiuto rimane privo di effetti».

Ad una opposta conclusione non può pervenirsi alla
luce delle due convenzioni sopra indicate, stipulate ai sensi dell’art. 40, comma 1, della legge n. 247
del 2012, la cui eventuale violazione non è censurabile in termini di
violazione di norme di diritto, a norma dell’art.
360, n. 3, c.p.c., non potendosi riconnettere ad esse la natura né le
caratteristiche delle norme di legge. Si tratta, infatti, di atti negoziali di
cui la legge prevede l’adozione nell’ottica della «piena collaborazione tra le
facoltà di giurisprudenza e gli ordini forensi» (art. 40, comma 2), ai quali è
possibile riconnettere, al più, un valore di fonte normativa integrativa, non
essendo tuttavia (le disposizioni convenzionali ivi previste) suscettibili di
affermarsi come regole autonome di carattere generale, vincolanti e derogative
del precetto legislativo.

La ricorrente ha sviluppato nella memoria, di cui
all’art. 378 c.p.c., censure ed argomenti
nuovi, mentre è noto che le memorie sono destinate esclusivamente ad illustrare
ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero a confutare le tesi avversarie,
ma non a sollevare nuove questioni né a proporre nuove censure, che non siano
rilevabili d’ufficio, né a specificare, integrare o ampliare il contenuto dei
motivi originari di ricorso (vd. Cass. n. 17893 del 2020, n. 24007 del 2017).

La questione (non formulata a pag. 2 e 3 del
ricorso, contrariamente a quanto sostenuto nella memoria) relativa
all’affermata impossibilità di presentare la domanda di ammissione al tirocinio
anticipato prima che fosse tardivamente stipulata la convenzione tra l’Ordine
degli Avvocati di Milano e l’Università U., in data 12 marzo 2018, a causa del
ritardo nell’emanazione del d.m. n. 70 del 2016,
non è comunque rilevante, perché non idonea a superare il fatto impeditivo, non
specificamente contestato, che la B., al momento della domanda in data 30 marzo
2018, era fuori corso e, dunque, non legittimata ad ottenere l’iscrizione
anticipata. L’art. 41, comma 6,
lett. d), della legge n. 247 del 2012, prevedendo l’anticipazione del
tirocinio «nel caso previsto dall’art.
40», condiziona il relativo diritto degli studenti regolarmente iscritti
all’ultimo anno del corso di studio al fatto che siano stipulati gli accordi
tra i consigli dell’ordine degli avvocati e le università per la disciplina dei
rapporti reciproci, come risulta anche dal d.m. n.
70 del 2016, che prevede, all’art. 5,
comma 6, che «la stipula di tali convenzioni è condizione per l’anticipazione
del semestre di tirocinio durante il corso di studi».

La censura di violazione della Direttiva n. 2000/78/CE, in tema di
discriminazioni, è nuova (non formulata a pag. 5 del ricorso, contrariamente a
quanto sostenuto nella memoria) e, comunque, formulata in modo astratto, poco
comprensibile e inidonea a scalfire l’interpretazione della normativa offerta
dal Consiglio Nazionale Forense, la quale è coerente con la ratio legis di
consentire agli studenti più impegnati nello studio, in regola con gli esami e
non fuori corso, di anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro.

Con riguardo infine alla censura inerente alla
natura amministrativa e non giurisdizionale della decisione impugnata del
Consiglio Nazionale Forense, che si assume «[potesse] decidere solo in veste di
ente pubblico amministrativo», è anch’essa nuova e formulata in modo del tutto
astratto, non specificandosi neppure quali siano le conseguenze lesive della
asserita violazione di legge connessa al «rango di sentenza» della decisione
impugnata.

In conclusione, il ricorso è rigettato; nessuna
statuizione va adottata in punto di spese, mancando avversa attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del dPR n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228
del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in
misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13.

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