I proventi derivanti da carried interest, alle condizioni previste dall’art. 60 del D.L. n. 50/2017, generano redditi di natura finanziaria (di capitale o diversi) e non redditi di lavoro dipendente. Tali condizioni sono da intendere in maniera rigorosa.

Anche ove non siano rispettate tali condizioni, non è comunque esclusa la possibilità di considerare le remunerazioni di tali strumenti quali redditi di natura finanziaria.

Nota a AdE Risposte nn. 435 e 436 del 2 ottobre 2020 nonché Risposta n. 473 del 14 ottobre 2020

Francesco Palladino

L’Agenzia delle entrate, con le Risposte nn. 435 e 436 del 2 ottobre 2020 nonché Risposta n. 473 del 14 ottobre 2020, ha fornito rilevanti chiarimenti sul trattamento fiscale da riservare ai proventi derivanti dalle azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati di cui all’art. 60 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (c.d. Carried Interest), percepiti da coloro che intrattengono un rapporto di lavoro dipendente o assimilato con società, enti o società di gestione dei fondi d’investimento.

Tali strumenti comportano una partecipazione agli utili proporzionalmente maggiore rispetto a quelli degli altri investitori e presuppongono che la generalità dei soci abbia ottenuto il rimborso del capitale investito, oltre ad un rendimento adeguato. Il maggior rendimento connesso agli strumenti finanziari in esame è denominato “carried interest” e rappresenta una forma di incentivo riconosciuto, al realizzarsi di determinati risultati, ai soggetti maggiormente esposti al rischio derivante dall’investimento.

Questi strumenti ponevano un problema circa l’esatta qualificazione reddituale da dare ai proventi che producono. Infatti, considerato il duplice ruolo rivestito dai loro titolari in seno alle società, vale a dire amministratore o dipendente, per effetto dell’esistenza di un rapporto di lavoro (e quindi possibili titolari di un reddito di lavoro dipendente o assimilato) e azionista/quotista, per effetto della titolarità di tali strumenti (e quindi anche possibili titolari di reddito di natura finanziaria), era in dubbio se, alla luce del principio di omnicomprensività del reddito da lavoro dipendente ex art. 51 TUIR, dovesse prevalere la qualificazione dei connessi proventi come redditi di lavoro, piuttosto che come redditi (di capitale o diversi) di natura finanziaria. Di principio, il predetto principio di omnicomprensività è, infatti, idoneo a ricomprendere nell’alveo del reddito da lavoro dipendente ogni erogazione riconducibile al rapporto di lavoro (inclusi i compensi erogati in natura). Si poneva, in altri termini, il problema circa quale delle due “anime” dovesse prevalere.

L’art. 60 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 risolve la situazione prevedendo che detti proventi siano “in ogni caso” ricondotti nel novero dei redditi di natura finanziaria e siano, dunque, qualificati come di capitale (se si tratta dei proventi derivanti dall’incasso di cedole) o diversi (se si tratta dei proventi derivanti dalla loro negoziazione) e non già come redditi di lavoro dipendente. Occorre tuttavia il rispetto di talune condizioni:

a) l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori titolare dei titoli, deve comportare un esborso effettivo pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo effettuato dall’OICR o del patrimonio netto (capitale sociale più riserve) nel caso di società od enti;

b) i proventi dei titoli che assicurano diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i quotisti dell’OICR o i soci della società hanno percepito un ammontare pari al capitale investito e un rendimento minimo previsto nel regolamento dell’OICR o nello statuto della società (c.d. hurdle rate), ovvero, in caso di cambio di controllo (o di gestione), alla condizione che gli altri quotisti o soci abbiano realizzato, con la cessione, un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito ed al suddetto rendimento minimo;

c) i titoli con diritti patrimoniali rafforzati devono essere detenuti dai dipendenti e dagli amministratori (o dai loro eredi) per un periodo non inferiore a 5 anni o, qualora precedente, al cambio del controllo della società o del gestore per l’OICR.

In particolare, in merito al requisito sub a), l’Agenzia delle entrate, con la Risposta n. 435/2020, ha chiarito che la carenza del requisito minimo dell’investimento non esclude aprioristicamente la natura finanziaria dei proventi da carried interest. Anche in assenza di tale requisito, i rendimenti di titoli con diritti patrimoniali rafforzati possono essere inquadrati tra i redditi di natura finanziaria, se:

  • l’ammontare degli importi investiti dai manager, pur non raggiungendo l’1% del capitale del fondo, risulta in ogni caso significativo in valore assoluto;
  • l’assunzione del rischio derivante dall’investimento non sia esclusa nemmeno dalla presenza di clausole di leavership, ossia dalla presenza di clausole che disciplinano le conseguenze economiche derivanti dalla cessazione dell’attività lavorativa;
  • la circostanza per cui viene attribuito un diritto a beneficiare del carried interest anche a soggetti non legati alla società da rapporti di lavoro dipendente o di amministrazione, costituisce un elemento atto ad escludere un collegamento tra detenzione di quote e prestazione lavorativa e al contempo costituisce garanzie per l’allineamento di interessi e rischi tra i manager e gli altri investitori.

Occorre però il rispetto degli ulteriori requisiti: la postergazione del riconoscimento del carried rispetto all’hurdle rate e un periodo minimo di investimento.

Il requisito dell’investimento minimo, per la Risposta n. 436/2020, è rispettato tenendo conto “degli importi effettivamente pagati dai manager che partecipano al piano di incentivazione”. Pertanto, ai fini del calcolo del raggiungimento del valore soglia minimo dell’1% del valore del patrimonio netto della Società, deve essere considerato l’effettivo esborso monetario sostenuto dai manager non potendo valere una stima basata sul presunto valore del patrimonio sociale.

Tale regime si applica ai manager, dipendenti o amministratori del soggetto emittente ovvero di altro controllato dal soggetto emittente. Ne consegue che lo stesso non trova applicazione allorquando i proventi derivanti da carried interest sono percepiti da dipendenti e/o amministratori di altre società che non sono legate da un rapporto di controllo, nemmeno indiretto, con la società emittente. In tal caso, dunque, difetta il presupposto soggettivo richiesto dall’art. 60, sicché occorre valutare la natura reddituale dei proventi percepiti dai manager alla luce delle altre disposizioni del TUIR. Queste le conclusioni cui è giunta l’Agenzia delle entrate con la Risposta n. 473/2020. Nel caso di specie sussistevano, comunque, indici per considerare i proventi percepiti dai titolari di tali strumenti quali redditi di capitale in quanto detti strumenti comportavano un effettivo rischio di perdita del capitale investito ed avevano una remunerazione parametrata alle distribuzioni degli utili netti di esercizio e delle riserve distribuibili da parte dell’emittente.

Carried Interest tra requisiti oggettivi e soggettivi
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