Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 novembre 2020, n. 24770

Licenziamento con esonero dal preavviso, Indennità
supplementare ex art. 19 CCNL
Dirigenti industria, e declaratoria del diritto dell’incidenza dei benefits
in godimento sul TFR e sull’indennità sostitutiva del preavviso, Compenso
della prestazione lavorativa non connesso al disagio

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato il 4.5.2010 A.D. si rivolgeva
al Tribunale di Udine, esponendo di aver lavorato alle dipendenze della società
D. & C. officine Meccaniche s.p.a. dal mese di agosto 2005 come dirigente e
direttore di produzione, di essere poi stato incaricato, nel giugno 2008, di
attendere pure al nuovo stabilimento sito in Cina; di avere sempre operato con
dedizione e scrupolo sino a che, nell’ aprile 2009, era stato licenziato con
esonero dal preavviso; di ritenere illegittimo detto licenziamento cui si era
opposto senza esito. Delineava poi il ricorrente le ragioni che giustificavano
la sua iniziativa giudiziale, definiva le proprie pretese per chiedere infine
dichiararsi la nullità e/o illegittimità del licenziamento ed ordinarsi alla
società la sua reintegra nel posto di lavoro col risarcimento del danno
previsto dall’art.18 L. n.
300/70.

Resisteva la società.

Istruita la causa mediante escussione di testi, la
causa veniva decisa con sentenza non definitiva n. 296/13 con cui, rigettata
ogni altra domanda, si accertava l’ingiustificatezza del licenziamento con
condanna della società al pagamento dell’indennità supplementare ai sensi dell’art. 19 c.c.n.I. dirigenti
industria, e declaratoria del diritto del D. all’incidenza dei benefits in
godimento sul t.f.r. e sull’indennità sostitutiva del preavviso, disponendo con
separata ordinanza rinvio per la quantificazione del credito mediante c.t.u.
contabile all’esito della quale il Tribunale, con sentenza definitiva n.
126/16, condannava la società resistente a corrispondere al D. €.210.096,81 a
titolo di indennità supplementare, €. 41.098,26 a titolo di indennità
sostitutiva del preavviso ed euro 13.369,76 a titolo di TFR, oltre interessi e
rivalutazione come per legge; compensava per un quarto le spese, ponendo il
residuo a carico della società.

Contro entrambe le decisioni sopra citate hanno
proposto appello principale ed incidentale, rispettivamente, la società ed il
dirigente.

Con sentenza depositata il 18 aprile 2016, la Corte
d’appello di Trieste respingeva sia l’appello principale proposto dalla società
D. & C, sia quello incidentale proposto dal dirigente.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
la società, affidato a due motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste il
D. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2118
c.c. e 19 c.c.n.I. per i
dirigenti settore industria, avendo a suo dire i giudici di merito
dichiarato la ingiustificatezza del licenziamento applicando sostanzialmente
l’obbligo di repechage al rapporto di lavoro dirigenziale.

Osserva il Collegio che tale doglianza, seppure
generata da alcune ambigue affermazioni della sentenza impugnata (che rilevava
che il D. lavorò a lungo sia in Italia che in Cina, sicché non poteva
affermarsi che non vi era altra possibilità di lavoro in Italia, come dedotto
dall’azienda), e pur teoricamente , fondata (cfr. Cass.
n. 3175/13, secondo cui in caso di licenziamento del dirigente d’azienda
per esigenze oggettive è esclusa la possibilità del “repechage”), non
tiene conto dell’effettivo accertamento compiuto dal collegio d’appello in base
alla lettera di licenziamento del dirigente, basata sulla impossibilità, dopo
la decisione dell’azienda della conclusione del lavoro in Cina, di adibire il
D. ad altre mansioni.

La Corte triestina ha accertato che il dirigente era
dal febbraio 2008 addetto sia allo sviluppo dello stabilimento italiano di B.
che delle nuove attività all’estero (Cina) e che, inoltre, al momento del
distacco in Cina, si asseriva che al termine il dirigente sarebbe stato
inserito nei ruoli italiani societari; che durante il biennio di lavoro in Cina
(2008-2009) il D. lavorò per vari periodi, anche di un anno ed inframezzati
periodi più brevi, in Italia, sicché non poteva ritenersi che nel nostro Paese
egli non fosse occupabile.

In sostanza la Corte di merito ha accertato, sulla
base della lettera di licenziamento, che non sussistesse una ragione obiettiva
per il licenziamento del D.

Il motivo è dunque infondato.

2. – Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2120,
co.2, e, 2121 c.c, nonché dell’art. 19 del c.c.n.I. citato,
avendo i giudici merito incluso nel computo dell’indennità supplementare
l’indennità estero percepita dal dirigente.

Il motivo è infondato, risultando dagli atti e
comunque avendo i giudici di merito accertato, che il D. percepì l’indennità
estero per tutto il periodo in cui lavorò in Cina (v. pag 18 ricorso), ed anche
nei frequenti intervalli lavorativi in Italia (di durata di qualche settimana e
talvolta di qualche mese o addirittura annuale), sicché era a tutti gli effetti
un compenso della prestazione lavorativa non connesso al disagio della
prestazione in Cina, bensì stabile e continuativo (v. art.24 c.c.n.I.che
richiama quanto previsto dal novellato art. 2120
c.c.).

Anche tale motivo è dunque infondato.

3. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la società al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per
esborsi, €.8.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella
misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12
n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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