Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2020, n. 26160

Verbale ispettivo INPS, Pagamento della contribuzione
relativa agli importi dell’indennità sostitutiva di ferie non godute, Divieto
di monetizzazione del mancato godimento delle ferie, Debito contributivo
configurabile dal diciottesimo mese successivo al mancato godimento

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 138 del 2013, la Corte d’appello
di Perugia ha accolto l’impugnazione proposta da C. s.p.a. avverso la sentenza
di primo grado di rigetto del ricorso in opposizione a verbale ispettivo con il
quale l’INPS aveva richiesto il pagamento della contribuzione relativa agli
importi dell’indennità sostitutiva di ferie non godute da tredici dipendenti
della società nonostante il decorso di diciotto mesi dalla maturazione.

2. La Corte territoriale, argomentando dai contenuti
della normativa interna ed europea che regola il diritto alle ferie e dalla
assoluta irrinunciabilità del periodo feriale di 4 settimane per anno, cui
consegue il divieto di monetizzazione del loro mancato godimento, ha desunto
l’astratta inconfigurabilità di un emolumento a cui poter riconnettere un
obbligo contributivo se non quando il rapporto di lavoro sia cessato. Dunque,
si è ritenuta infondata la tesi dell’Istituto secondo la quale il debito
contributivo sarebbe configurabile già dal diciottesimo mese successivo al
mancato godimento (ex art. 10
d.lgs. n. 66/2003), anche perché l’imposizione dell’obbligo assumerebbe un
valore sanzionatorio in mancanza di previsione normativa e pur in presenza di
sanzione espressa comminata dall’art.
18 bis d.lgs. n. 66/2003.

3. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione
l’INPS sulla base di un motivo.

Resiste con controricorso, illustrato da successiva
memoria, C. s.p.a.

4. All’ esito della adunanza camerale del 22 gennaio
2020 è stata disposta la discussione alla pubblica udienza in ragione dei
profili di rilevanza nomofilattica della questione relativa alla sussistenza
dell’obbligo contributivo sulla indennità sostitutiva per ferie non godute in
caso di rapporto di lavoro non ancora cessato.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo si deduce la violazione e
falsa applicazione degli articoli
27 e 28 d.P.R. n. 797 del 1955, in quanto la prestazione lavorativa resa
durante il periodo che si dovrebbe dedicare alle ferie ricade nella previsione
dell’art. 12 I. n. 153 del 196 (ndr art. 12 I. n. 153 del 1969);
l’obbligo sussiste a prescindere dalla effettiva erogazione dell’importo
maturato a causa dell’ inadempimento del datore di lavoro, in quanto
prestazione resa in violazione di leggi a tutela del lavoratore per la quale
vige il disposto dell’art. 2116 c.c.; la
nozione di retribuzione imponibile, inoltre, è ampia e copre anche somme
erogate a titolo risarcitorio, come riconosciuto da Cassazione
n. 11262 del 2010, Cass. n. 17761 del 2005,
Cass. n. 6607 del 2004). Il ricorrente ricorda
anche Cass. n. 1057 del 2012, che ha pure valutato il disposto dell’art. 10
d.lgs. n. 66/2003 e la decisione della Corte di giustizia C-124/05 del 6 aprile 2006 che ha ribadito
l’assoggettamento a contribuzione dell’indennità in questione.

4. La questione di cui si discute attiene alla
assoggettabilità a contribuzione previdenziale dell’ importo corrispondente
alla indennità per ferie non godute dal lavoratore, anche se non corrisposta,
allorché siano decorsi i diciotto mesi successivi al momento di maturazione
delle dette ferie ed il rapporto di lavoro non sia cessato.

4.1. La sentenza impugnata ha osservato che il
disposto dell’art 10 d.lgs. n. 66
del 2003, come modificato dal d.lgs. n. 213 del
19 luglio 2004, vieta del tutto che possa essere corrisposta una indennità
per l’ipotesi di ferie non fruite se non al momento in cui il rapporto di
lavoro venga a cessare: da qui, l’inconfigurabilità dell’obbligo contributivo
corrispondente, assumendo la cessazione del rapporto di lavoro il ruolo di
presupposto di fatto per l’insorgere del diritto.

5. La tesi, in sostanza, stabilisce un nesso di
dipendenza necessaria tra l’obbligo del datore di lavoro nei riguardi del
dipendente e l’obbligo del medesimo datore di lavoro nei riguardi del sistema
previdenziale, di talché poiché il lavoratore non può pretendere la
monetizzazione delle ferie non godute se non alla cessazione del rapporto di
lavoro, allo stesso modo l’INPS non può pretendere il pagamento della
contribuzione.

Ciò, si afferma, in ragione del disposto del citato articolo 10 D.Lgs. n. 66/2003
(come modificato dal D.Lgs. n. 213/2004), il
quale dispone: “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2109 del Codice civile, il prestatore di
lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a
quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione
collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all’articolo
2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di
richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti
due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione
(comma 1). Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere
sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di
risoluzione del rapporto di lavoro (comma 2)”.

6. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità
(da ultimo Cass. 29 maggio 2018, n. 13473 ed
in precedenza Cass. 11261/2012; 4361/1993; 8791/1995; 4839/1998)), in fattispecie in cui il rapporto di
lavoro era cessato e non vi era più concreta possibilità per il lavoratore di
fruire dell’intero periodo di ferie maturate, ha consolidato il principio
secondo il quale l’indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a
contribuzione previdenziale a norma dell’art. 12 della I. n. 153 del 1969,
sia perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni
lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato
al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c. a favore delle prestazioni
effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perché un
eventuale suo concorrente profilo risarcitorio – oggi pur escluso dal
sopravvenuto art. 10 del d.lgs. n.
66 del 2003, come modificato dal d.lgs. n. 213,
del 2004, in attuazione della direttiva n.
93/104/CE – non escluderebbe la riconducibilità all’ampia nozione di
retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa
comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in
dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione
tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione.

7. Tale conclusione, come è evidente, supera, ai
fini dell’individuazione dell’obbligo contributivo, la necessità di attribuire
natura risarcitoria o retributiva all’indennità per ferie non godute (tema ad
altri fini ancora dibattuto, come rilevato da ultimo da Cass. n. 17371 del
2019) e si colloca su di un piano diverso da quello interno al rapporto tra
lavoratore e datore di lavoro quanto alla disciplina delle ferie ed al divieto
di monetizzazione delle medesime.

8. Anche nella questione ora in esame è centrale il
disposto dell’art.12 della legge n. 153 del 1969, che regola il sistema di
finanziamento previdenziale secondo il principio per il quale, alla base del
calcolo dei contributi previdenziali, deve essere posta la retribuzione dovuta
per legge o per contratto individuale o collettivo e non quella di fatto
corrisposta, in quanto l’espressione usata dalla L. n. 153 del 1969, art. 12,
per indicare la retribuzione imponibile (“tutto ciò che il lavoratore
riceve dal datore di lavoro …”) va intesa nel senso di “tutto ciò
che ha diritto di ricevere”, ove si consideri che il rapporto assicurativo
e l’obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l’instaurarsi del
rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, (Cass. n. 17670 del
2007; Cass. n. 6607 del 2004; Cass. n. 5534 del
2003; Cass. n. 27213 del 2018).

9. Dall’autonomia del rapporto previdenziale dal
rapporto di lavoro discende l’erroneità della tesi sostenuta dalla sentenza
impugnata.

Questa Corte di cassazione (già a partire da
Cassazione n. 6810 del 2001) ha infatti segnalato il carattere parafiscale
dell’obbligazione contributiva. Ciò per effetto dell’evoluzione intrapresa dal
sistema previdenziale pubblico verso una sempre più evidente attenuazione degli
aspetti di corrispettività nel rapporto tra assicurati ed ente pubblico
erogatore delle prestazioni obbligatorie dovute per legge (aspetto emergente
dal principio della c.d. “automaticità delle prestazioni” fissato
dall’art. 2116 c.c., la quale prescinde dal
preventivo versamento delle contribuzioni da pare del datore di lavoro, nonché
dalla nullità di ogni patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla
previdenza ed assistenza ai sensi dell’art. 2115
u.c. c.c.).

10. Si è anche affermata la progressiva
accentuazione, nel medesimo rapporto, dei connotati di solidarietà non più
unicamente limitata ad ambiti ristretti di categorie professionali, ma sempre
più estesa alla generalità di contribuenti, secondo criteri di
“parafiscalità”, per cui il credito contributivo previdenziale, in
quanto nascente da un rapporto disciplinato dal regime di previdenza sociale,
non diversamente dalle altre forme di finanziamento delle prestazioni di
assistenza sociale, per il comune carattere pubblico ed obbligatorio dei
rispettivi regimi, entrambi correlati a finalità di ordine costituzionale (art. 38, primo e secondo comma), ha assunto natura
inderogabile con consequenziale indisponibilità dei relativi crediti.

11. Da ciò discende che laddove il lavoratore non
abbia fruito delle ferie maturate entro il termine indicato dall’art. 10 d.lgs. n. 66 del 2003 e
cioè è stato impiegato anche mentre avrebbe dovuto riposare, è certamente
integrato il presupposto dell’obbligo contributivo richiesto dall’art. 12 I. n. 153 del 1969,
giacché la prestazione è stata resa in un periodo in cui la stessa non avrebbe
dovuto essere resa, generandosi una maggiore capacità contributiva,
quantificabile in termini economici quale indennità per le ferie non godute,
che non può non incidere sugli oneri di finanziamento del sistema previdenziale
posti a carico dell’impresa che di tale maggior produzione si è avvantaggiata.
Si tratta, come è evidente, dell’applicazione del principio generale in tema di
finanziamento del sistema previdenziale di cui si è sopra parlato.

12. Resta, per tale ragione, irrilevante – ai fini
previdenziali – che l’indennità possa essere monetizzata tra le parti del
rapporto di lavoro solo alla cessazione del medesimo e cioè quando una di tali
parti o entrambe deciderà di porvi fine.

L’obbligazione contributiva, infatti, è inderogabile
e l’inderogabilità trae origine dal fatto che essa nasce direttamente dalla
legge ed è integralmente sottratta all’autonomia privata. In sostanza
l’inderogabilità esprime l’indisponibilità dei soggetti coinvolti nel rapporto
previdenziale rispetto alla fattispecie legale, così che gli stessi non possono
sottrarsi, nemmeno in via convenzionale, se non facendo venir meno i
presupposti che determinano il nascere dell’obbligo o del diritto alla
contribuzione.

13. Non incrina tali conclusioni l’obiezione, di
natura non certo sistematica, relativa al conseguente effetto deterrente che
l’imposizione dell’obbligo contributivo anche in costanza di rapporto potrebbe
sortire in vista di una fruizione delle ferie non godute in tempo successivo ai
previsti diciotto mesi.

E’ evidente, infatti, che, al contrario,
l’imposizione dell’obbligo contributivo qui sostenuto elimina ogni vantaggio
contributivo collegato al lavoro prestato in spregio del diritto alla fruizione
regolare delle ferie e, quindi, contrasta tale illegittima prassi. L’eventuale
effettiva fruizione in epoca successiva ai diciotto mesi, peraltro, ben
potrebbe giustificare il diritto del datore di lavoro a recuperare l’importo
dei contributi versati a titolo di indennità per ferie non godute.

14. In definitiva, il ricorso va accolto, la
sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma che
esaminerà la fattispecie alla luce del principio di diritto secondo il quale
costituisce base contributiva imponibile l’importo corrispondente alla
indennità per ferie non godute nell’ipotesi in cui sia decorso il termine
previsto dall’art. 10 d.lgs. n. 66
del 2003, a prescindere dalla cessazione del rapporto di lavoro. Il giudice
del rinvio provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’appello di Roma anche per le spese del giudizio di
legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2020, n. 26160
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