Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 novembre 2020, n. 26417

Inefficacia della cessione di ramo di azienda, Ripristino del
rapporto di lavoro intercorso, Emanazione del provvedimento monitorio, in
relazione alle retribuzioni maturate e non corrisposte

 

Rilevato

 

che la Corte di Appello di Napoli, con sentenza
depositata in data 30.10.2015, ha rigettato il gravame interposto da T.I.
S.p.A., nei confronti di P.N., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa
sede, resa il 28.6.2013, con la quale era stata respinta l’opposizione avverso
il decreto ingiuntivo, emesso dal medesimo Tribunale, per il pagamento di
retribuzioni dovute dalla società T.I. S.p.A. al dipendente N., relative al
mese di agosto 2012; che la Corte di merito, per ciò che ancora in questa sede
rileva, ha ritenuto di fare proprio l’iter argomentativo del giudice di prima
istanza, il quale aveva dichiarato la inefficacia della cessione di ramo di
azienda intervenuta tra la T.I. S.p.A. e la C.L.I. S.r.l., ed aveva condannato
la prima a ripristinare la concreta funzionalità del rapporto di lavoro
intercorso con il lavoratore P.N., stabilendo che sussistessero i presupposti
per l’emanazione del provvedimento monitorio, in relazione alle retribuzioni
maturate e non corrisposte per il periodo richiesto dal medesimo (agosto 2012);
che per la cassazione della sentenza ricorre T.I. S.p.A., articolando due
motivi, cui resiste con controricorso P.N.; che sono state depositate memorie
nell’interesse del lavoratore; che il P.G. non ha formulato richieste che, con
il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui
<<la sentenza, interpretando il ricorso per decreto ingiuntivo, ha
dichiarato che il N. aveva correttamente richiesto non la retribuzione, ma il
risarcimento del danno, in quanto l’azione era diretta, appunto, ad ottenere il
risarcimento del danno discendente dal mancato percepimento delle retribuzioni
costituenti …. unica fonte di sostentamento del N., atteso il suo documentato
ed incontestato licenziamento dalla cessionaria C.L.I. S.r.l. avvenuto nel
giugno 2011>>, poiché, a parere della società ricorrente, <<tale
motivazione;»> contrasterebbe copertamente con quanto scritto negli atti
difensivi del N. in cui, reiteratamente, egli deduce di aver promosso l’azione
al fine di richiedere a T. il pagamento della retribuzione (e non del risarcimento
del danno) per effetto della mancata riammissione in Azienda all’esito della
sentenza dichiarativa dell’illegittimità della cessione di ramo di
azienda>>, mentre <<avrebbe dovuto esperire un’azione
risarcitoria>>; 2) in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., nella parte in cui la Corte di
Appello non ha ritenuto di ammettere nei confronti del N. l’ordine di
esibizione della dichiarazione dei redditi per gli anni 2011 e 2012, richiesto
dalla T., <<al fine di evincere la percezione dell’indennità di
disoccupazione da parte del ricorrente>>;

che il primo motivo non è meritevole di
accoglimento, in quanto – premesso che la qualificazione giuridica della
domanda spetta al giudice, il quale non è, dunque, vincolato al tenore
letterale della stessa o alla qualificazione giuridica che la parte ne ha
fatto, con il limite, ovvio, del divieto di introdurre una questione nuova o un
diverso tema di indagine (art. 113 c.p.c.;
cfr., tra le molte, Cass. nn. 11805/2016; 118/2016) – deve, anche in questa
sede, ribadirsi che, alla stregua dei consolidati arresti giurisprudenziali di
legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., SS.UU., n. 2990/2018; n. 17785/2019; 17784/2019), <<il lavoratore
illegittimamente ceduto ha diritto di ricevere le retribuzioni da parte del
cedente che, senza giustificato motivo, non ottemperi all’ordine di reintegra>>
e, <<nell’ipotesi di cessione di ramo d’azienda dichiarata
illegittima>>, come nella fattispecie, <<le erogazioni patrimoniali
eventualmente commisurate alle mancate retribuzioni, cui è obbligato il datore
di lavoro cedente che non proceda al ripristino del rapporto lavorativo, vanno
qualificate come risarcitorie>> e <<l’importo delle retribuzioni
richieste in via monitoria costituisce la misura del risarcimento, dovendo lo
stesso essere commisurato alle retribuzioni non erogate>> (cfr., tra le
altre, 24817/2016; 18955/2014; 14542/2014); pertanto, correttamente, la Corte
territoriale ha osservato che <<in virtù della statuizione, peraltro
passata in giudicato, dichiarativa della prosecuzione del rapporto di lavoro
tra la T. ed il N., e dell’ordine, rimasto inadempiuto, del Giudice del Lavoro
di ripristinare la concreta funzionalità di detto rapporto…, spetta
all’odierno appellato, a titolo di risarcimento del danno, una somma di importo
pari alla retribuzione maturata per il mese di agosto 2012, somma quantificata
nel decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Napoli>>; che neppure il
secondo motivo – che, nella sostanza, si appalesa all’evidenza come meramente
esplorativo – può essere accolto, in quanto, come motivatamente sottolineato
dai giudici di seconda istanza, <<la società appellante non ha fornito,
come sarebbe stato suo precipuo onere, la prova che l’appellato abbia svolto
alcun’altra attività lavorativa, per il periodo oggetto del presente giudizio,
né che abbia percepito somme a titolo di indennità di disoccupazione, avendo
solo allegato ma non provato la relativa circostanza>>;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il
ricorso va respinto; che le spese del presente giudizio – liquidate come in
dispositivo e da distrarre, ai sensi dell’art. 93
c.p.c., in favore del difensore del N., avv. E.M.C., dichiaratosi
antistatario – seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, come specificato in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00,
di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed
accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 novembre 2020, n. 26417
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: