In caso di superamento del c.d. periodo di comporto per malattia, il datore di lavoro non ha l’onere di indicare i singoli giorni di assenza
Nota a Cass. 21 ottobre 2020, n. 22998
Fabio Iacobone
“In tema di licenziamento per superamento del comporto, anche nel regime successivo all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 37, della I. n. 92 del 2012, il datore di lavoro non deve specificare nella comunicazione i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, quali il numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato”.
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione 21 ottobre 2020, n. 22998 (conf. ad App. Palermo, n. 322/2018; la giurisprudenza sul punto è consolidata: v. fra tante, Cass. n. 21042/2018).
Il datore di lavoro, pertanto, non ha l’onere di indicare le singole giornate di assenza, in quanto è sufficiente che egli indichi elementi complessivi come la determinazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo. Resta fermo tuttavia, l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato (v. Cass. ord. n. 5752/2019, annotata in questo sito da S. GIOIA, Malattia e superamento del periodo di comporto).
La Corte precisa altresì che, “allorquando il lavoratore abbia direttamente impugnato il licenziamento, anche in via stragiudiziale, per superamento del periodo di comporto, la mancata ottemperanza del datore di lavoro alla richiesta di esplicitazione dei motivi è ininfluente ai fini della legittimità del licenziamento stesso” (Cass. n. 15069/2017; n. 22392/2012 e n. 16421/2010). Ciò, poiché l’avvenuta impugnazione esprime l’intento di contestare in ogni caso la conformità a legge del recesso, anche in difetto di una motivazione, “e non può ritenersi idonea a determinare, con la richiesta dei motivi, l’onere del datore di lavoro di precisarli”.