Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 novembre 2020, n. 32785

Installazione di dispositivo elettronico su autocarro
destinato al trasporto su strada di merci, Inibita la trasmissione dei dati
relativi alla velocità e ai tempi di guida al cronotachigrafo digitale
installato, Delitto di danneggiamento di impianto destinato a prevenire
disastri e infortuni sul lavoro

 

Ritenuto in fatto e considerato
in diritto

 

Che, per quanto qui ancora interessa, con sentenza
emessa il 9 aprile 2019 la Corte di appello di Salerno ha confermato la
condanna (previa concessione di circostanze attenuanti generiche, alla pena di
otto mesi di reclusione inflitta, con sentenza emessa del Tribunale di Salerno
il 7 aprile 2017, a P.M. per la commissione, in giorno anteriore al 22 ottobre
2012, del delitto di danneggiamento di impianto destinato a prevenire disastri
e infortuni sul lavoro (art. 437 cod. pen.),
consistito nella installazione di dispositivo elettronico atto a inibire la
trasmissione dei dati relativi alla velocità e ai tempi di guida al
cronotachigrafo digitale installato su autocarro destinato al trasporto su
strada di merci dalla società di cui tale persona era amministratrice;

che, in risposta ai motivi di appello dell’imputato,
la motivazione della sentenza è nel senso che: non sussiste rapporto di
specialità fra la fattispecie descritta dall’art. 179 cod. strada (che
punisce con sanzione amministrativa pecuniaria colui che mette in circolazione
un autoveicolo con cronotachigrafo manomesso) e quella specificata nell’art. 437 cod. pen. (che punisce con la reclusione
chiunque omette di collocare, rimuove o danneggia impianti destinati a prevenire
disastri o infortuni sul lavoro), avendo l’imputato, “quale amministratore
della società di autotrasporti cui faceva capo l’automezzo” descritto nel
capo di imputazione, messo a disposizione del relativo conducente, dipendente
da tale società, l’autocarro avente “dispositivo elettronico atto ad
alterare il cronotachigrafo su di esso installato, così di fatto imponendogli
di utilizzarlo per eludere la corretta registrazione dei dati da parte
dell’apparecchio”; la sanzione inflitta, di poco superiore a quella minima
prevista dall’art. 437 cod. pen.) e
“temperata dalla concessione di circostanze attenuanti generiche nella
massima estensione, è pienamente rapportata alla effettiva gravità della
condotta ed alla personalità dell’imputato M., a cui carico è peraltro già
annotata una precedente condanna per reati di notevole allarme sociale (usura,
estorsione e ricettazione)”; non vi è dunque spazio per una riduzione
della pena, sollecitata dall’appellante che aveva lamentato “che il
giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto degli elementi di valutazione
positivi offerti dalla difesa, senza tuttavia indicarli”;

che per la cassazione di tale sentenza M. ha
proposto ricorso (atto sottoscritto dal difensore, avvocato S.A.) contenente
due motivi di impugnazione;

che con il primo motivo il ricorrente deduce che la
sentenza impugnata “è del tutto carente di motivazione rispetto alle
doglianze espresse nell’atto di impugnazione”, non avendo in particolare
indicato “con puntualità e completezza gli elementi di fatto e di diritto
sui quali ha fondato la propria decisione”, in risposta “a tutte le
censure e tutti gli elementi aventi carattere di decisività addotti dalla
difesa nei motivi di impugnazione della sentenza di primo grado”;

che nel giudizio di cassazione è vietato alla Corte
l’esame degli atti del giudizio di merito diversi dalla sentenza (ovvero
dall’ordinanza) oggetto di ricorso; salvo che il ricorrente indichi
specificamente da quali fra tali atti il vizio specificamente dedotto nel
ricorso dovrebbe rilevarsi;

che il ricorso per cassazione è caratterizzato dal
principio di autosufficienza, in base al quale è onere del ricorrente, che
lamenti l’omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali,
provvedere alla trascrizione in ricorso dell’integrale contenuto degli atti
medesimi, nei limiti di quanto già dedotto, perché di essi è precluso al
giudice di legittimità l’esame diretto, a meno che il fumus del vizio non
emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (in questo senso,
cfr., fra le altre: Sez. 1, n. 6112 del 22 gennaio 2009, Bouyahia, Rv. 243225;
Sez. 5, n. 11910 del 22 gennaio 2010, Casucci, Rv. 246552; Sez. 6, n. 29263 del
8 luglio 2010, Cavanna, Rv. 248192; Sez. 2, n. 20677 del 11 aprile 2017, Schioppo,
Rv. 270071);

che il ricorrente ha dunque un peculiare onere di
inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti
processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta (cfr.
altresì, Sez. 4, n. 3360 del 16 dicembre 2009, dep. 2010, Mutti, Rv. 246499) ed
a tale onere può essere prestato ossequio nelle forme di volta in volta più
adeguate alla natura degli atti stessi (integrale esposizione e riproduzione
nel testo del ricorso; allegazione in copia; precisa identificazione della
collocazione dell’atto nel fascicolo d’ufficio del processo di merito; et
similia) che in tale ordine di concetti, si osserva che: la sentenza impugnata
evidenzia che con il primo motivo di appello il ricorrente affermava che il
fatto accertato (installazione di apparecchio destinato a inibire la
trasmissione al cronotachigrafo proprio di autoveicolo dei dati relativi alla
velocità e ai tempi di guida) fosse da ricomprendere nell’ambito di
applicabilità dell’illecito amministrativo descritto dall’art. 179 cod. strada,
costituente norma speciale rispetto a quella, generale, contenuta nell’art. 437 cod. pen.; a tale questione di diritto la
sentenza impugnata ha dato risposta conforme ai principi di diritto enunciati
dalla giurisprudenza di legittimità (nel senso che non sussiste rapporto di
specialità tra la disposizione di cui all’art. 179, comma 2, cod. strada e
quella di cui all’art. 437 cod. pen., stante la
diversità non solo, e non tanto, dei beni giuridici tutelati – rispettivamente
costituiti dalla sicurezza della circolazione stradale (comprensiva di quella
delle persone diverse da colui che circoli alla guida di autoveicolo col
cronotachigrafo manomesso) e dalla sicurezza dei lavoratori (e dunque, in primo
luogo, dello stesso autore della violazione, se conducente del veicolo in
regime di subordinazione) – quanto soprattutto della natura strutturale delle
due sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo, cfr.: Sez. 1, n. 10494 del 15
maggio 2019, dep. 2020, Conversano, Rv. 278496; Sez. 1, n. 34107 del 29 marzo
2017, Trandafir, n. m.; Sez. 1, n. 47211 del 25 maggio 2016, Vercesi, Rv. 268892);
il ricorrente non deduce che il primo motivo di appello involgesse questioni,
di fatto ovvero di diritto, diverse da quella cui la sentenza impugnata ha dato
risposta, limitandosi in questa sede ad affermare, senza alcuna specificazione,
che non sarebbe stata data risposta “a tutte le censure e tutti gli
elementi aventi carattere di decisività addotti dalla difesa nei motivi di
impugnazione della sentenza di primo grado”;

che il motivo, per come dedotto, si connota in
termini di assoluta astrattezza, in violazione del precetto contenuto nell’art. 581, comma 2, cod. proc. pen., ed è pertanto
inammissibile (art. 591, comma 1, lett. c), cod.
proc. pen.); non consentendo alla Corte di svolgere la sua funzione di
controllo di legittimità sull’atto impugnato;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce che
la parte di motivazione della sentenza dedicata alla conferma della pena
inflitta dalla sentenza di primo grado è affatto insufficiente, avendo il
giudice di appello considerato “rilevanti solo gli elementi di valutazione
negativi, ritenendo, forse, superfluo procedere ad un esame dettagliato di
quegli elementi positivi offerti dalla difesa”: è stata dunque inflitta
una pena eccessiva “in quanto è stato errato il calcolo aritmetico della
irrogazione della pena in violazione di legge”;

che anche tale motivo è inammissibile in ragione
della sua non specificità, in quanto: la sentenza impugnata afferma che il
ricorrente non indicò nell’appello gli elementi positivi da prendere in
considerazione in funzione della riduzione della pena inflitta con la sentenza
di primo grado; l’affermazione non è specificamente censurata; il ricorrente si
limita solo ad affermare in questa sede di avere offerto con l’atto di
impugnazione “elementi positivi” in tal senso, ma non riproduce la
parte dell’atto di appello dedicata all’illustrazione di tali “elementi
positivi”;

che non sussiste poi la predicata violazione di
legge, risultando dal contenuto della sentenza impugnata che quella di primo
grado determinò la pena in misura pari a un anno di reclusione che ridusse di
un terzo avendo concesso al ricorrente circostanze attenuanti generiche; così
infliggendo al ricorrente la pena di otto mesi di reclusione nel rispetto del
precetto recato dall’art. 65, n. 3), cod. pen.;

che l’accertata inammissibilità del ricorso comporta
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non
ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma di danaro alla Cassa
delle ammende che stimasi equo determinare nella misura di tremila euro (art. 616 cod. proc. pen.).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di
tremila euro alla Cassa delle ammende.

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