Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 novembre 2020, n. 26604
Riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione
internazionale sussidiaria ed umanitaria, Commissione di un omicidio, ostativa
– Questione di natura prettamente penale, Mera prospettazione di una
commissione di reati
Rilevato che
1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza
n. 1585 del 2019, ha confermato il rigetto, pronunciato dal Tribunale della
stessa sede, del ricorso proposto da I.S., cittadino della G.B., avverso il
diniego della competente Commissione territoriale in ordine alle richieste di
riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione internazionale
sussidiaria ed umanitaria.
2. Come si legge nella gravata pronuncia, il
richiedente aveva dichiarato di essere nato a Cufea in G.B., di essere
musulmano, orfano di padre e di fare il pastore ed il sarto; che nel suo lavoro
di pastore un giorno aveva riscontrato che mancavano 10 mucche che
successivamente aveva visto all’interno di un altro gruppo di bestiame; che,
nel tentativo di riprendere le mucche, essendo stato scoperto e ferito dai
guardiani, sparò ed uccise due di loro; che, dopo essere scappato in un
villaggio vicino, anche il fratello cercò di recuperare il bestiame, ma sparì,
così come fu ucciso suo padre dai familiari delle vittime; che, su invito della
madre, decise di scappare andando prima in Senegai, poi nel Mali, Niger ed
infine in Libia dove rimase un anno lavorando come sarto; che a causa della
guerra partì per l’Italia ove arrivò nel giugno del 2015.
3. I giudici di seconde cure, a fondamento della
decisione, hanno rilevato: a) la credibilità della versione resa dei fatti che
era avvalorata dalla autodichiarazione di un Ispettore di Polizia; b) la
commissione di un omicidio era ostativa, ex art. 10 co. 2 lett. b) e 16 co. 1 lett. b) D.lgs. n. 251 del
2007, alla concessione della protezione internazionale, sia principale che
sussidiaria; c) in G.B., come risultava dalle fonti informative consultate era
stata ristabilita, fin dal 2012, nonostante mancanze, limiti e tensioni, la
democrazia; d) erano altresì assenti i presupposti per concedere la protezione
umanitaria, atteso che il richiedente aveva lasciato in Guinea madre e fratelli
e, quindi, non era ravvisabile alcun sradicamento e nessuna particolare
vulnerabilità, né era stato aggiunto alcunché con riferimento alla posizione
processuale del ricorrente.
4. I.S. ha proposto, avverso la sentenza della Corte
territoriale, ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo
fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia
l’errata considerazione degli elementi probatori offerti e l’errata
considerazione sul loro diniego, in violazione degli artt.
132 co. 4 cpc, 360 n. 3 e n. 5 cpc, per
avere i giudici bresciani, erroneamente e contraddittoriamente preso in
considerazione e valutato la documentazione probatoria depositata in originale
così come le concordanti – con quella – dichiarazioni effettuate da esso richiedente,
da cui risultava che egli non aveva mai dichiarato di avere commesso un
omicidio, bensì di essersi difeso da alcuni malviventi che, dopo averlo ferito
ad una gamba, avevano tentato di ucciderlo, tanto è che in nessuno dei due
rapporti di Polizia vi era cenno al fatto che esso I. fosse ricercato per
qualsiasi reato nel suo paese.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione
degli artt. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 cpc, per
essersi i giudici del merito completamente disinteressati del contenuto dei due
rapporti di Polizia, mai contestati e facenti piena prova, fino a querela di
falso, e per non essersi attivati al fine di accertare compiutamente i fatti
rispetto a quelli risultanti dai suddetti documenti.
4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la
violazione degli artt. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 cpc
sulla ulteriore erronea ricostruzione in fatto sui motivi umanitari non
valutando che, dalle fonti recenti, la situazione della G.B. era, da poco,
tragica e tale da non consentire che un giovane potesse ivi ritornare.
5. I motivi, che possono essere trattati
congiuntamente per la loro connessione, sono fondati e vanno accolti per quanto
di ragione.
6. Preliminarmente è necessario rilevare un equivoco
nella impostazione della gravata sentenza che ha considerato la vicenda
sottoposta al suo esame quale questione di natura prettamente penale, quando
invece gli esatti termini di essa riguardavano la richiesta di protezione
internazionale e, in particolare, la istanza di asilo da parte del richiedente
per le violenze subite dalla banda dei ladri di bestiame inutilmente
denunciati.
7. Così delineato il perimetro della indagine,
osserva il Collegio, in primo luogo, che la Corte di merito non ha applicato
correttamente le disposizioni di cui all’art. 10 co. 2 lett. b) e 16 co. 1 lett. b) del D.lgs. n. 251
del 2007, allorquando ha ritenuto che l’avere commesso I.S. un omicidio era
ostativo al riconoscimento della protezione principale e sussidiaria.
8. Entrambe le disposizioni, infatti, richiedono per
la loro operatività l’accertamento della avvenuta commissione di reati fuori
del territorio italiano (Cass n. 27504 del 2018), da qualificarsi gravi alla
luce del parametro della pena edittale prevista dalla legge italiana per quel
medesimo illecito (Cass. n. 25073 del 2017), e non la mera prospettazione di
una loro commissione.
9. Inoltre, il giudice del merito deve verificare se
la contestata violazione di norme di legge nel paese di provenienza sia opera
degli organi costituzionalmente ed istituzionalmente preposti a quel controllo
e se abbia avuto ad oggetto la legittima reazione dell’ordinamento all’infrazione
commessa o, invece, non costituisca una forma di persecuzione razziale, di
genere o politico-religiosa, verso il denunciante (Cass n. 2863 del 2018).
10. La Corte di merito non ha svolto i dovuti
accertamenti in ordine alla situazione particolare del richiedente che,
nonostante il richiamo ad una autodichiarazione di un Ispettore di Polizia
prodotta (ma non riportata nei suoi esatti termini), non risultava essere stato
indagato o ricercato per l’episodio narrato ovvero condannato, con richiesta di
estradizione nei suoi confronti per il reato commesso.
11. In secondo luogo, deve, poi, essere rilevato che
la Corte di appello si è limitata ad affermare che in G.B. la pena di morte era
stata abolita nel 2016 e, quindi, il richiedente per il fatto commesso non
correva alcun rischio.
12. Tale accertamento, però, è parziale e limitato
in quanto il giudice del merito – anche previo utilizzo dei poteri di
accertamento ufficiosi di cui all’art.
8 co. 3 del D.lgs. n. 25 del 2008 – deve tra l’altro tenere conto del tipo
di trattamento sanzionatorio in quanto il rischio di subire torture o
trattamenti inumani o degradanti nelle carceri nel Paese di provenienza può
avere rilevanza per l’eventuale riconoscimento sia della protezione
sussidiaria, in base al combinato disposto dell’art. 2 lett. g) del D.lgs. n. 251 del
2007 con l’art. 14 lett. a) e
b) dello stesso D.lgs. sia, in subordine, della protezione umanitaria, in
base all’art. 3 CEDU e all’art. 5 co. 6 del D.lgs. n. 286 del
1998 (Cass. n. 1033 del 2020; Cass. n. 5358 del 2019).
13. In conclusione, in accoglimento per quanto di
ragione del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla
Corte di merito che, attenendosi ai principi sopra esposti, procederà
all’ulteriore esame del merito della controversia, provvedendo, altresì, anche
in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la
sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Brescia, in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di
legittimità.