Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 novembre 2020, n. 27077

Verbale di accertamento dell’INPS, Contratti di lavoro a
progetto, Genericità del progetto, Rapporti di lavoro subordinato, Progetto
riguardava la quasi totalità del personale, Specificità tali da escluderne la
ripetibilità indefinita per la realizzazione dell’oggetto sociale

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Catania, con sentenza n.
348/15, rigettava l’appello proposto da T. Servizi Informatici s.r.l., avente
ad oggetto la sentenza del Tribunale di Catania che aveva respinto
l’opposizione proposta dalla medesima società avverso il verbale di
accertamento dell’INPS in data 17 dicembre 2007.

2. Con tale accertamento l’Ispettorato dell’Istituto
previdenziale aveva contestato alla società ricorrente che i contratti di
lavoro a progetto indicati nel suddetto verbale erano connotati da genericità
del progetto, da sovrapposizione con l’attività costituente oggetto sociale e
da assenza di un risultato finale, con la conseguenza che i rapporti di lavoro
ai quali i contratti si riferivano dovevano essere considerati come rapporti di
lavoro subordinato.

I contributi omessi e le relative sanzioni erano
stati quantificati in complessivi € 515.270,00.

3. La società, a sostegno dell’opposizione, aveva
dedotto che i progetti erano connessi all’esecuzione della convenzione
stipulata con la S.B. dell’Unione Italiana Ciechi. A fronte di tale deduzione,
l’INPS aveva eccepito che il ricorso ai contratti di lavoro a progetto da parte
della società era uno strumento elusivo della normativa in tema di lavoro
subordinato: il presunto progetto riguardava la quasi totalità del personale;
in. 114 contratti avevano un contenuto identico e facevano generico riferimento
alle mansioni da svolgere e non ad un progetto specifico; la liquidazione del
compenso era subordinata alla supervisione qualitativa e quantitativa dei testi
da parte della Stamperia.

L’INPS aveva quindi prospettato che doveva trovare
applicazione l’art. 69 d.lgs. n.
276 del 2003.

4. La Corte di appello, riepilogati i passaggi
motivazionali della sentenza di primo grado, precisava che i motivi di
impugnazioni della società erano i seguenti:

con il primo motivo, era stato dedotto che il
programma di lavoro era gestito autonomamente dal collaboratore e consisteva
nella trascrizione e correzione dei testi in Braille, da svolgersi di volta in
volta secondo le richieste dell’Unione Italiana Ciechi in base a quanto
previsto dalla relativa convenzione, e che dunque il programma di lavoro
esisteva, né poteva ostare alla genuinità del contratto il fatto che i
contratti di lavoro fossero identici e facessero riferimento alla convenzione
con la Stamperia; con il secondo motivo, era stata dedotta la violazione del
principio di indisponibilità del tipo contrattuale.

5. Nel respingere i motivi di censura, la Corte di
appello, richiamata la disciplina legale di cui all’art. 61 d.lgs. 276 del 2003, in
cui l’elemento essenziale è costituito dall’esistenza di uno o più progetti
specifici o programmi di lavoro ed è richiesto, quale requisito indefettibile,
che il progetto presenti specificità tali da escluderne la ripetibilità
indefinita per la realizzazione dell’oggetto sociale, osservava che deve
escludersi il requisito della “specificità” quanto vi sia coincidenza
tra l’attività imprenditoriale normalmente svolta dall’impresa e il programma o
il progetto dedotto in contratto, ossia quando l’opera o il progetto si sostanzino
nella normale attività d’impresa e soddisfino un’esigenza ordinaria e
continuativa di essa.

6. La Corte di appello riteneva quindi, condividendo
quanto già affermato dal Tribunale, che si era in presenza di plurimi contratti
di lavoro nei quali il progetto si presentava identico per un notevole numero
di lavoratori, senza alcun accenno all’obiettivo che si intendeva raggiungere e
senza individuazione dello stesso come realizzazione di un preciso e
circostanziato piano di lavoro o risultato. L’attività svolta dai collaboratori
si identificava esattamente con la principale attività di impresa (desumibile
anche dal confronto tra i ricavi derivanti dalle prestazioni rese in favore
della Stamperia e quelli derivanti dalle attività in favore di altri clienti)
ed era pienamente sovrapponibile all’oggetto sociale.

7. Quanto al rilievo di cui al secondo motivo,
osservava la Corte di appello che, in mancanza dei requisiti costitutivi del
tipo legale, doveva trovare applicazione l’art. 69, primo comma, d.lgs. n. 276
del 2003, con conversione ex lege in rapporti di lavoro subordinato e che,
a fronte del dubbio, palesato in dottrina e giurisprudenza, circa
l’interpretazione della suddetta norma, ossia se essa abbia introdotto nel
sistema una presunzione assoluta ovvero relativa, doveva condividersi la prima
opzione interpretativa, poiché ammettere la prova contraria contrasterebbe con
la ratio della legge, volta a vietare la stipula di contratti di collaborazione
al di là della previsione di uno specifico progetto. In particolare, osservava
che occorre distinguere l’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 69 da quella di cui al
secondo comma dello stesso articolo, che contempla la trasformazione del
rapporto di lavoro a progetto in un rapporto di lavoro subordinato qualora
siano le modalità di svolgimento di fatto della prestazione a deporre per
l’integrazione di tale tipo contrattuale. Il primo comma ha introdotto, invece,
una sanzione consistente nell’applicazione delle garanzie del lavoro dipendente
in funzione di tutela del lavoratore, per evitare elusioni e abusi. Infine, il
disposto di cui all’art. 1, comma
24, legge n. 92 del 2012, che vale come norma di interpretazione autentica
per i contratti di collaborazione stipulati successivamente alla data di
entrata in vigore della norma, non fa che confermare l’esposta interpretazione
del primo comma dell’art. 69
cit.

8. Per la cassazione di tale sentenza la società
T.C. Servizi Informatici a r.l. ha proposto ricorso affidato ad un unico
motivo. L’INPS ha resistito con controricorso

 

Considerato che

 

9. Con unico motivo si denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 69 d.lgs.
n. 276 del 2003 e dell’art. 1
commi 24 e 25 legge n. 92 del 2012, contestando l’interpretazione secondo
cui il primo comma del citato art.
69 avrebbe introdotto un’ipotesi presunzione assoluta di subordinazione, in
contrasto: con l’art. 41 Cost., giacché
verrebbe violata la libertà di impresa e di iniziativa economica; con gli artt. 3 e 35 Cost.,
non essendo ammissibile la qualificazione di un rapporto di lavoro svincolata
dalle concrete modalità di svolgimento e non essendo consentito al legislatore
l’attribuzione di una qualifica di rapporto di lavoro subordinato ad un
rapporto che oggettivamente non abbia tale natura; con l’art. 38 Cost., in quanto si attribuirebbero d’impero
le tutele previdenziali ed antinfortunistiche a soggetti che, di fatto, non ne
avrebbero diritto.

Si sostiene che l’unica interpretazione possibile è
quella secondo cui la mancanza di un progetto-programma comporta un’inversione
dell’onere della prova, onerando il datore di lavoro della dimostrazione
dell’autonomia del rapporto e che confermerebbe tale lettura l’art. 1, commi 24 e 25, legge n. 92
del 2012: se infatti il comma 24 ha stabilito che la presunzione dell’art. 69 deve interpretarsi nel
senso che la mancanza di uno specifico progetto determina la costituzione di un
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il successivo comma 25
prevede che tale disposizione si applica ai contratti stipulati successivamente
alla data di entrata in vigore della stessa legge, ossia per il futuro e non
per i contratti stipulati anteriormente.

10. Il ricorso è infondato, alla luce della costante
giurisprudenza di questa Corte, formatasi recentemente in argomento.

11. Occorre premettere che, nel caso in esame, opera
la definizione legale del contratto a progetto fornita dall’art. 61 d.lgs. 276 del 2003, nel
testo originario, poi sostituito dall’art. 1 comma 23 lettera a) della
legge n. 92 del 2012, modificato dall’art. 24 bis comma 7 del d.l. n. 83
del 2012 conv. in legge n. 134 del 2012 ed
ancora dall’art. 7 comma 2 lettera
c) del d.l. n. 76 del 2013 conv. in legge n.
99 del 2013 ed infine abrogato dall’art.52 del d.lgs. 81 del 2015,
di attuazione del c.d. Jobs Act.

12. In base al testo applicabile ratione temporis,
per la configurazione della fattispecie è necessaria la riconducibilità
dell’attività “a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi
di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore
in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione
del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione
dell’attività lavorativa”.

13. Questa Corte ha chiarito che l’assenza del
progetto di cui all’art. 69, comma
1, del d.lgs. n. 276 del 2003, che rappresenta un elemento costitutivo
della fattispecie, ricorre sia quando manchi la prova della pattuizione di
alcun progetto, sia allorché il progetto, effettivamente pattuito, risulti
privo delle sue caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia
(Cass. n. 8142 del 2017). Il progetto
concordato non può comunque consistere nella mera riproposizione dell’oggetto
sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni, a carico
del lavoratore, coincidenti con l’ordinaria attività aziendale (v. Cass. n. 17636 del 2016 e n. 8142 del 2017).

14. Risulta dunque corretta la statuizione della
Corte di merito, basata sulla ritenuta assenza di un valido progetto per la sua
coincidenza con l’ordinaria attività aziendale, nell’accertato difetto di
alcuna distinzione qualitativa, quantitativa o temporale, rispetto ad essa.

15. Quanto alla distinzione tra il primo e il
secondo comma dell’art. 69
cit., già Cass. 12820 del 2016 aveva affermato
che il regime sanzionatorio articolato dall’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003,
pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di
lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti
ipotesi, atteso che, al primo comma, sanziona il rapporto di collaborazione
coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico
progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis,
restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito
all’istruttoria, mentre al secondo comma disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza
di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la
valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del
contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in
corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti.

16. Cass. n. 17127 del
2016 ha poi ribadito che l’art.
69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 (ratione temporis applicabile, nella
versione antecedente le modifiche di cui all’art. 1, comma 23, lett. f) della I.
n. 92 del 2012), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione
di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo
ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i
canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di
costituzione dello stesso.

17. Più recentemente, Cass.
n. 9471 del 2019 ha specificamente affrontato gli stessi argomenti posti a
base del ricorso ora all’esame, affermando che il regime sanzionatorio previsto
dall’art. 69, primo comma, del
d.lgs n. 276 del 2003 (nel testo ratione temporis applicabile, anteriore
alle modifiche apportate dalla I. n. 92 del 2012),
in caso di assenza di specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso,
non contrasta con il principio di “indisponibilità del tipo”, posto a
tutela del lavoro subordinato e non invocabile nel caso inverso, né con l’art. 41, primo comma, Cost., in quanto trae
origine da una condotta datoriale violativa di prescrizioni di legge ed è
coerente con la finalità antielusiva perseguita dal legislatore.

18. E’ stato osservato che “…i dubbi di
compatibilità costituzionale prospettati dai ricorrenti trovano adeguata
soluzione solo osservandosi che nel caso non vengono sottratti al giudice i
poteri di qualificazione del rapporto, ma viene introdotta una sanzione che
consiste nell’applicazione al rapporto delle garanzie del lavoro dipendente.

La Corte Costituzionale, con le sentenze 25 marzo
1993, n. 121 e 23 marzo 1994, n. 115 ha escluso
che rispettivamente il legislatore o le parti possano imporre presunzioni o
qualificazioni contrattuali di autonomia che sottraggono alle indefettibili
garanzie del lavoro subordinato una fattispecie che come tale si realizza. Il
principio di “indisponibilità del tipo” è stato quindi dettato al fine di
evitare sottrazioni di tutele al lavoro subordinato, ed è sorretto da una
ragione verosimilmente univoca e non invocabile nel caso inverso. D’altra
parte, il nostro ordinamento non è estraneo alla previsione dell’applicazione
delle regole del lavoro subordinato come sanzione in caso di violazioni,
elusioni, abusi di determinate forme di contratti di lavoro (v. artt. 1 c. 5 della L. 1369/1960,
1 della L. 230 del 1962).

La previsione non può infine ritenersi in contrasto
con l’art. 41 Cost. 1 comma, in quanto trae
origine da una condotta posta in essere dal datore di lavoro e violativa di
prescrizioni di legge, né inadeguata, essendo coerente con il fine del
legislatore, di perimetrare il potere di stipulare contratti a progetto per
evitare l’elusione delle tutele predisposte per il lavoro subordinato”
(sent. cit., in motivazione).

19. Va infine rilevato che il riferimento operato
nella sentenza impugnata alle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 non è stato determinante ai
fini della decisione, in quanto la stessa Corte di appello ha precisato che
detta legge non trova applicazione ratione temporis alla fattispecie, pur
aggiungendo che l’intervento normativo conforta l’opzione interpretativa già
desumibile dal testo precedente.

20. In conclusione, il ricorso va rigettato. Quanto
alle spese del presente giudizio, si ravvisano giusti motivi di compensazione,
ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ., nel
regime introdotto dalla L. 28
dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), anteriore alle modifiche
di cui alla L. n. 69 del 2009 (il ricorso
introduttivo risale al 2008), atteso che l’orientamento interpretativo di
questa Corte in ordine all’interpretazione del primo comma dell’art. 69 d.lgs. n. 276 del 2003 si
è formato in epoca successiva al ricorso per cassazione proposto dalla società
(risalente al maggio 2015).

21. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1- bis dello stesso art. 13, se
dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del 2020).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente
giudizio.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R.
n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 novembre 2020, n. 27077
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: