Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 novembre 2020, n. 27172

Benefici contributivi ex art. 13, co. 8, L. n. 257/1992,
Lavoratori operanti in reparti diversi da quelli recanti amianto in misura rilevante
– Esposizione limitata e saltuaria

 

Rilevato che

 

Con sentenza del 14.3.15, la Corte d’Appello di
Venezia – in parziale riforma di sentenza del 2011 del Tribunale della stessa
sede – ha rigettato la domanda dei lavoratori in epigrafe volta a ottenere i
benefici contributivi ex articolo 13
comma 8 della legge n. 257 del 1992, escludendo l’esposizione dei
lavoratori dopo il 1992 perché i lavoratori operavano in reparti diversi da
quelli recanti amianto in misura rilevante (ove invece avevano lavorato per
limitato periodo in precedenza) La corte ha ritenuto conseguentemente superfluo
accertare l’esposizione per il periodo 88-91 per il lavoratore D.G., attesa in
ogni caso la mancanza di un periodo decennale di esposizione.

Avverso tale sentenza ricorrono i lavoratori per due
motivi, cui resiste l’INPS con controricorso.

 

Considerato che

 

La sentenza impugnata, pur riconoscendo la presenza
di amianto in alcuni ambienti di lavoro ove avevano lavorato i ricorrenti, ha
rilevato che dopo il dicembre 1992 i ricorrenti avevano in reparti diversi, con
esposizione limitata e saltuaria, e comunque di breve durata, inferiore alla
misura richiesta dalla legge.

Con il primo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. – vizio di motivazione,
per non avere la sentenza impugnata considerato il periodo di esposizione
ambientale fino al 1996, desumibile da quanto dichiarato dalle teste S. in
ordine al fatto che i lavoratori avevano lavorato in reparti contenenti amianto
dopo il 1992 ed al fatto che la bonifica degli ambienti lavorativi era avvenuta
solo nel 1996.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. – vizio di motivazione,
per non avere la corte territoriale considerato il periodo di esposizione 88-91
per il lavoratore D.G..

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Al di là di ogni considerazione in ordine alla
tecnica di redazione del ricorso (effettuato attraverso l’assemblaggio di atti
diversi riprodotti nella loro integralità: tra le tante, Cass. Sez. 6 – 3,
Sentenza n. 3385 del 22/02/2016, Rv. 638771 – 01; Sez.
5, Sentenza n. 18363 del 18/09/2015, Rv. 636551 – 01), i ricorrenti
lamentano che la corte territoriale non abbia valutato adeguatamente la
deposizione del teste su indicato, lamentando in sostanza un mero vizio
motivazionale della sentenza impugnata, operazione questa preclusa in sede dì
legittimità dopo la modifica dell’art. 360 co. 1 n.
5 c.p.c.

Peraltro, quanto ai fatti storici indicati dal teste
ed asseritamente ignorati dal giudice d’appello, deve rilevarsi che la corte
territoriale ha considerato quanto indicato dal teste ed escluso la rilevanza
della relativa deposizione, in quanto inidonea a provare un’esposizione
qualificata all’amianto da parte dei ricorrenti.

Inammissibile è il secondo motivo di ricorso, in
quanto il preteso vizio si riferirebbe comunque a fatto non decisivo, non
essendo stata affatto fornita per il lavoratore D.G. – che ha pacificamente
iniziato a lavorare nel 1986 – prova di una esposizione qualificata per il
periodo di durata previsto dalla legge.

Come precisato da questa Corte, infatti (tra la
altre, Cass. Sez. L, Sentenza n. 17632 del
28/07/2010, Rv. 614988 – 01), l’attribuzione del beneficio di cui all’art.
13, ottavo comma, della legge n. 257 del 1991 (nel testo risultante dalle
modifiche apportate dall’art. 1,
primo comma, del decreto legge n. 169 del 1993, convertito nella legge n. 271 del 1993) richiede che il lavoratore
sia stato adibito per oltre un decennio a mansioni comportanti un effettivo e
personale rischio morbigeno a causa della presenza, nei luoghi di lavoro, di
una concentrazione di fibre di amianto che, per essere superiore ai valori
limite indicati dall’art. 24
del d.lgs. n. 277 del 1991 e successive modifiche, renda concreta e non
solo presunta la possibilità del manifestarsi delle patologie che la sostanza è
idonea a generare.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti processuali per il
raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso;

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di
lite, che si liquidano in euro 3000 per competenze professionali ed euro 200
per esborsi, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed
accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13,
ove dovuto.

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