Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 novembre 2020, n. 33415
Coordinatore della sicurezza del cantiere, Assenza di
ponteggi o delle impalcature, Reato di omicidio colposo, Mancata applicazione
delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e delle relative procedure
di lavoro, Non tenuto ad un puntuale controllo delle singole attività
lavorative, Resposnsabilità, Violazioni strutturali e macroscopiche lacune
nei presidi di sicurezza, Negligente vigilanza circa la generale configurazione
del cantiere
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Roma ha confermato la
sentenza con cui D.C.V., in qualità di datore di lavoro, e L.E., in qualità di
coordinatore della sicurezza del cantiere in fase esecutiva, riconosciute le
generiche equivalenti alla contestata aggravante, sono stati condannati alla
pena sospesa di anni 1 di reclusione ed al risarcimento dei danni nei confronti
della costituita parte civile per il reato di omicidio colposo ex artt. 113 e 589,
secondo comma, cod.pen., per aver posto in essere le condizioni
determinanti il decesso di V.F., il quale precipitava da una scala in
costruzione di circa 5 metri – in particolare L.E., in violazione dell’art. 5, commi 1 e 2, d.lgs. n. 494 del
1996 non assicurava l’applicazione delle disposizioni contenute nei piani
di sicurezza e delle relative procedure di lavoro e non adeguava i suddetti
piani individuando misure idonee a prevenire i rischi connessi alle attività da
svolgere – 28 marzo 2003.
2. Avverso tale sentenza ha tempestivamente proposto
ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, il solo imputato L.E.,
che ha dedotto: 1) la mancanza o apparenza della motivazione e l’omessa
pronuncia sulle censure di appello, contenendo la sentenza di appello un mero
rinvio a quella di primo grado, senza alcuna valutazione delle doglianze
formulate (in particolare in ordine alla colpa, il giudice dell’impugnazione
non si è pronunciato sull’assoluta adeguatezza del piano di sicurezza, che
prevedeva l’installazione di ponteggi intorno al fabbricato in corso di
realizzazione, e non richiedeva, pertanto, alcuna integrazione); 2) il vizio di
motivazione, con travisamento, e la violazione di legge, anche relativamente
agli artt. 192 e 530
cod.pen., in ordine alla colpa specifica, a) essendo stata affermata la
necessità di adeguare il piano di sicurezza, che, al contrario, dalle prove
espletate è risultato del tutto idoneo; b) non essendo stata valutata la sua
posizione di mero coordinatore, tenuto ad un’alta vigilanza, che non può
tradursi in un controllo puntuale delle singole attività e non va confuso con
la vigilanza operativa, spettante al datore di lavoro, così attribuendogli la
responsabilità per un incidente correlato all’estemporaneo sviluppo dei lavori;
c) non essendosi tenuto conto di quelle prove, evidenziate in appello, da cui
si evince la presenza assidua di L.E. sul cantiere, anche il giorno prima
rispetto a quella del sinistro, ed il tempo alquanto esiguo necessario per
realizzare il dispositivo di sicurezza necessario ad evitare il decesso
(cassaforma in tavolato di legno); d) essendosi affermato che il manufatto,
nella sua interezza, era privo di ponteggi, mentre, come emerge dalla
deposizione del teste D. solo su quella facciata mancava il ponteggio ed era
sufficiente un giorno per il relativo smontaggio; 3) l’intervenuta prescrizione
già in epoca anteriore alla sentenza di appello, essendo applicabile la
disciplina anteriore a quella attuale, introdotta dalla I. n. 251 del 2005, più favorevole, stante la
mancata previsione del raddoppio del termine finale massimo di prescrizione; 4)
la motivazione meramente apparente in ordine alla quantificazione della pena ed
al giudizio di comparazione delle circostanza.
1. In via preliminare occorre osservare che, ai
sensi dell’art. 10, comma 2, della
I. n. 251 del 2005, ferme restando l’art. 2 del
codice penale quanto alle altre norme della presente legge, le disposizioni
dell’articolo 6 (tra cui quella del comma 6, che prevede il raddoppio del
termine di prescrizione per l’art. 589, secondo e
terzo comma, cod.pen.) non si applicano ai procedimenti e ai processi in
corso se i nuovi termini di prescrizione risultano più lunghi di quelli
previgenti. Tuttavia, nel caso di specie, il termine massimo di prescrizione
per il reato in esame resta invariato (prima e dopo la legge n. 251 del 2005), corrispondendo a 15 anni
sia in virtù del combinato disposto degli artt. 157,
n. 3, e 160, ultimo comma, ultimo periodo, cod.pen.,
nella formulazione vigente all’epoca del fatto (2003), sia in virtù dell’art. 157, sesto comma, nella formulazione
attualmente vigente.
Ad ogni modo, il reato, oggetto del presente
giudizio, che risale al 28 marzo 2003, risulta prescritto, successivamente alla
sentenza di appello, in data 2 marzo 2019, tenendosi conto dei periodi di
sospensione intervenuti dal 1 luglio 2005 al 3 marzo 2006 e dal 3 aprile 2009
al 3 luglio 2009. Ne discende che la sentenza impugnata va annullata senza
rinvio, agli effetti penali, per essere il reato contestato estinto per
prescrizione.
Da ciò deriva, pertanto, l’assorbimento dell’ultima
censura avente ad oggetto la quantificazione della pena.
2. Le due residue doglianze (la prima e la seconda)
devono, tuttavia, essere esaminate agli effettivi civili, ai sensi dell’art. 578 cod.proc.pen., che stabilisce che, quando
nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle
restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della
parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il
reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai
soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli
interessi civili.
3. Può procedersi all’esame congiunto dei motivi,
aventi ad oggetto la carenza o, comunque, inadeguatezza della motivazione e la
violazione di legge in ordine alla responsabilità dell’imputato, nella sua
qualità di coordinatore, in considerazione dell’adeguatezza dei piani redatti,
non necessitanti di alcuna integrazione, e della mancata prova dell’omessa alta
vigilanza, richiesta a tale figura professionale, alla luce delle risultanze
istruttorie (da cui sarebbe emersa la presenza continua del ricorrente sul
cantiere, la sussistenza dei ponteggi su tre lati del manufatto, la possibilità
di una rapida rimozione dei dispositivi di sicurezza richiesti).
In proposito occorre premettere che, in tema di
infortuni sul lavoro, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ai
compiti che gli sono affidati dall’art.
5 del d.lgs. n. 494 del 1996 (ed oggi dall’art. 92 del d.lgs. n. 81 del 2008),
ha una autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione
delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, ma non è tenuto anche
ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività
lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro,
dirigente, preposto), salvo l’obbligo, previsto prima dall’art. 5, comma 1, lett. b, e ora
dall’art. 92, lett. f), del
d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione
alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e
imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica
degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (v., per tutte,
Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016 ud. – dep. 04/07/2016, Rv. 267735 – 01). Il
coordinatore per l’esecuzione dei lavori non risponde, pertanto, di quelle
violazioni che non siano strutturali, ma solo occasionali ed estemporanee e che
non è tenuto a prevenire ed evitare con una presenza assidua e costante sul
cantiere; risponde, invece, di quelle macroscopiche lacune nei presidi di
sicurezza, in sede esecutiva, che sono state rese possibili proprio dalla sua
negligente vigilanza circa la generale configurazione del cantiere, tra cui
sicuramente può ricomprendersi l’assenza dei ponteggi o delle impalcature (su
una sola facciata o sull’intero manufatto). Si è anche precisato che la sua
funzione di alta vigilanza ha ad oggetto esclusivamente il rischio c.d.
generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all’ambiente di lavoro,
al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla
convergenza in esso di più imprese; ne consegue che il coordinatore non
risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio
dell’attività dell’impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016 ud. – dep.
23/01/2017, Rv. 269046 – 01).
Nel caso di specie, nella sentenza di primo grado si
legge a p. 4 che presso il cantiere mancava il parapetto a protezione della
scala in costruzione, necessario a evitare il rischio di caduta dall’alto, e
che il lato dell’edificio su cui avveniva l’infortunio era privo di strutture
di protezione; nella sentenza di secondo grado si legge che “non solo la
scala in corso di realizzazione era priva di qualsiasi sicura protezione ma
anche il manufatto nella sua interezza era privo di quelle opere provvisionali
(ponteggi, impalcature, parapetti) che se realizzate avrebbero impedito la
verificazione dell’evento”.
Alla luce di tale premessa, il ricorso non può
essere accolto, in quanto le doglianze formulate non risultano decisive,
essendo inidonee ad escludere la principale condotta contesta (di mancata alta
vigilanza), a cui è stata ricondotta dai giudici di merito la responsabilità
del coordinatore. Il ricorrente si è limitato a proporre una diversa
ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata in sentenza, denunciando un
asserito travisamento delle prove, ma ha confermato che, da un lato, il piano
di sicurezza prevedeva l’installazione di ponteggi intorno al fabbricato in
corso di costruzione e, dall’altro lato, che proprio sul lato ove la vittima
lavorava ed è precipitata mancava il ponteggio. La prospettazione difensiva, in
base alla quale il ponteggio sarebbe stato smontato nella notte o, comunque,
successivamente al suo ultimo accesso in cantiere, è un’allegazione di fatto,
inammissibile in sede di legittimità. Né il ricorrente è stato in grado di
indicare le prove, non valutate dai giudici di merito, idonee a dimostrare tale
circostanza.
Per mera completezza deve aggiungersi che l’asserita
adeguatezza del piano originario (e la non necessità di una sua integrazione)
non eliminerebbe l’altra omissione, ben più rilevante nella configurazione
dell’illecito contestato, potendo al più incidere l’assenza di una delle
contestate violazioni sul grado della colpa del ricorrente, parametro di
quantificazione della pena, che, tuttavia, in considerazione dell’annullamento
ai fini penali della sentenza, non è stata applicata.
4. In conclusione, la sentenza impugnata va
annullata, agli effetti penali, per l’intervenuta prescrizione del reato in
relazione all’imputato L.E., mentre il presente ricorso va rigettato agli
effetti civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli
effetti penali, in relazione all’imputato L.E., perché il reato è estinto per
prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.