Giurisprudenza – TRIBUNALE DI PALERMO – Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 36015

Licenziamento per giusta causa, Impugnazione a mezzo di posta
elettronica certificata, Mancanza dei requisitidi forma di cui all’art. 2702 c.c.

 

Con ricorso depositato in data 13.11.2019 la parte
ricorrente in epigrafe – dipendente della società resistente dal 5.11.2012 al
22.7.2019 – ha chiesto dichiararsi la nullità e/o l’illegittimità del
licenziamento per giusta causa intimatole dalla convenuta e, per l’effetto,
condannarsi quest’ultima a reintegrarla nel posto di lavoro ed a corrisponderle
una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto
dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione
(maggiorata di rivalutazione ed interessi come per legge), oltre al versamento
dei contributi previdenziali e assistenziali, dal giorno del licenziamento sino
a quello dell’effettiva reintegrazione.

La società convenuta, ritualmente costituitasi in
giudizio, ha preliminarmente eccepito l’intervenuta decadenza dell’impugnativa
di licenziamento e, nel merito, ha variamente contestato l’infondatezza del
ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.

In particolare, la società resistente ha dedotto di
aver ricevuto l’impugnativa di licenziamento in data 12.9.2019 unicamente a
mezzo di posta elettronica certificata dall’indirizzo del procuratore della
parte ricorrente, alla quale veniva allegata una copia scansionata in pdf della
lettera di impugnativa. Tale documento non era firmato digitalmente né dal
lavoratore né dal procuratore di parte ricorrente. Inoltre alla suddetta pec
non veniva allegata né procura alle liti né un’attestazione di conformità degli
atti allegati. In virtù delle superiori considerazioni, la società convenuta ha
ritenuto il documento in questione inidoneo a far salvo il termine di decadenza
di sessanta giorni, perché privo dei requisiti di forma di cui all’art. 2702 c.c.

La causa, originariamente incardinata dinanzi ad
altro giudice e successivamente riassegnata a codesto giudice, senza alcuna
istruzione, è stata posta in decisione.

Merita accoglimento la preliminare eccezione di
decadenza formulata dalla parte resistente in memoria di costituzione poiché
emerge dalla documentazione in atti che l’impugnativa di licenziamento non è
stata effettuata entro il termine di sessanta giorni stabilito dall’art. 6 della legge n. 604/1966
(così come modificato dall’art.
32 della l. n. 183/2010).

Anzitutto, giova ricordare che l’art. 6 l. n. 604/1966
stabilisce al comma 1 che “il licenziamento deve essere impugnato a pena
di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in
forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei
motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale,
idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento
dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento
stesso”. Com’è noto, l’atto di impugnazione di licenziamento, quale
negozio giuridico unilaterale recettizio dispositivo ricettizio, deve giungere a
conoscenza del datore di lavoro per produrre i suoi effetti.

Quanto alla forma di tale atto di impugnazione, la
Suprema Corte di Cassazione è granitica nel ritenere che il licenziamento può
essere impugnato con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, purché
idoneo a manifestare al datore di lavoro, indipendentemente dalla terminologia
usata e senza necessità di formule sacramentali, la volontà del lavoratore di
contestare la validità e l’efficacia del licenziamento (ex plurimis, cfr. Cass.
n. 2200/1999; Cass. n. 7405/1994).

Facendo applicazione della menzionata disposizione
di legge e dei principi giurisprudenziali sopra illustrati, si può osservare
che, a ben vedere, ad essere libero è esclusivamente il contenuto dell’atto di
impugnativa di licenziamento ma non il mezzo della rappresentazione
documentale, che il legislatore richiede expressis verbis essere quello della
scrittura. Ma perché un documento redatto per iscritto possa inequivocabilmente
manifestare la volontà da parte del lavoratore di contestare la legittimità del
recesso, il prius logico è che con sicurezza possa ricondursi quel documento
(che detta manifestazione di volontà contiene) al suo autore (sul punto cfr.
anche Cass. n. 7610/1991, secondo cui l’atto
scritto deve essere incontrovertibilmente riferibile al lavoratore).

D’altronde, come ebbe ad esprimersi antica e
autorevole dottrina, “tutta la teoria del documento è dominata dal
problema della sua paternità”.

Le modalità mediante cui può essere individuata la
provenienza del documento – il mancato rispetto delle quali comporta
l’inidoneità del documento a soddisfare il requisito legale richiesto (con la
conseguente impossibilità di attribuzione del documento al suo autore) – sono
strettamente disciplinati dalla legge e si differenziano a seconda della
”materia” del documento stesso: e se per il documento cartaceo soccorrono sul
punto (per lo più) le norme contemplate dal codice civile, per il documento
informatico e le copie informatiche di documenti analogici le disposizioni di
riferimento sono contenute nel d.lgs. n. 82/2005,
così come modificato dal d.lgs. 179/2016 e d.lgs. n. 217/2017 (c.d. Codice
dell’Amministrazione Digitale – c.a.d.).

Specificamente, per quel che in tale sede interessa,
la copia per immagine su supporto informatico di un documento in originale
cartaceo trova la sua disciplina nell’art. 22 d.lgs. n. 82/2005,
rubricato per l’appunto “copie informatiche di documenti analogici”,
che recita: “1.1 documenti informatici contenenti copia di atti pubblici
scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti
amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico, spediti o
rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali hanno
piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e
2715 del codice civile, se sono formati ai
sensi dell’articolo 20, comma 1-bis, primo periodo. La loro esibizione e
produzione sostituisce quella dell’originale.

1-bis. La copia per immagine su supporto informatico
di un documento analogico è prodotta mediante processi e strumenti che
assicurano che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a
quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti
o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche
in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto
dell’originale e della copia.

2. Le copie per immagine su supporto informatico di
documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa
efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro
conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò
autorizzato, secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71.

3. Le copie per immagine su supporto informatico di
documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle
regole tecniche di cui all’articolo 71 hanno la stessa efficacia probatoria
degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è
espressamente disconosciuta.

4. Le copie formate ai sensi dei commi 1,1-bis, 2 e
3 sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali formati in origine su
supporto analogico, e sono idonee ad assolvere gli obblighi di conservazione
previsti dulia legge, salvo quanto stabilito dal comma 5.

5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri possono essere individuate particolari tipologie di documenti
analogici originali unici per le quali, in ragione di esigenze di natura
pubblicistica, permane l’obbligo della conservazione dell’originale analogico
oppure, in caso di conservazione sostitutiva, la loro conformità all’originale
deve essere autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò
autorizzato con dichiarazione da questi firmata digitalmente ed allegata al
documento informatico”.

Alla luce della superiore disposizione, quindi, la
scansione dell’impugnazione cartacea può avere la stessa efficacia probatoria
dell’originale da cui è estratta nei seguenti casi: 1) se ad essa è apposta una
firma digitale o elettronica qualificata o elettronica avanzata dal lavoratore
e/o dal difensore (giusto il richiamo operato dal comma 1 dell’art. 22 d.lgs.
n. 82/2005 all’art. 20 comma 1 bis primo periodo d.lgs. cit.); in tale caso,
infatti, l’atto scansionato acquista natura di “documento
informatico”; 2) se è accompagnata da valida attestazione di conformità di
un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le regole
stabilite ai sensi dell’art. 71 d.lgs. n. 82/2005 (art. 22, comma 2, d.lgs. n.
82/2005) ; 3) se è stata formata in origine su supporto analogico nel rispetto
delle regole tecniche di cui all’art. 71 d.lgs. 82/2005 e la sua conformità
all’originale non è espressamente disconosciuta (art. 22, comma 3, d.lgs. n.
82/2005).

Nel caso di specie, l’atto cartaceo scansionato non
è sottoscritto dal lavoratore e/o difensore né digitalmente né
elettronicamente, così come non è dotato di alcuna attestazione di conformità
nei termini richiesti dalla legge né è stato formato nel rispetto delle linee
guida AGID (richiamate dal citato art. 71 d.lgs. 82/2005). Non ricorrendo
neanche uno dei tre elementi testé indicati, non si può che concludere che la
trasmissione al datore di lavoro, tramite la pec del difensore, di una siffatta
scansione di una comunicazione cartacea di impugnativa di licenziamento non è
idonea ad impedire la decadenza ex art. 6 1. n. 604/1966.

Infatti, come correttamente rilevato dalla
giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Monza del 29 gennaio 2020), la procedura
di trasmissione mediante PEC da parte del difensore si limita a certificare
l’avvenuta spedizione e ricezione della comunicazione, con conseguente
individuazione sia del mittente che del destinatario, ma non può certificare la
conformità degli atti allegati.

Né contrari argomenti possono desumersi da pronunce
(anche di legittimità) formatesi in tema di impugnativa di licenziamento
mediante “telegramma” (ex multis, Cass. n. 19689/2003; n. 6749/1996)
– come sostenuto in udienza dal procuratore di parte ricorrente – stante che
quest’ultima fattispecie è disciplinata dalla particolare previsione dell’art.
2705 c.c., che – in assenza di lacuna legislativa (atteso che, come si è detto,
è già previsto il c.a.d.) – non può applicarsi analogicamente anche all’atto di
impugnativa in questione.

Assorbita ogni altra questione, il ricorso pertanto
non può trovare accoglimento. Si dichiarano integralmente compensate le spese
di lite tra le parti, tenuto conto della novità della questione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e dichiara compensate
integralmente le spese di lite tra le parti.

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