Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 novembre 2020, n. 26011

Indennità sostitutiva della reintegra, Termine di decadenza
per l’esercizio della facoltà di opzione, Possibilità di individuare un
momento di decorrenza diverso da quello indicato dalla legge, Esclusione

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 193 notificata il 20.11.2018 la
Corte d’Appello di Potenza, in accoglimento dell’appello proposto F. s.r.l. e
in riforma della pronuncia di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo
emesso su ricorso di A.L.E. e respinto la domanda di condanna della società al
pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra di cui all’art. 18, comma 5, legge n. 300
del 1970;

2. la Corte territoriale ha premesso che con
sentenza n. 54/2015 emessa in separato procedimento il Tribunale di Potenza
aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato alla A. il
28.12.2010 e condannato la società datoriale alla reintegra; che la sentenza
era stata pronunciata il 27.1.2015 con lettura in udienza del dispositivo e
della contestuale motivazione, ai sensi dell’art.
281 sexies, comma 2, c.p.c.; ha ritenuto che tale modalità realizzasse
l’immediata pubblicazione della sentenza, tenendo luogo del deposito in
cancelleria e della relativa comunicazione prevista dall’art. 430 c.p.c.;

3. ha affermato che, al fine di individuare il dies
a quo del termine di decadenza per l’esercizio della facoltà di opzione per
l’indennità sostitutiva della reintegra, dovesse applicarsi ratione temporis l’art. 18 della legge n. 300 del
1970, come modificato dalla legge n. 92 del
2012 secondo cui “la richiesta dell’indennità deve essere effettuata
entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza o
dell’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla
predetta comunicazione”;

4. ha considerato tardiva l’opzione esercitata dalla
lavoratrice per l’indennità sostitutiva della reintegra in data 17.4.2015,
rispetto alla comunicazione della sentenza avvenuta il 27.1.2015;

5. avverso tale sentenza A.L. E. ha proposto ricorso
per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso la F.
s.r.l.;

6. la proposta del relatore è stata comunicata alla
parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

 

Considerato che

 

7. col primo motivo di ricorso A.L. E. ha dedotto
omessa motivazione in ordine ai fatti costitutivi della domanda per violazione
dell’art. 24 Cost., errata e falsa applicazione
dell’art. 11 delle preleggi, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.;

8. ha affermato come la Corte di merito avesse
omesso di esplicitare le ragioni a fondamento della ritenuta applicabilità,
nella fattispecie oggetto di causa, dell’art. 18 St. Lav. nel testo
modificato dalla legge n. 92 del 2012; ha dato
atto di come il licenziamento fosse stato intimato il 31.12.2010; che il
ricorso di impugnativa dello stesso era stato depositato il 27.9.2011 e la
sentenza di primo grado emessa il 27.1.2015; che in data 8.4.15 la lavoratrice
aveva ricevuto comunicazione di reintegra da parte della società E.E. s.r.l.,
coobbligata solidale della F. s.r.l. e il 17.4.2015 aveva inviato rinuncia alla
reintegra; in base alla sentenza del 27.1.15, la stessa aveva proposto in data
27.7.2016 ricorso per decreto ingiuntivo chiedendo la condanna della società
datoriale al pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra; il decreto
ingiuntivo era stato emesso il 5.8.2016; ha sostenuto l’inapplicabilità delle
modifiche introdotte dalla legge n. 92 del 2012
ai licenziamenti, come quello in esame, intimato prima dell’entrata in vigore
della citata legge (18.7.2012);

9. col secondo motivo di ricorso è denunciata
violazione e falsa applicazione dell’art. 281
sexies, comma 2, c.p.c., dell’art. 430 c.p.c.
in relazione all’art. 18,
comma 5, della legge n. 300 del 1970 nonché dell’art.
345, comma 1, c.p.c., in relazione all’art.
360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.;

10. si censura la statuizione di secondo grado nella
parte in cui fa coincidere la conoscenza effettiva e completa della sentenza
dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, e quindi il dies a quo del
decorso del termine di decadenza per l’esercizio della facoltà di opzione per
l’indennità sostitutiva, con la lettura in udienza (27.1.2015) del dispositivo
e della contestuale motivazione; si sostiene che la lavoratrice ha avuto
conoscenza effettiva e completa della condanna alla reintegra solo l’8.4.2015,
per effetto della offerta di reintegra da parte della E.E. s.r.l., anche
nell’interesse della F. s.r.l.; inoltre, che la società avrebbe solo in appello
proposto nuove eccezioni sul decorso del termine di decadenza;

11. col terzo motivo di ricorso si censura la
decisione d’appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c. in relazione al D.M. 55/14, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.;

12. si definisce ingiusta ed eccessivamente gravosa
la condanna della lavoratrice alle spese del doppio grado merito, per
complessivi euro 15.686,00, in relazione sia al valore della causa e sia alla
specifica difficoltà indotta dal succedersi di diverse discipline in materia di
licenziamento;

13. i primi due motivi di ricorso, che si trattano
unitariamente per ragioni di connessione logica, sono infondati;

14. va premesso che il licenziamento intimato alla
Accetta nel 2010 ricade nella sfera di applicabilità dell’art. 18, comma 5, St. lav.
nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge
n. 92 del 2012; nei giudizi aventi ad oggetto i licenziamenti, al fine di
individuare la legge regolatrice del rapporto sul versante sanzionatorio,
occorre fare riferimento alla fattispecie negoziale del licenziamento, sicché
l’art. 1, comma 42 della legge n.
92 cit. si applica solo ai nuovi licenziamenti, ossia a quelli comunicati a
partire dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della nuova disciplina
(cfr. Cass. n. 16265 del 2015);

15. tuttavia, ciò non ha rilevanza ai fini di causa
in quanto sia il testo previgente dell’art. 18, comma 5, St. lav. e
sia quello modificato dalla legge n. 92 del 2012
individuano il dies a quo del termine decadenziale di trenta giorni per
l’esercizio della facoltà di opzione per l’indennità sostitutiva della
reintegra in relazione alla “comunicazione del deposito della
sentenza”;

16. nel caso di specie è pacifico che la sentenza
dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento e di condanna della società
datoriale alla reintegra sia stata pronunciata dal tribunale di Potenza
all’udienza del 27.1.2015 e che sia stata data lettura del dispositivo e della
contestuale motivazione della sentenza;

17. questa Corte (Cass.
n. 13617 del 2017) ha statuito che “In materia di controversie
soggette ai rito del lavoro, l’art. 429, comma 1,
c.p.c., come modificato dall’art.
53, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla I. n. 133 del 2008 – applicabile “ratione
temporis” – prevede che il giudice all’udienza di discussione decide la
causa e procede alla lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto
della decisione, sicché, in analogia con lo schema dell’art. 281 – sexies c.p.c., il termine
“lungo” per proporre l’impugnazione, ex art.
327 c.p.c., decorre dalla data della pronuncia, che equivale, unitamente
alla sottoscrizione del relativo verbale da parte del giudice, alla
pubblicazione prescritta nei casi ordinari dall’art.
133 c.p.c., con esonero, quindi, della cancelleria dalla comunicazione
della sentenza; viceversa, nella residuale ipotesi di particolare complessità
della controversia, in cui il giudice fissi un termine non superiore a sessanta
giorni per il deposito della sentenza, ai sensi dell’art.
430 c.p.c., il termine decorrerà dalla comunicazione alle parti
dell’avvenuto deposito da parte del cancelliere” (cfr. anche Cass. 14724
del 2018);

18. rappresenta un’eccezione alla regola suddetta il
rito Fornero in cui il decorso del termine per la proposizione del reclamo è
ancorato alla “comunicazione della sentenza o notificazione se
anteriore”; si è chiarito (Cass. n. 19862 del 2018) che “Il termine
breve di trenta giorni, previsto dall’art. 1, comma 58, della I. n. 92 del
2012, per la proposizione del reclamo alla corte di appello avverso la
sentenza del tribunale sulla impugnativa di licenziamento di cui all’art. 18 st. lav., decorre
solo dalla comunicazione della sentenza o dalla notificazione della stessa se
anteriore, senza che rilevi la lettura del provvedimento in esito all’udienza
ai sensi dell’art. 429 c.p.c., attesa la
specialità del rito rispetto alla disciplina ordinaria e la necessità di
interpretare restrittivamente la norma in tema di decadenza dall’impugnazione,
escludendosi pertanto la possibilità di individuare un momento di decorrenza
della stessa diverso da quello indicato dalla legge”.

19. con specifico riferimento all’opzione per
l’indennità sostitutiva della reintegra si è precisato che “In materia di
licenziamento, ai fini del decorso del termine di decadenza per l’esercizio
dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra, di cui all’art. 18, comma 5, st. lav.,
“ratione temporis” applicabile (nel testo anteriore alle modifiche
apportate dalla I. n. 92 del 2012), assume
rilevanza la conoscenza effettiva e completa da parte del lavoratore della
sentenza dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, a prescindere dalla
comunicazione di avvenuto deposito della stessa da parte della cancelleria,
situazione che ricorre nell’ipotesi di lettura integrale in udienza della
sentenza con motivazione contestuale” (Cass. sez. 6 n. 19489 del 2018; Cass. n. 203 del 2016);

20. La Corte di merito ha deciso in modo conforme ai
citati precedenti di legittimità nel momento in cui ha dichiarato decaduta la
lavoratrice dalla facoltà di opzione per l’indennità sostitutiva della
reintegra esercitata il 17.4.2015, rispetto alla lettura in udienza del
dispositivo e della contestuale motivazione avvenuta il 27.1.2015;

21. nessun rilievo può attribuirsi all’offerta di
reintegra dell’8.4.2015 da parte di società coobbligata con la datrice di
lavoro, in quanto successiva alla comunicazione del deposito della sentenza, a
cui è equiparata la lettura del dispositivo e della motivazione contestuale;

22. il terzo motivo di ricorso è parimenti
infondato;

23. costituisce orientamento costante quello secondo
cui, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza
va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere
condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con
riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione
è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo
il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con
la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale
del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in
tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca,
quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla
loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi
fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613 del 2017);

24. nel caso di specie ed in ragione della
soccombenza della lavoratrice, la regolazione delle spese di lite adottata
dalla Corte d’appello non integra la denunciata violazione dell’art. 92 c.p.c. e neanche dei limiti tariffari,
risultando l’importo liquidato contenuto nei limiti minimo e massimo stabiliti
nelle tariffe professionali; quanto al rilievo della ingiustizia della condanna
alle spese della lavoratrice, deve rilevarsi come la sentenza della Corte Cost. n. 77 del 2018,
invocata dalla stessa ricorrente, abbia dichiarato “non fondata la
questione di legittimità costituzionale… mirante ad innestare nella
disposizione censurata, come deroga alla regola secondo cui la parte
soccombente è condannata alla rifusione delle spese di lite in favore della
parte vittoriosa – oltre alle ipotesi nominativamente previste dalla
disposizione stessa, come integrate dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale
nei termini di cui sopra al punto 16. – un’ulteriore deroga centrata sulla
natura della lite, perché controversia di lavoro, ed a favore solo del
lavoratore che agisca in giudizio nei confronti del datore di lavoro”; la
Corte Cost. ha fatto specificamente leva sul canone della par condicio
processuale previsto dal secondo comma dell’art.
111 Cost. secondo cui «ogni processo si svolge […] tra le parti, in
condizioni di parità» e sul rilievo che “per altro verso la situazione di
disparità in cui, in concreto, venga a trovarsi la parte “debole”
ossia quella per la quale possa essere maggiormente gravoso il costo del
processo, anche in termini di rischio di condanna al pagamento delle spese
processuali, sì da costituire un’indiretta remora ad agire o resistere in
giudizio trova un possibile riequilibrio, secondo il disposto del terzo comma
dell’art. 24 Cost., in «appositi istituti»
diretti ad assicurare «ai non abbienti […] i mezzi per agire e difendersi
davanti ad ogni giurisdizione»;

25. per le considerazioni svolte il ricorso deve
essere respinto;

26. le spese di lite sono regolate secondo il
criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

27. si dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali di cui all’art. 13,
comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre
2012 n. 228.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi
professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella
misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13, se dovuto.

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