Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 dicembre 2020, n. 27422

Mansioni di capotreno, Incauta custodia di biglietti, Furto
di un borsello agganciato al trolley mentre si recava al treno, Disposizione
unilaterale con cui era stato stabilito il valore convenzionale del singolo
biglietto, Obbligo di risarcire il danno, non vincolante per il lavoratore,
Illegittima la trattenuta, Danno risarcibile va provato, Clausola penale,
Mezzo rafforzativo del vincolo contrattuale, Effetti dell’eventuale inadempimento

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Torino, confermando la
decisione di primo grado, ha ritenuto illegittima la trattenuta della somma di
€ 1.120,00 operata dalla società T. nei confronti di T.P., capo treno, in
relazione ad una contestata incauta custodia di 56 biglietti sottrattigli in
occasione del furto di un borsello agganciato al trolley mentre si recava al
treno.

2. Il giudice di appello ha ritenuto che la
circolare n. 1 del 2009 – disposizione unilaterale con la quale era stato stabilito
il valore convenzionale del singolo biglietto ed era stato previsto, in caso di
smarrimento, l’obbligo di risarcire il danno – non era vincolante per il
lavoratore. Ha osservato che la condotta illecita che aveva determinato lo
smarrimento era sanzionabile disciplinarmente (tanto che era stata inflitta una
multa) e che il danno, per essere risarcito, doveva essere provato ben potendo
accadere che dallo smarrimento non ne derivasse alla società alcuno. Ha escluso
che potesse essere inquadrato come clausola penale e, con riguardo alla prova
del danno, ha ribadito che se il valore convenzionale era quello da assegnare
in caso di prova del fraudolento utilizzo dei biglietti, tuttavia era comunque
necessario provare che gli stessi erano stati effettivamente utilizzati.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso T. s.p.a. con un unico motivo al quale ha opposto difese con
controricorso T.P.. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1. cod. proc.civ..

 

Considerato che

 

4. Con l’unico articolato motivo la società T.
deduce che la sentenza sarebbe incorsa nella violazione e falsa applicazione
degli artt. 1362 e segg. cod.civ. in relazione
all’art. 51 del CCNL Attività ferroviarie e nella violazione e falsa
applicazione dell’art. 1326 cod.civ. in
combinato disposto con l’art. 1382 cod.civ..

4.1. Deduce la ricorrente che nella circolare
Divisionale n. 1 del 13.10.2009, da considerare regolamento interno, sarebbe
stata prevista una clausola penale che era stata accettata dal lavoratore,
odierno controricorrente, al quale era stata comunicata iI 28.12.2009.

4.2. Osserva che l’art. 51 del CCNL delle Attività
ferroviarie, in vigore all’epoca in cui si sono svolti i fatti, sotto la
rubrica «Doveri del Personale» prevede che il dipendente debba «svolgere con
diligenza e con spirito di collaborazione le proprie mansioni, osservando le
disposizioni del presente contratto e i regolamenti interni dell’azienda».

4.3. Ritiene pertanto che una volta accertato che il
regolamento interno era stato inviato ai dipendenti, esso, per espressa
previsione contrattuale – collettiva, sarebbe già fonte obbligatoria per il
dipendente, senza necessità di una sua esplicita adesione o di una successiva
ratifica di carattere collettivo. Accettato nei termini esposti il regolamento,
pertanto, il lavoratore sarebbe vincolato ad esso anche quanto alle conseguenze
economiche dei suoi inadempimenti e per effetto della clausola penale
stabilita.

4.4. Sottolinea infine che irragionevole sarebbe
porre a carico della società l’onere di dimostrare il danno che ben avrebbe
potuto essere liquidato ai sensi dell’art. 1226
cod.civ..

5. Il ricorso non può essere accolto.

5.1. La Corte di merito – nell’escludere che l’art.
51 del c.c.n.l. delle Attività Ferroviarie, in uno con la circolare n. 1 del
2009 comunicata al dipendente, integrassero una valida clausola penale – non è
incorsa nella denunciata violazione delle norme sull’interpretazione.

5.2. La Corte di appello ha valorizzato infatti
l’aspetto, decisivo, che l’accettazione del valore convenzionale dei biglietti
non implica automaticamente l’accettazione di un obbligo di risarcire ogni
biglietto smarrito con l’importo ivi definito senza che si sia accertato
preventivamente il danno.

5.3. La clausola penale si configura come mezzo
rafforzativo del vincolo contrattuale sul diverso e successivo piano degli
effetti dell’eventuale inadempimento. Essa costituisce una concordata
liquidazione anticipata del danno derivatone, indipendentemente dalla prova
della sua effettiva esistenza. Se l’ammontare fissato nella clausola penale
venga a configurare, secondo l’apprezzamento discrezionale del giudice, un
abuso o uno sconfinamento dell’autonomia privata oltre determinati limiti di
equilibrio contrattuale, questa può essere equamente ridotta. Si tratta di
pattuizione accessoria del contratto convenuta dalle parti per rafforzare, da
un lato, il vincolo contrattuale e per stabilire, dall’altro, preventivamente,
una determinata sanzione per il caso di inadempienza o di ritardo
nell’adempimento, con l’effetto di limitare alla prestazione prevista il
risarcimento del danno indipendentemente dalla prova dell’effettivo pregiudizio
economico verificatosi (cfr. Cass. n. 5305 del 1984, n. 10626 del 2007 e su
fattispecie analoga alla presente Cass. n. 34119 del 2019).

5.4. Presupposto indispensabile per la sua esistenza
e che essa sia stata oggetto di specifica contrattazione e comunque
approvazione poiché la previsione di clausole penali accessorie al contratto di
lavoro non si sottrae alla regola comune della necessità del consenso e non
rientra tra i poteri unilaterali di conformazione della prestazione di lavoro
rimessi alla parte datoriale (Cass. n. 8726 del
2019).

5.5. Della verifica di tale aspetto si è fatta
carico la sentenza impugnata che nell’interpretare la circolare ha
correttamente evidenziato che si trattava di atto unilaterale del datore di
lavoro che conteneva direttive ma non era stato oggetto di contrattazione,
accordo con le organizzazioni sindacali, né era stato accettato dal lavoratore
al quale era stato solo comunicato (è la stessa società ad affermare che questi
l’ha ricevuto in consegna il che non implica una neppure implicita
accettazione).

5.6. In definitiva, in mancanza di un “incontro
di volontà” formalizzato in un atto, non può ravvisarsi, nella
fattispecie, la sussistenza di alcuna clausola penale.

5.7. Quanto alla richiesta formulata in via
subordinata, di liquidazione equitativa del danno, la stessa è inammissibile
poiché non è dato sapere se sia stata ritualmente avanzata nei gradi di merito.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e
le spese vanno poste a carico della società soccombente nella misura indicata
in dispositivo. Ai sensi dell’art.
13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13
se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in € 2000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli
accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali perii
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13
se dovuto.

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