Nel corso del periodo di ferie, il dipendente ha diritto di percepire la retribuzione ordinaria, e, cioè, di godere di condizioni economiche paragonabili a quelle relative allo svolgimento della sua attività lavorativa.

Nota a Cass. (ord.) 15 ottobre 2020, n. 22401

Sonia Gioia

Al prestatore di lavoro è riconosciuto il diritto irrinunciabile a ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane al fine di consentire il recupero delle energie psico-fisiche e la realizzazione di esigenze anche ricreative personali e familiari (v. art. 36, co. 3, Cost.; art. 2109, co. 2, c.c.; art. 10, co.1, D.LGS. n. 66/2003, nonché a livello sovranazionale, art. 7, Direttiva 2003/88/CE e art. 31, n. 2, Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea).

Per tale periodo di riposo, “il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria”, che va calcolata tenendo conto “obbligatoriamente” di tutti gli emolumenti che remunerano qualsiasi “incomodo” intrinsecamente collegato all’esecuzione delle proprie mansioni o correlati allo status personale e professionale, con esclusione delle sole erogazioni dirette a coprire spese occasionali o accessorie.

Lo ha precisatola Corte di Cassazione (ord. 15 ottobre 2020, n. 22401) in relazione al ricorso di un lavoratore per avere la Corte di merito escluso, dalla base di calcolo della retribuzione del periodo feriale, la somma erogata a titolo di indennità di navigazione.

I giudici, nel riformare la pronuncia di merito (App. Messina n. 208/2018), hanno anzitutto analizzato il quadro normativo europeo e l’indirizzo della Corte di Giustizia in materia di retribuzione dovuta per il periodo di distensione e riposo.

Il diritto inderogabile a ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane costituisce un “principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione” (CGUE 20 luglio 2016, C-341/15), la cui attuazione da parte degli Stati membri deve avvenire entro i limiti espressamente indicati dalla normativa comunitaria (CGUE 12 giugno 2014, C-118/13).

In particolare, ai sensi dell’art. 7, Direttiva 2003/88/CE, al lavoratore sono riconosciuti il diritto alle ferie annuali e quello all’ottenimento di un pagamento a tale titolo, che rappresentano le due componenti dell’unico diritto a “ferie annuali retribuite” (CGUE 13 dicembre 2018, C-385/17; CGUE 15 settembre 2011, C-155/10; CGUE 20 gennaio 2009, C -350/06 e 620/06).

Con riguardo al secondo aspetto, la retribuzione, in occasione della fruizione delle ferie,  “deve essere mantenuta” (CGUE 15 settembre 2011, C-155/10, cit.; CGUE 20 gennaio 2009, C-350/06 e C-520/06, ambedue cit.; CGUE 16 marzo 2006, C-131/04 e C-257/04) e calcolata in modo da coincidere, in linea di principio, con quella ordinaria, con la conseguenza che una diminuzione del compenso idonea a dissuadere il dipendente dall’esercitare il diritto al riposo è illegittima in quanto in contrasto con le prescrizioni della Direttiva comunitaria (CGUE 13 dicembre 2018, C-385/17, cit.; CGUE 15 settembre 2011, C-155/10, cit.).

Ai fini del calcolo della remunerazione dovuta, occorre tener conto di “qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni” assegnate al lavoratore nonché di ogni indice retributivo correlato allo status personale e professionale, come la qualità di superiore gerarchico, l’anzianità o le qualifiche professionali (CGUE 22 maggio 2014, C-539/12; CGUE 15 settembre 2011, C-155/10, cit.). Diversamente, non devono essere calcolati “gli elementi della retribuzione complessiva diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie” che sopravvengono in occasione dell’esecuzione dell’attività lavorativa.

La normativa interna, laddove riconosce il diritto del prestatore di lavoro a “ferie retribuite”, nella misura minima di 4 settimane, senza, tuttavia, recare una specifica definizione di compenso dovuto, va interpretata in senso conforme alla “nozione Europea” di retribuzione, e, cioè, di quella fissata dall’art. 7, Direttiva 2003/88/CE, come interpretato dalla Corte di Giustizia.

A tale riguardo, il giudice di merito è tenuto a valutare, in primo luogo, il rapporto di funzionalità che intercorre tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del dipendente e le mansioni espletate in forza del suo contratto di lavoro e, in secondo luogo, verificare se il compenso erogato durante le ferie corrisponda a quello definito, “con carattere imperativo ed incondizionato”, dall’art. 7 Direttiva 2003/88/CE.

Nel caso di specie, la Corte ha cassato con rinvio ad altro giudice la pronuncia di merito per non aver svolto tale verifica con riferimento all’indennità di navigazione corrisposta, con continuità, al lavoratore ricorrente allo scopo di compensare il particolare impegno psicofisico e i relativi disagi connessi alla navigazione e al trasporto di merci pericolose in uno specifico tratto di mare, sul presupposto che il contratto collettivo aziendale ne avesse escluso la natura retributiva.

Nello specifico, la Corte d’appello aveva osservato che “i vari contratti integrativi aziendali succedutisi nel tempo (…) avevano previsto e disciplinato la “indennità di navigazione Stretto” con lo scopo di compensare il particolare impegno psicofisico e i relativi disagi connessi alla navigazione in tale tratto di mare, la quale prevede anche il trasporto di merci pericolose; con la conseguenza che, avendo l’indennità natura non retributiva (come, d’altra parte, espressamente convenuto dai contraenti), essa non poteva essere computata nella base di calcolo per la determinazione della retribuzione degli istituti indiretti”.

La Cassazione, accogliendo il ricorso del ricorrente, ha cassato la sentenza di merito affermando che è “compito del giudice di merito valutare, in primo luogo, il rapporto di funzionalità (…) che intercorre tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni ad esso affidate in ossequio al suo contratto di lavoro e, dall’altro, interpretate ed applicate le norme pertinenti del diritto interno conformemente al diritto dell’Unione, verificare se la retribuzione corrisposta al lavoratore, durante il periodo minimo di ferie annuali, sia corrispondente a quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, dall’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE. Tale verifica non è stata condotta dalla sentenza impugnata con riferimento all’indennità di navigazione c.d. “Stretto di (omissis)”, stabilita dal contratto collettivo aziendale, che va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di appello di Messina in diversa composizione; il giudice del rinvio, nel riesaminare la fattispecie, procederà al relativo accertamento conformandosi ai principi sopra enunciati”.

Sul tema, v. in questo sito, F. DURVAL e A. TAGLIAMONTE, Ferie e retribuzione, Monotema, n. 6/2019 e Cass. n. 13425/2019, con nota di F. DURVAL, Ferie e retribuzione: la Cassazione ricostruisce il quadro della normativa interna ed europea.

Retribuzione durante le ferie: i criteri di determinazione
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