Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 novembre 2020, n. 27345
Risarcimento del danno, Demansionamento, Insorgenza di una
patologia, Eziopatogenesi multifattoriale, Richiesta della lavoratrice di
essere spostata ad altre mansioni
Rilevato che
1. La Corte di appello di Bologna ha confermato la
sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda
proposta da M.D. nei confronti della R. Supermercati s.r.l. tesa ad ottenere la
condanna della società al risarcimento del danno da demansionamento oltre che
di quello conseguente all’insorgenza di una patologia tendinea e della cuffia
dei rotatori della spalla destra e del tunnel carpale alla mano, ai sensi dell’art. 2103, 2087, 2043 e 2049 cod. civ.
e per ottenere la tutela reale ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del
1970.
2. La Corte territoriale, per quanto ancora
interessa, ha in primo luogo escluso la nullità della sentenza in relazione
all’accertata difformità tra dispositivo letto e quello riprodotto nella
sentenza ( con il primo la lavoratrice era condannata alle spese mentre nel
secondo le stesse erano compensate) osservando che, in situazioni di tal fatta,
il dispositivo letto in udienza prevale su quello redatto in calce alla
sentenza.
3. Inoltre il giudice di secondo grado ha accertato
che la lavoratrice, inquadrata nel III livello del c.c.n.l., non era stata
assunta come capo reparto, come tardivamente allegato in appello, ed era stata
sempre adibita a mansioni riconducibili a quelle di commesso specializzato
provetto, rientranti nel livello posseduto.
4. La sentenza ha poi verificato che il tardivo
deposito della consulenza in primo grado non aveva in concreto pregiudicato il
diritto di difesa della D. e, inoltre, che le patologie lamentate – di cui ha
evidenziato l’eziopatogenesi multifattoriale – non erano ricollegabili
all’attività svolta, ed erano insorte già prima dell’inizio del rapporto. In
definitiva è stato escluso che fosse ravvisabile una negligenza da parte della
società datrice che non aveva assecondato una prima richiesta della lavoratrice
di essere spostata ad altre mansioni atteso che non era stata supportata da
documentazione medica.
5. In conclusione la Corte ha escluso che fosse
risultato accertato un inadempimento della datrice di lavoro fonte di
responsabilità e rilevante nel valutare la denunciata illegittimità del licenziamento
intimato alla lavoratrice in considerazione della sua sopravvenuta inidoneità
fisica.
6. Infine il giudice di appello ha accertato che la
D. non aveva allegato a quali mansioni avrebbe potuto essere adibita né se vi
erano posti disponibili corrispondenti con la professionalità acquisita. Con
riguardo alla posizione che si sarebbe liberata per effetto delle dimissioni di
una dipendente la Corte ha evidenziato che l’allegazione da un canto era
tardiva e comunque si riferiva ad una posizione resasi disponibile nel 2010
laddove il licenziamento era del 2008.
7. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
la D. affidato a quattro motivi ai quali resiste con controricorso la R.
Supermercati s.r.l..
Considerato che
8. Il primo motivo di ricorso, con il quale la
ricorrente deduce che la sentenza sarebbe incorsa nell’ omesso esame del
denunciato insanabile contrasto tra dispositivo letto in udienza e la
motivazione sul governo delle spese, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3, 4 e 5 cod. proc.
ritenuto correttamente che il dispositivo letto in udienza fosse prevalente
rispetto alla motivazione depositata non può essere accolto.
9. In disparte i profili di inammissibilità della
censura, che nella sua rubrica promiscuamente invoca vizi di violazione di
legge, processuali e di motivazione, va rilevato che la Corte di merito ha
esaminato la censura che veniva mossa alla sentenza ed ha accertato che in
presenza di una tale difformità il dictum contenuto nel dispositivo letto in
udienza acquisisce pubblicità con tale lettura e cristallizza stabilmente la
decisione assunta nella fattispecie concreta. Correttamente, allora, il giudice
di appello ha ritenuto che il dispositivo letto all’esito dell’udienza
prevalesse sulle enunciazioni della motivazione con lo stesso incompatibili.
Come ritenuto da questa Corte, infatti, queste ultime devono considerarsi come
non apposte ed inidonee a costituire giudicato (cfr. Cass. 17/11/2015 n. 23463,
19/06/2002 n. 8912).
10. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la
violazione dell’art. 112 cod. proc.civ. e dell’art. 1362 cod.civ. oltre che l’omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art.
360 primo comma n. 3 e 5 cod. proc. civ..
10.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito
sarebbe incorsa nella denunciata violazione di legge poiché erroneamente ha
ritenuto che la lavoratrice avesse denunciato il demansionamento con riguardo
alla qualifica di capo reparto (secondo livello del c.c.n.l. 14.12.1990)
laddove invece era stato denunciato che assunta nel terzo livello, a cui
competono mansioni prevalentemente di concetto, la ricorrente era stata invece assegnata
a mansioni esecutive semplici che erano invece riconducibili al quarto livello
del c.c.n.l. (commesso semplice invece che commesso specializzato provetto) e
sulla differenza tra tali qualifiche si era sviluppato il contraddittorio tra
le parti sin dal primo grado i giudizio.
11. Il motivo è infondato.
11.1. Come è noto, allorché si tratti di
individuare, ai fini dell’accertamento di un eventuale demansionamento, la
pertinenza delle mansioni svolte in concreto, rispetto ad una determinata
posizione funzionale, il procedimento logico-giuridico non può prescindere da
tre fasi successive, costituite dall’accertamento in fatto delle attività
lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e dei
gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, nonché dal raffronto tra
il risultato della prima indagine e le previsioni della normativa contrattuale
individuati nella seconda (cfr. tra le tante Cass.
26/03/2014 n. 7123 e 27/09/2010 n. 20272).
11.2. Orbene la sentenza della Corte territoriale,
contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, si preoccupa proprio di
verificare se, rispetto al terzo livello di inquadramento posseduto dalla
ricorrente, nel corso del rapporto, sia intervenuto il denunciato
demansionamento analizzando le caratteristiche astratte del profilo posseduto
(il terzo) e di quello inferiore (il quarto). Tiene conto delle mansioni in
concreto svolte dalla D. e quali risultanti dall’istruttoria espletata e ne
verifica la riferibilità all’una qualifica piuttosto che all’altra escludendo
che si fosse realizzato il demansionamento denunciato. Si tratta di
ricostruzione improntata a criteri giuridici corretti che non incorre nella
violazione di legge denunciata e trascura l’esame fatti che avrebbero potuto
determinare un esito diverso del giudizio che neppure è chiaramente dedotto.
La censura si risolve, nella sostanza, in una
richiesta di differente ricostruzione dei fatti che non è consentita nel
giudizio di legittimità.
12. Anche il terzo motivo di ricorso, con il quale
viene denunciata la violazione dell’art. 2103 cod.
civ., dell’art.13 della
legge n. 300 del 1970, degli artt. 3 e 103 c.c.n.l. 14.12.1990 e degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod.proc.civ..
non può trovare accoglimento.
12.1. Nel richiamare le considerazioni già svolte
sul secondo motivo va rilevato che la censura presenta anch’essa profili di
inammissibilità laddove propone una diversa e più favorevole ricostruzione dei
fatti accertati nell’istruttoria svolta. Di improcedibilità, poiché si duole di
un’errata interpretazione delle norme collettive che però non risultano
allegate al ricorso né è indicato dove sono reperibili nel fascicolo (cfr.
Cass. Sez. U. 25/03/2010 n. 7161, 20/11/2017 n. 27475, 04/03/2019 n. 6255). Nel
denunciare infine la violazione degli artt. 115
e 116 cod.proc.civ. trascura di considerare
che, secondo l’orientamento di questa Corte ( cfr. tra le tante Cass.
27/12/2016 n. 27000 e 17/01/2019 n. 1229 ), la denuncia non può porsi per una
erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito,
ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a
base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio
al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo
prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come
facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova
soggetti invece a valutazione. Nessuna di queste evenienze è ravvisabile nella
specie.
12.2. Escluso il denunciato demansionamento restano
assorbiti le censure che attengono al danno anche sotto il profilo della
denunciata perdita di chances.
12.3. Per quanto riguarda poi la denunciata perdita
del 10% della retribuzione conglobata la censura appare nuova. La Corte non ne
fa alcun cenno e la ricorrente trascura di chiarire come, dove e quando la
questione era stata effettivamente sollevata davanti al giudice di merito.
13. Con il quarto motivo di ricorso è denunciato
l’omesso esame di fatti storici posti a base delle conclusioni del ctu e delle
critiche mosse con riguardo alle patologie muscolo scheletriche accertate. La
violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. e degli artt. 2103, 2087 e
1218 cod.civ. in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod. proc.civ..
Sostiene la ricorrente che la Corte di merito
nell’avallare le conclusioni del consulente non si è avveduta, nonostante le
critiche formulate, della loro intrinseca contraddittorietà e della mancata adozione
di un metodo scientifico specifico per le malattie lavoro correlate. Non ha
tenuto conto della specificità del caso concreto e delle puntuali critiche
mosse dal consulente di parte e si è fondata su dati errati cronologicamente.
Da tali premesse la ricorrente fa discendere
l’illegittimità del licenziamento intimatole oltre che il suo diritto al
risarcimento del danno.
13.1. Rileva il Collegio che con l’articolata
censura è ripercorsa la ricostruzione operata dal consulente d’ufficio e
vengono esaminati tutti gli elementi di
fatto acquisiti al giudizio e valutati dal Consulente di cui è proposta una
valutazione differente senza considerare che con il ricorso per cassazione la
parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione,
la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della
fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli
accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di
legittimità (cfr. Cass. 07/12/2017 n. 29404). Occorre considerare che la Corte
di appello ha motivatamente dissentito dalle critiche mosse alla consulenza,
critiche ribadite in appello spiegando in maniera puntuale le ragioni della
propria adesione alle conclusioni dell’ausiliare (cfr. Cass. 11/06/2018 n.
15147).
14. In conclusione, per le ragioni esposte, il
ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
in dispositivo. Ai sensi dell’art.
13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato
per il ricorso a norma dell’art.13
comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in € 5.300,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli
accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.