La richiesta di risarcimento del danno integrale per violazione dell’art. 2087 c.c. contiene quella di danno differenziale.
Nota a Cass. ord. 2 novembre 2020, n. 24202
Giuseppe Catanzaro
Qualora il lavoratore agisca in giudizio per l’accertamento, previo riconoscimento del nesso causale tra l’attività lavorativa svolta e la malattia contratta, della responsabilità del datore di lavoro per la violazione delle norme antinfortunistiche e del dovere di prevenzione in base all’art. 2087 c.c., con la conseguente condanna al risarcimento integrale dei danni, tale richiesta contiene anche quella di danno differenziale.
Questa l’affermazione della Corte di Cassazione (ord. 2 novembre 2020, n. 24202, conforme ad App. Roma n. 8302/2014), la quale specifica che “la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale è una domanda di carattere onnicomprensivo e che l’unitarietà del diritto al risarcimento e la normale non frazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta; ne consegue che, laddove nell’atto introduttivo siano indicate specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà di escludere dal petitum le voci non menzionate”.
Pertanto, la richiesta del lavoratore di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dall’inadempimento datoriale è idonea a fondare un petitum rispetto al quale il giudice dovrà applicare, anche ex officio, il meccanismo legale di cui al D.P.R. n. 1124/1965, art. 10, pur quando non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all’indennizzo. Ciò, posto che, dal momento che il differenziale rappresenta normalmente un minus rispetto al danno integrale preteso, la richiesta in questione non può essere considerata incompleta al punto da essere rigettata una domanda in cui si richieda l’intero danno.
La Cassazione rileva inoltre che, nella fattispecie, la Corte d’Appello (par. 7 della sentenza) aveva correttamente considerato le Tabelle di Roma del 2014 come sviluppate in termini di valori monetari medi, corrispondenti al caso di incidenza di una lesione in termini “standardizzabili”, con la possibilità di aumento di tali valori medi, al fine di consentire una adeguata personalizzazione complessiva della liquidazione, laddove il caso concreto presentasse peculiarità allegate e provate dal danneggiato.
Ne conseguiva che la valutazione del danno biologico nel complesso necessitava di una ulteriore personalizzazione, nella misura del 30%, in ragione delle ricadute esistenziali delle patologie accertate ed aveva determinato un danno, per l’appunto esistenziale, comportando una modifica delle abitudini di vita relazionale, compromesse dallo stato di isolamento conseguente ad ipoacusia.
La compromissione della sfera esistenziale del lavoratore non era inoltre rimasta circoscritta alle dinamiche relazionali di un uomo medio, poiché, nel tempo, aveva alterato lo stato psicologico del dipendente, fino a configurare una vera e propria malattia psichica con ripercussioni sulla sua vita personale, come evidenziato dal CTU.