Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 dicembre 2020, n. 27749
Mobbing, Danno non patrimoniale, Buste paga sono
sottoscritte, Apposizione per ricevuta del documento e non anche per quietanza
– Insufficienza per ritenere delibato l’effettivo pagamento, Onere del datore
di lavoro, in caso di contestazione, della dimostrazione di tale evento,
Presenza di prospetti paga contenenti una regolare dichiarazione autografa di
quietanza del lavoratore, Onere della prova della non corrispondenza tra le annotazioni
della busta paga e la retribuzione effettivamente erogata, gravante sul
dipendente
Rilevato
che la Corte di Appello di Torino, con sentenza
pubblicata in data 19.1.2015, ha respinto il gravame interposto da R. G., nei
confronti di C. F., in proprio e quale legale rappresentante della S.r.l. L.L.,
e di C. P., anch’ella quale legale rappresentante della medesima società,
avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede, resa il 19.11.2013, con
la quale era stata disattesa la domanda del G. – cuoco, barista e cameriere,
dal 2005, alle dipendenze della S.r.l. L.L., società che gestisce il bar presso
la stazione ferroviaria di Torino-Lingotto -, diretta ad ottenere la condanna
della società e di C. F. e C. P., quali legali rappresentanti della stessa, al
pagamento della somma di Euro 97.890,59 (comprensiva di interessi e
rivalutazione monetaria sino al 23.11.2011) per le retribuzioni non
corrisposte, oltre accessori di legge dal 24.12.2011 al saldo, nonché al
pagamento di Euro14.000,00, oltre accessori e spese, a titolo di danno non
patrimoniale conseguente al mobbing asseritamente subito;
che la Corte di merito – che ha, comunque, fondato
il proprio decisum su un percorso motivazionale parzialmente diverso da quello
del primo giudice -, per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha osservato
che «La decisione del Tribunale non è fondata su un mero giudizio di
verosimiglianza dell’avvenuto pagamento delle retribuzioni ma è ancorata alla
valutazione degli elementi probatori disponibili. …. Le buste paga prodotte
dalla società per il periodo in contestazione sono tutte sottoscritte dal
G….. “per ricevuta/quietanza”; il G. non contesta l’avvenuta
sottoscrizione, ma sostiene che la stessa sarebbe stata unicamente apposta per
ricevuta del documento e non anche per quietanza», e che «è, invece, evidente
che la sottoscrizione è apposta per entrambe le causali, considerato anche il
fatto che, se così non fosse stato, il G. avrebbe potuto e dovuto annullare la
parte della dicitura “quietanza” non corrispondente alla situazione
di fatto» (v., in particolare, pagg. 10-12 della sentenza impugnata);
che per la cassazione della sentenza ricorre R. G.
articolando cinque motivi, cui resistono con controricorso C.F., in proprio ed
in qualità di legale rappresentante della S.r.l. L.L., e C. P.;
che il P.G. non ha formulato richieste
Considerato
che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la
violazione dell’art. 1370 c.c., nonché, in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.,
la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4,
c.p.c., e si deduce che i giudici di seconda istanza avrebbero erroneamente
affermato che «nelle buste paga dal gennaio 2006 al marzo 2007 compare la
dicitura “per ricevuta/quietanza” e dunque è evidente che la
sottoscrizione è apposta per entrambe le causali» e, pertanto, «si formula il
quesito di diritto se, a norma dell’art. 1370 c.c.,
in presenza della dicitura ambigua “per ricevuta/quietanza” sulla
busta paga prestampata dal datore di lavoro La L., la sottoscrizione del
lavoratore G. sotto di essa debba interpretarsi in senso favorevole al medesimo
e, quindi, nel senso che la sottoscrizione è apposta per ricevuta della busta
paga e non anche per quietanza del pagamento»; 2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
degli artt. 2697 e 2796
c.c., nonché, in riferimento all’art. 360,
primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art.
132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e si lamenta che la Corte di merito, in
relazione alla richiesta del G. di ordinare l’esibizione alla società datrice
di determinati estratti conto, dalla cui movimentazione si sarebbe evinto che
l’impresa pagava tutti i dipendenti con bonifico, abbia affermato che «Del
tutto ininfluente è la modalità di pagamento dello stipendio ai dipendenti
diversi dal G., posto che, essendo il G. marito della F., è plausibile che
potesse essere pagato con modalità differenti da quelle adottate per gli altri
dipendenti», dalla qual cosa, a parere del ricorrente, conseguirebbe una
«motivazione contraddittoria, nonché obiettivamente incomprensibile e dunque
nulla ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.,
avendo invece La L. dichiarato di aver sempre pagato in contanti gli stipendi a
tutti i dipendenti (incluso il G.), salvo il bonifico di alcuni saldi, ma non
ha assolto all’onere di provare tale assunto»; 3) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
degli artt. 36 Cost. e 2729
c.c.ed al riguardo, si
afferma che i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere che «Nelle buste
paga successive (dall’aprile 2007 al dicembre 2011) la dicitura “per
ricevuta/quietanza” non compare più ma non vi è motivo per ritenere che,
da quel momento in poi, la sottoscrizione (pacificamente apposta fino a quel
momento per entrambe le causali) sia stata apposta unicamente per ricevuta del
documento e non invece con la duplice valenza da lungo tempo attribuita dalle
parti a tale sottoscrizione, considerato anche il fatto (del tutto singolare,
pure nell’ambito di un rapporto di coniugio) che fino al promovimento della
presente causa (giugno 2012) non risulta che il G. mai abbia rivendicato
alcunché a titolo di retribuzioni asseritamente non pagate per il periodo
aprile 2007/dicembre 2009 (pacifico essendo il pagamento delle retribuzioni con
bonifico a partire dal gennaio 2010 per un complessivo importo di euro
28.304,00, allegato dallo stesso G.). A partire dall’aprile 2007 il G., se
davvero non fosse stato pagato, essendo consapevole della consuetudinaria
duplice causale attribuita alla sottoscrizione delle buste paga, ben avrebbe
potuto rifiutare di sottoscrivere, cosa che non ha fatto»; 4) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la
violazione degli artt. 420 e 421 c.p.c., nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione
dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ed
in merito, «si formula il quesito di diritto se, a norma degli artt. 420 e 421 c.p.c.
la produzione di documenti di G. all’udienza del 2 ottobre 2013, in assenza di
specifica opposizione di F. e L.L. o, comunque, prescindendo da tale contestazione,
debba ritenersi ammissibile», lamentando, inoltre, che «la motivazione è
contraddittoria nonché obiettivamente incomprensibile e dunque nulla ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., laddove la Corte
di Appello di Torino ha ritenuto che la inammissibilità della produzione
documentale del lavoratore fosse stata eccepita dalla società per tardività»,
5) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3,
c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c.,
nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma,
n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132,
secondo comma, n. 4, c.p.c., perché i giudici di seconda istanza avrebbero
errato nel non ritenere non specificamente contestato il fatto che parte delle
somme che il G. incassava dall’affitto di azienda e dalla madre gli fossero
versati in contanti sul suo conto, mentre «ha erroneamente e
contraddittoriamente ritenuto che, siccome risultano alcuni bonifici
dall’affittuario e dalla madre, tutti i versamenti in contanti si dovrebbero
riferire agli stipendi»;
che il primo motivo non è fondato, stante
l’inconferenza della norma che si assume violata (art.
1370 c.c.) in relazione alla fattispecie. Ed invero, al riguardo è,
innanzitutto, da premettere che la Corte territoriale è pervenuta alla
decisione oggetto del presente giudizio uniformandosi ai consolidati arresti
giurisprudenziali di legittimità nella materia, del tutto condivisi da questo
Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed ai quali, ai sensi
dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso
richiamo (cfr., in particolare e tra le molte, Cass.
nn. 13150/2016; 9503/2015; 10193/2002;
9588/2001; 7310/2001; 1150/1994) -, secondo cui, posto che è onere del datore
di lavoro di consegnare ai propri dipendenti i prospetti contenenti tutti gli
elementi della retribuzione (e ciò, in conformità del disposto anche degli artt. 1 e 3 della legge n. 4 del
1953) – e che, comunque, i detti prospetti, anche se eventualmente
sottoscritti dal prestatore d’opera con la formula “per ricevuta”,
non sono sufficienti per ritenere delibato l’effettivo pagamento, potendo gli
stessi costituire prova solo dell’avvenuta consegna della busta paga e restando
onerato il datore di lavoro, in caso di contestazione, della dimostrazione di
tale evento -, laddove si sia, però, in presenza di prospetti paga contenenti
tutti gli elementi della retribuzione, ed altresì di una regolare dichiarazione
autografa di quietanza del lavoratore (come nella fattispecie, in cui, tra
l’altro, la firma non è mai stata contestata dal prestatore d’opera), l’onere
della prova della non corrispondenza tra le annotazioni della busta paga e la
retribuzione effettivamente erogata grava sul dipendente (cfr., Cass. nn.
9503/2015; 7310/2001; 1150/1994, citt.); prova che, nel caso di cui si tratta,
come motivatamente affermato dai giudici di secondo grado, non è stata fornita
dal G.; che, fatte queste premesse, va, altresì, sottolineato che il principio
in base al quale, ai sensi dell’art. 1370 c.c.,
le clausole contrattuali che pongono in essere condizioni generali di contratto
(ovvero inserite in moduli o formulari) si interpretano, nel dubbio, contro chi
ha predisposto tale clausola, ossia a favore del contraente più debole
(interpretazione contro il predisponente), non vale nelle ipotesi di contratti
stipulati individualmente, ma solo in quella di contratto concluso mediante
moduli o formulari, predisposti da uno dei contraenti e da sottoporre ad una pluralità
di eventuali controparti, le quali non hanno alcun potere di influenzare il
contenuto del contratto (cfr., tra le altre, Cass. n. 3392/2001);
che, inoltre, all’evidenza, nel caso di cui si
discute, non si versa in una delle ipotesi previste dall’art. 1370 c.c., poiché la dicitura “per
ricevuta/quietanza” da fare sottoscrivere al lavoratore non è assimilabile
ad una clausola inserita nelle condizioni generali di contratto, o in moduli o
formulari, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. – che disciplinano i c.d. contratti per
adesione – trattandosi, peraltro, nel caso di specie, di una ipotesi di
contratto individuale di lavoro ed avendo, come sottolineato dai giudici di
merito, il dipendente la possibilità di annullare la parte della dicitura
“per quietanza”, laddove non corrispondente alla situazione di fatto;
che, pertanto, deve concludersi, con riferimento al
primo mezzo di impugnazione, che la decisione impugnata è supportata da
correttezza di metodo ed adeguata motivazione delle risultanze in fatto, quali
emerse dalle prove assunte; la qual cosa ha consentito una corretta sussunzione
dei fatti nelle norme da applicare, sicuramente scevra dagli errores in
iudicando che la parte ricorrente lamenta;
che, infine, la censura relativa alla violazione
dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.,
sollevata in riferimento all’art. 360, primo comma,
n. 4, c.p.c., è rimasta soltanto enunciata senza alcuna specificazione in
merito; per quanto, poi, attiene ai quesiti di diritto formulati in tutti e
cinque i mezzi di impugnazione, si rileva che l’art.
366-bis del codice di rito, inserito dall’art. 6 del D.Igs. n. 40 del 2006, è
stato abrogato dall’art. 47,
comma 1, lett. d), della I. n. 69 del 2009, le cui disposizioni, ai sensi
dell’art. 58, comma 5, della medesima legge, «si applicano alle controversie
nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per Cassazione è stato
pubblicato, ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione,
depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente
legge». Per la qual cosa, poiché la sentenza oggetto del presente giudizio è
stata pubblicata il 19.1.2015, il ricorso per la cassazione della stessa non
necessitava più della formulazione dei quesiti; che il secondo ed il terzo
motivo – da trattare congiuntamente per ragioni di connessione – non sono
meritevoli di accoglimento, poiché, anche prescindendo dalla genericità delle
contestazioni sollevate in merito alla valutazione delle emersioni probatorie operata
dalla Corte di Appello, prive, tra l’altro, di riferimenti ad alcuna
documentazione a sostegno delle deduzioni formulate e senza che venga
focalizzato il momento di conflitto, rispetto ad esse, dell’accertamento
concreto operato dalla Corte di merito all’esito delle risultanze istruttorie
(cfr., ex plurimis, Cass. n. 24374 del 2015; Cass. n. 80 del 2011), i medesimi
tendono, all’evidenza, ad una nuova
valutazione delle prove pacificamente estranea al giudizio di legittimità
(cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013;
Cass. n. 14541/2014). E, del resto, i giudici di secondo grado hanno messo in
evidenza (si vedano, in particolare, le pagg. 11-13 della sentenza impugnata)
che il G., oltre a non avere mai annullato la dicitura “per
quietanza”, «non ha mai rivendicato alcunché a titolo di retribuzioni asseritamente non pagate per il
periodo aprile 2007/dicembre 2009 (pacifico essendo il pagamento delle
retribuzioni con bonifico a partire dal gennaio 2010 per un complessivo importo
di euro 28.304,00, allegato dallo stesso G.. E a partire dall’aprile 2007, se
davvero non fosse stato pagato, essendo consapevole della consuetudinaria
duplice causale attribuita alla sottoscrizione delle buste paga, ben avrebbe
potuto rifiutare di sottoscriverle, cosa che non ha fatto»; infine, nella
sentenza impugnata, si dà atto (v. pagg. 12 e 13) dei numerosi elementi
delibatori dai quali si evince con chiarezza «che il G. abbia ricevuto (in
contanti) le retribuzioni che rivendica in causa)»;
che, infine, le doglianze inerenti alla violazione
dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. –
che, nella sostanza, censurano
«vizi di motivazione per travisamento dei fatti»,
nonché una «motivazione contraddittoria», assenta mente posta a fondamento
della decisione impugnata – risultano prive di pregio, a causa della non
conferenza del parametro normativo che si assume violato. Ed invero, nel caso
in esame, il motivo di ricorso che denuncia, in concreto, il vizio motivazionale
non indica il fatto storico (cfr. Cass. n. 21152/2014), con carattere di
decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la
Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento,
alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite
n. 8053 del 2014, ad un vizio della sentenza «così radicale da comportare»,
in linea con «quanto previsto dall’art. 132, n. 4,
c.p.c., la nullità della pronunzia per mancanza di motivazione», non
potendosi configurare, nella fattispecie, un caso di motivazione apparente o di
mancanza di motivazione, da cui conseguirebbe la non idoneità della sentenza a
consentire il controllo delle ragioni poste a fondamento della stessa, dato che
la Corte di merito è pervenuta alla decisione oggetto del giudizio di
legittimità con argomentazioni analitiche e del tutto condivisibili e scevre da
vizi logico-giuridici;
che il quarto motivo non è fondato poiché attiene ad
una questione riguardo alla quale il ricorrente non specifica se sia stata
riproposta dinanzi alla Corte di merito e, dunque, appare nuova nel presente
giudizio (al riguardo, si veda anche pagg. 16 e 18 del controricorso); il G.,
peraltro, non ha prodotto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado,
né il ricorso in appello, dai quali potesse eventualmente evincersi il
contrario; e ciò, in violazione del principio più volte ribadito da questa
Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo
specifico atto precedente cui si riferisce (art.
366, primo comma, n. 6, c.p.c.), in modo tale da consentire alla Corte di
legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni
prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso
per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a
costituire le ragioni per cui si chiede
la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione
della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti
esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado
di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass.
nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013);
per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la
veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai
giudici di seconda istanza;
che neppure il quinto motivo può essere accolto,
perché prospetta una questione in ordine alla quale il ricorrente non precisa
se sia stata proposta in primo grado (e riproposta in sede di gravame); e,
dunque, appare nuova in questa sede;
che per tutto quanto in precedenza esposto, il
ricorso va rigettato;
che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nei termini specificati in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700,00,
di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.