Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 dicembre 2020, n. 34348

Delitto di omicidio colposo, Violazione di norme sulla
prevenzione degli infortuni sul lavoro, Contatto del lavoratore con gli organi
in movimento dell’impianto, Condotta della persona offesa, gravemente
imprudente e del tutto imprevedibile

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte d’appello di Bari, in data 16 maggio
2019, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Bari, il 5 marzo
2018, aveva condannato V.P. alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di
omicidio colposo con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul
lavoro (in specie artt. 70, comma
1, e 71, comma 3, d.lgs. n. 81/2008) contestato come commesso il 13 gennaio
2010 in danno di A.S..

Secondo la tesi accusatoria accolta nel giudizio di
merito, in occasione dell’incidente che gli costò la vita, lo S., dipendente
della B. (società di cui il P. era amministratore delegato), stava rimuovendo
materiali inerti dalla parte sottostante un nastro trasportatore (denominato
linea A) della cui manutenzione egli era incaricato; contemporaneamente veniva
segnalato da un centralinista a V.S. (nipote della vittima e a sua volta
dipendente dalla stessa Società) l’arrivo di una betoniera da caricare sulla
stessa linea; V.S. chiedeva allo zio se non fosse il caso di procedere al
carico su altra linea (la B), ma A.S. rispondeva che era meglio provare il
funzionamento della linea A. Perciò poco dopo V.S., che non aveva più in quel
momento la possibilità di comunicare con la sala tecnica dove era posizionato
il nastro della linea A, lo rimetteva in funzione, attivando i comandi per
effettuare due cicli di carico; ma, dopo avere fermato la macchina al termine
del primo ciclo e avendola nuovamente azionata per il secondo, notava sul
monitor la comparsa del segnale di allarme tecnico; si recava quindi presso la
sala tecnica, ove scopriva il corpo dello zio in posizione supina e adagiato
sul nastro trasportatore, con il braccio sinistro incastrato nel rullo; gli
operatori del 118 non potevano fare altro che constatarne il decesso.

Al P., nell’anzidetta qualità apicale, si rimprovera
in sostanza di non avere adottato le necessarie cautele e misure, nonché i
necessari dispositivi di sicurezza, per impedire infortuni del tipo di quello
occorso allo S., dovuti al contatto del lavoratore con gli organi in movimento
dell’impianto; di non avere indicato, nel redigere il documento di valutazione
dei rischi relativi all’uso del macchinario, l’obbligo di procedere alle
operazioni di manutenzione a macchina ferma; e di non avere posizionato nella
zona dell’impianto qualsiasi segnaletica di sicurezza e di avviso di pericolo e
di divieto.

La Corte barese ha disatteso la prospettazione
difensiva, confermando la configurabilità delle violazioni addebitate al P.
nella sua posizione datoriale ed escludendo che l’infortunio – che pure era
stato cagionato anche dal comportamento imprudente dello S. – fosse dovuto a
condotta eccezionale e imprevedibile del lavoratore, tale da interrompere il
nesso causale e da esonerare da colpe l’imputato.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il P.

Il ricorso, corredato da un’ampia premessa
riassuntiva, é articolato in tre motivi.

2.1. Con il primo motivo si denunciano violazione di
legge e vizio di motivazione, in primo luogo, con riguardo alla disposta
inutilizzabilità delle dichiarazioni di V. S. (che aveva assunto la qualità di
coimputato), sulle quali pure si era basata la ricostruzione della dinamica
dell’incidente da parte del perito e dei consulenti tecnici; in secondo luogo,
con riguardo al fatto che l’incidente fu cagionato dalla condotta della persona
offesa, gravemente imprudente e del tutto imprevedibile – e non meramente
concausale -, a considerare che lo S. era soggetto compiutamente formato e
informato per le mansioni che stava svolgendo; che il DVR indicava la specifica
procedura di manutenzione del macchinario, che nella specie lo S. non aveva
osservato, non avendo egli provveduto ad azionare l’apposita cordicella di
fermo nastro. Conseguentemente non poteva parlarsi di manchevolezze nella
redazione del D.V.R., tant’é che gli stessi giudici dell’appello riconoscono
che, per la linea di carico contrassegnata dalla lettera B (del tutto identica
a quella ove si verificò l’infortunio), il rischio affrontato dalla vittima era
stato correttamente affrontato.

2.2. Con il secondo motivo si lamentano violazione
di legge e vizio di motivazione in relazione al fatto che la Corte distrettuale
ha ritenuto fondato il rimprovero mosso al P. di non avere adottato le
necessarie cautele, laddove l’incidente fu provocato unicamente dall’imprudente
e imprevedibile operazione posta in essere dallo S., dipendente esperto e
specificamente formato in ordine al rischio in esame: quand’anche il locale ove
era posizionata la linea A fosse stato chiuso con porta e serratura e vi
fossero ripari fissi quali carter, gabbie e reti rigide invalicabili, ciò non
avrebbe influito sulla dinamica dell’evento; lo stesso é a dirsi per la minore
o maggiore distanza del cordino di fermo nastro. Contesta poi il ricorrente che
l’ispettore dello SPISAL M. abbia dichiarato che la partenza del secondo ciclo
non fosse stata segnalata acusticamente, avendo egli dichiarato anche l’esatto
contrario; ed allega altresì l’esponente che non ha avuto alcuna rilevanza
concausale la censurata assenza di possibilità di comunicazione audio o visiva
tra la sala tecnica e la centrale di comando dell’impianto.

2.3. Con il terzo motivo si denunciano violazione di
legge e vizio di motivazione in riferimento al decorso causale, ribadendo
l’imprevedibilità e l’imprevenibilità della condotta dello S., il quale,
nonostante la sua comprovata esperienza e la sua formazione, non azionò la
cordicella di fermo impianto. Una condotta, conclude l’esponente, qualificabile
come causa esclusiva dell’accaduto.

3. Si dà atto che il difensore del ricorrente ha
fatto pervenire in Cancelleria, in data 2 novembre 2020, una memoria con la
quale insiste per l’accoglimento del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

1. Il primo motivo di ricorso si appalesa
manifestamente infondato nella parte in cui si censura la decisione di
qualificare come inutilizzabili le dichiarazioni rese dal coimputato V. S.,
laddove – lo si ricava agevolmente dalla lettura della motivazione della
sentenza – era stata la stessa difesa a sollevare la questione
dell’inutilizzabilità di dette dichiarazioni. L’argomento é tanto più privo di
consistenza in quanto é lo stesso ricorrente a dare per acquisito che la
dinamica del sinistro (ossia ciò su cui V. S. avrebbe potuto riferire) «non é
oggetto di rilievi o censure» (pag. 9 ricorso).

Nel prosieguo, il motivo di ricorso in esame risulta
comunque infondato nell’enunciare due argomenti che costituiscono a ben vedere
l’oggetto (anche) dei motivi di ricorso successivi: ossia l’idoneità del D.V.R.
a delineare e prevenire il rischio nella specie concretizzatosi, nonché la
natura eccezionale e imprevedibile del comportamento imprudente della vittima.

1.1. Invero, quanto al primo aspetto, é noto che il
documento di valutazione dei rischi, previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del
2008, deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente
presenti all’interno dell’azienda, in relazione alla singola lavorazione o
all’ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per
tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori; é compito del datore di
lavoro, una volta individuato il rischio, predisporre le misure precauzionali e
procedimentali, ove necessarie, per impedire l’evento (cfr. la recente Sez. 4,
n. 27186 del 10/01/2019, D’Ottavio, Rv. 276703). La Corte di merito, con ampio
e conducente percorso argomentativo, ha escluso che tale compito sia stato
correttamente assolto dal P. nella sua qualità datoriale, evidenziando una
serie di manchevolezze che, tra loro coordinate, hanno assunto rilevanza sul
decorso causale dell’infortunio e che, ove non vi fossero state, avrebbero
ragionevolmente evitato l’esito mortale dell’incidente. Il D.V.R., osserva la
Corte barese (pag. 16 sentenza), non si é fatto carico di chiarire quali
fossero le modalità comunicative audio-video tra la sala tecnica – ove si
trovava il nastro trasportatore – e il comando della macchina ove operava il
nipote della vittima: é chiaro che, se vi fosse stata la possibilità di
comunicare fra i due protagonisti dell’episodio, V. S. non avrebbe azionato
l’impianto mentre lo zio vi stava operando per rimuovere il materiale inerte.
La Corte di merito ha altresì chiarito che il cordino di sicurezza era posizionato
in modo del tutto inadeguato rispetto a quanto stabilito dalla normativa, sia
per essere collocato solo su un lato del nastro, sia per la distanza
eccessivamente ravvicinata rispetto al rullo (pag. 12 sentenza). Inoltre, é
stato evidenziato che vi era totale carenza di dispositivi di sicurezza
(sensori, fotocellule per far scattare l’arresto automatico dell’impianto,
ecc.) che sollevassero il lavoratore da un onere di attenzione che si
traduceva, di fatto, in un affidamento esclusivo del rischio a suo carico (pp.
13 e 20 sentenza). La Corte di merito ha altresì richiamato le prescrizioni di
cui agli allegati V e VI al D.Lgs. 81/2008 (con particolare riguardo,
rispettivamente, ai requisiti di sicurezza di elementi mobili e all’uso delle
attrezzature di lavoro in cui siano presenti elementi mobili) per evidenziare
come nel caso di specie le cautele ivi prescritte non fossero state
adeguatamente attuate (pp. 15 – 16 sentenza). In definitiva, la Corte
distrettuale ha ampiamente evidenziato gli elementi di lacunosità rispetto alle
misure da adottare per prevenire i rischi del tipo di quello concretizzatosi in
occasione dell’incidente.

1.2. Quanto all’aspetto concernente l’asserita
esclusività della colpa dell’accaduto in capo alla vittima, tale da integrare
un comportamento di tale abnorme imprudenza da non essere prevedibile né
prevenibile, si rammenta il principio, affermato dalla sentenza a Sezioni Unite
n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al
quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del
lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità
tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, é necessario non tanto
che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un
rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto
titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n.
15124 del 13/12/2016 – dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini
sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 – dep. 2018, Spina e
altro, Rv. 273247); oppure, quanto meno, che il rischio concretizzatosi rientri
bensì nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa
radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi,
prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez.
4, Sentenza n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).

Di contro, l’impugnata sentenza (pp. 17 – 20) rende
ampiamente ragione dell’impossibilità di qualificare il comportamento dello S.
– quantunque indubbiamente caratterizzato da imprudenza e, come tale, idoneo a
concorrere causalmente all’infortunio e al suo esito letale – come idoneo ad
assorbire l’intera incidenza causale dell’evento mortale, rilevando di contro
la prevedibilità ed evitabilità di un simile comportamento da parte
dell’odierno ricorrente, ed essendo del resto di tutta evidenza che nell’ambito
della sfera di rischio nella specie concretizzatasi rientrava anche la
circostanza che l’operatore, nel l’effettua re la manutenzione e la pulizia del
nastro trasportatore in base alle sue mansioni, posizionasse la mano e il
braccio all’interno di un macchinario pericoloso. Risulta comunque evidente, ed
ampiamente argomentato dalla Corte di merito, che la formazione e l’esperienza
del lavoratore non hanno reso imprevedibile fino all’abnormità il pur incauto
comportamento dello S.

2. Gli aspetti fin qui evidenziati rendono evidente
anche l’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso, in cui il
ricorrente si diffonde nel cercare di argomentare circa l’asserita
imprevedibilità del comportamento della vittima, di cui si é però rilevata
l’insussistenza, nonché a proposito dell’asserita interruttività di detto
comportamento nel decorso causale dell’infortunio: interruttività che, per le
considerazioni appena svolte, non é in alcun modo configurabile.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 dicembre 2020, n. 34348
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: