La frequenza all’estero di un corso post lauream della durata di due anni accademici non è sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato nei due periodi di imposta precedenti il rimpatrio e a consentire, quindi, l’accesso al regime agevolativo previsto per i lavoratori impatriati.
Nota AdE Risp., 6 novembre 2020, n. 533
Marialuisa De Vita
L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta ad interpello n. 533 del 6 novembre 2020, ha fornito alcuni chiarimenti in merito al regime speciale per i lavoratori c.d. “impatriati” previsto dall’art. 16 del D.LGS. 14 settembre 2015, n. 147.
In base ad esso, come noto, i redditi di lavoro autonomo, i redditi di lavoro dipendente, quelli assimilati ai redditi di lavoro dipendente e i redditi di impresa, prodotti in Italia da lavoratori (cittadini italiani o esteri) che vi trasferiscono la residenza ai sensi dell’art. 2, co. 2 del TUIR, concorrono alla formazione del reddito complessivo nei limiti del 30% (del 50% nella formulazione vigente fino al 30 aprile 2019) del loro ammontare ovvero nei limiti del 10% se si trasferiscono nel Mezzogiorno. Tale regime trova attuazione a decorrere dal periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi d’imposta successivi.
Per poter beneficiare della suddetta agevolazione i soggetti che rientrano in Italia devono essere in possesso dei requisiti previsti, in via alternativa, dal co. 1 e dal co. 2 dell’art. 16 summenzionato.
In particolare, possono accedere al regime agevolativo solo i lavoratori che (art. 16, co. 1, D.LGS. n. 147/2015):
- non sono stati residenti in Italia nei due periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a permanervi per almeno 2 anni;
- prestano l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Il regime in questione vale anche per i cittadini UE e, dal 2017, per quelli di Stati extra UE (con i quali è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale), che soddisfano uno dei seguenti requisiti (art. 16, co. 2, D.LGS. n. 147/2015):
- sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, ovvero autonomo oppure d’impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;
- hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea ovvero una specializzazione post lauream.
Il caso sottoposto all’attenzione dell’Amministrazione finanziaria riguarda proprio tale ultima ipotesi. In particolare, un cittadino italiano si rivolgeva all’Agenzia delle Entrate rappresentando di:
- essersi laureato in Italia;
- aver vissuto all’estero tra il 2016 e il 2017 per frequentare un master della durata di due anni accademici;
- non essersi iscritto durante tale periodo all’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero (c.d. AIRE).
Rientrato in Italia a settembre 2017, l’istante chiedeva all’Amministrazione finanziaria se il requisito relativo alla residenza fiscale all’estero potesse ritenersi integrato per il fatto che avesse frequentato all’estero un corso post lauream della durata di due anni accademici, nonostante l’assenza della iscrizione all’AIRE.
Nell’argomentare la propria soluzione, l’Agenzia delle Entrate, richiamando la risoluzione n. 51/E del 7 luglio 2018, ha ricordato che anche per i soggetti di cui al co. 2 della disposizione in esame “la residenza all’estero per almeno due periodi di imposta costituisce il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo”.
In linea di principio, qualora il periodo di iscrizione all’AIRE risulti insufficiente o, come nel caso di specie, detta iscrizione non risulti affatto, trova applicazione il co. 5-ter dell’art. 16, D.LGS. n. 147/2015, che ammette al regime di favore anche il soggetto non iscritto all’AIRE purché dimostri di essere stato fiscalmente residente all’estero ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni.
Nel caso in esame, l’Agenzia ha valorizzato la circostanza che l’istante dichiarava (non solo e non tanto di non essersi iscritto all’AIRE, ma piuttosto) di “non essere in possesso del requisito della residenza all’estero ai sensi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni per due periodi di imposta precedenti il rimpatrio, ma soltanto per due anni accademici”. Sulla base di tale differenza (atteso il fatto che l’anno accademico ha una scansione diversa dal periodo di imposta coincidente con l’anno solare), l’Agenzia delle Entrate ha affermato che “non è integrato il periodo della residenza all’estero e, pertanto, è precluso l’accesso al regime”.